La parabola dei talenti - Matteo 25, 14-28
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- Scritto da Massimo Aprile
14 «Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì. 16 Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque. 17 Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due. 18 Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro. 20 Colui che aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: "Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque". 21 Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". 22 Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: "Signore, tu mi affidasti
due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". 23 Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". 24 Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: "Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25 ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo". 26 Il suo padrone gli rispose: "Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato
e raccolgo dove non ho sparso; 27 dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti.
La parabola dei talenti, insieme a quella simile che troviamo in Luca, delle mine (19, 12-27), è molto interessante anche perché nella storia della chiesa cristiana ha avuto molti sviluppi e interpretazioni. Chi le ha studiate a fondo ha cercato di risalire a quello che Gesù ha raccontato e al cuore del messaggio che Egli aveva voluto dare ai suoi discepoli o/e a coloro che lo ascoltavano. Ma non è facile questa ricostruzione. Poi c'è il livello, sempre importante, dei messaggi attualizzanti che Luca da una parte e Matteo dall'altra offrirono ai loro lettori attraverso la loro versione.
Noi la leggiamo oggi e ne rimaniamo certamente affascinati ma anche forse turbati per qualche aspetto che a noi sembra (giustamente!) stridere con altri passi degli stessi Vangeli.
Ho scelto questa parabola perché è una parabola di avvento, ma in che senso lo è, se lo è?
Bisogna premettere che oggi proprio in conseguenza di questa parabola la parola talento è sinonimo di ingegno, predisposizione, capacità e doti artistiche, musicali, letterarie. Ci sono i talent scout o trasmissioni come America's got talent o Italia's got talent e così via che selezionano persone che hanno talento pur essendo ancora sconosciute.
La storia delle interpretazioni sedimentate nei secoli e lo sviluppo della parola "talento" rendono ancor più necessario (e difficile) cercare il significato originario della parabola o almeno provare ad avvicinarcene. Cerchiamo di farlo sebbene in piccola parte anche con uno sguardo rivolto a noi che viviamo oggi.
l "talento" era un peso più che una moneta. Al tempo di Gesù, un solo talento corrispondeva a più di 34 kg di argento, approssimativamente 30 anni di lavoro di un operaio!
Affidare cinque o due o anche un solo talento a qualcuno era dunque un atto di immensa fiducia.
Nella storia un uomo evidentemente molto ricco affida, prima di partire, una fortuna a suoi tre schiavi senza dare loro alcuna consegna. L'ammontare - in ogni caso altissimo - di quanto affidare tiene conto delle capacità di ognuno. Cinque, due e un talento, appunto. Lo sviluppo della storia è semplice. Dopo una lunga assenza il padrone ritorna e chiede conto dei talenti affidati. Coloro, i primi due, che raddoppiano il capitale, ricevono la promessa di ancora maggiori responsabilità e l'invito del padrone "ad entrare nella gioia del Signore", al terzo servo che restituisce il talento affidatogli con una sua motivazione, il padrone toglie tutto e lo rimprovera aspramente.
E' chiaro che il cuore della parabola sta nel comportamento dei tre servi, ma specie del terzo e nella reazione piccata del padrone.
Le parole che accompagnano la restituzione del talento che il servo aveva sotterrato sono spiazzanti:
"Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non
hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo".
Non sembrano le parole di una persona impaurita ma di una persona sprezzante e piena di pregiudizi.
Con chi ce l'ha Gesù?
Cosa propone la parabola? A chi si rivolge? E soprattutto il padrone rappresenta Dio?
Il Vangelo di Matteo ma anche quello di Luca, raccontano questa parabola mentre Gesù è sulla via verso Gerusalemme (Lc) o proprio a Gerusalemme (Mt), quindi alla vigilia della sua passione e morte.
Gesù aveva sempre predicato un Vangelo di Grazia, di accoglienza, del Dio che tramite lui cercava figli e figlie disperse per riportarle a sé. Ora si trovava a Gerusalemme, incompreso, con l'evidente ostilità dei capi intorno a sé.
Credo che questa parabola, nelle parole del terzo servo, rappresenta un'idea distorta di Dio, proprio quell'idea che Gesù aveva contrastato tutta la vita. Nella parabola Gesù svela che c'era chi considerava Dio proprio così: duro, pieno di pretese, freddo calcolatore e giudice implacabile dei trasgressori della legge. Un Dio che faceva paura, anzi, un Dio che per essere ubbidito doveva fare paura, un Dio che non mostrava misericordia.
Proprio questa idea di Dio stava per portare Gesù sulla croce. Gesù secondo i suoi oppositori aveva più volte trasgredito la legge perché operava guarigioni in giorno di sabato. Aveva infranto ogni regola di purità mangiando e bevendo con pubblicani e peccatrici. L'idea che avevano di Dio era proprio quella. Un Dio duro e giudicante, un Dio che giudicava in primo luogo Gesù che viveva diversamente dai loro canoni.
Ebbene con la parabola dei talenti, Gesù dice a quelli che avevano un'idea del genere di Dio e secondo questa si comportavano, che proprio questa idea di Dio li avrebbe condannati. Perché? Perché avevano imbalsamato, sotterrato il più grande tesoro che avevano ricevuto, cioè la parola di Dio. Quel gran tesoro loro lo avevano sterilizzato con le loro regole, lo avevano reso infruttuoso e lo avevano nascosto a coloro che ne avrebbero avuto bisogno.
Gesù due capitoli prima (23, 13) aveva detto: "Guai a voi scribi e farisei ipocriti perché serrate il regno dei cieli davanti alla gente, perché non vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare".
Gesù in questa parabola addita quell'uomo meschino e sprezzante proprio per aver travisato del tutto l'intenzione e l'identità del padrone. Il padrone aveva avuto fiducia nei suoi servi, aveva affidato a loro le sue immense ricchezze ma uno dei servi non ha compreso questo, ha vissuto nella paura di quel padrone, ne ha completamente travisato la natura. Gesù sembra dire: voi pensate che Dio sia così? Avete trasformato Dio a vostra immagine e nascosto la grande ricchezza che Dio vi ha dato in un tesoro divenuto inutile, infruttuoso. Perciò quel tesoro vi sarà tolto.
E cosa abbiamo da dire dei servi lodati dal padrone?
Per illustrare quest'aspetto positivo del messaggio della parabola, senza finire in una lode sterile agli speculatori del nostro tempo (e di tutti i tempi) in grado di raddoppiare i loro guadagni in poco tempo, mi servo del libro di Don Paolo Alliata. Lui, proprio per illustrare questo aspetto della parabola dei talenti cita una lettera che Benjamin Franklin, uno dei padri costituenti degli Stati Uniti scrisse ad un uomo che gli aveva chiesto aiuto perché aveva difficoltà economiche. La lettera che leggo ora è datata 22 aprile 1784:
Egregio signore, ho ricevuto la sua lettera del 15 corrente mese (...). La descrizione della sua situazione mi addolora molto. Le mando acclusa una somma di dieci Luigi d’oro. Non intendo regalarle tale somma, ma semplicemente prestargliela. Quando tornerà nel suo Paese con una buona reputazione, troverà senz’altro un’attività che col tempo le consentirà di ripagare tutti i suoi debiti. Allora, quando incontrerà un altro uomo onesto in simili condizioni di difficoltà, mi ripagherà prestando a lui tale somma e ingiungendogli di ripagare il debito in modo simile, quando potrà e quando ne avrà l’occasione. Spero così che il denaro passi per molte mani, prima di incontrare un furfante che arresterà il suo progresso. Si tratta di un trucco che ho escogitato per fare del bene con poco denaro. Non sono abbastanza ricco da poter offrire molto in opere buone, quindi sono costretto a giocare d’astuzia e far fruttare al massimo il poco che ho. Con i migliori auguri per la sua prosperità futura, Resto, caro Signore, al suo fedele servizio,
B. Franklin
Ecco, non è la spregiudicatezza, la speculazione senza scrupoli che Gesù intende suggerire a chi ascolta questa parabola ma la creatività nel far circolare segni di amore che possano mettere in circolo processi che promuovono la vita.
L'idea trinitaria è proprio la realtà di questo scambio fecondo, questa circolazione d'amore, una circolarità aperta che si espande. Il Padre dona vita al Figlio che a sua volta ci coinvolge in questo amore e questi legami, questi doni d'amore, sono resi possibili dall'opera dello Spirito.
Noi abbiamo un grandissimo capitale che è a nostra disposizione. Forse di questo non siamo realamente consapevoli. Possiamo farne elenchi sempre incompleti.
Cosa abbiamo? La vita prima di tutto, poi l'amore che ci è stato donato, l'intelligenza, l'energia, ma potremmo continuare... Un capitale grandissimo che qui comprende la nostra fede, la testimonianza che abbiamo ricevuto, la capacità di piangere, di ridere, di vedere, di camminare, di parlare, di cantare, di danzare... La giovane età per chi è giovane, l'esperienza accumulata per chi è più vecchio, abbiamo la comunità che ci ama e alla quale sentiamo di appartenere. Abbiamo l'aria, l'acqua pulita che ci raggiunge nelle case, vestiti da indossare, pane da mangiare, bellezze da godere... Un tesoro immenso che però deve circolare, che è fatto per contagiare, per diffondersi
dovunque, per moltiplicarsi, come i luigi d'oro di Franklin. I nostri tesori devono poter fare del bene ad altri e ancora ad altri sperando che la catena, anzi la raggiera non si fermi mai.
Sono le ultime storie che Gesù racconta prima della sua sofferenza e del suo lungo silenzio. In questa parabola si raccomanda di non tenere per sé nulla di quanto lui ha insegnato e fatto. Sembra dire: parlate di me, raccontate della mia vita, siate seminatori d'amore dovunque voi siate e fatelo, con intelligenza, con la creatività che Dio stesso vi darà. Affidatevi a Lui che si affida a voi.
Fatelo con coraggio, cercando e percorrendo nuove vie finora inesplorate.
I figli di Dio non possono essere come il terzo servo, attanagliati dalla paura di Dio. Dio non fa paura, Dio ama senza paura e se c'è amore, anche se qualche volta sbagliamo, non avrà Egli pietà di noi? Non ci rialzerà? Non ci darà una nuova opportunità? Certo che lo farà.
In che senso questa parabola è una parabola di avvento?
Perché ci spinge a vivere la dimensione dell'attesa operosamente. L'attesa di chi? L'attesa del tempo del compimento, l'attesa del Regno che viene.
Sia il nostro tempo un tempo vissuto coraggiosamente e ostinatamente al servizio del Signore. La paura non ci attanagli, non ci blocchi, non ci paralizzi, non ci renda musoni mormoranti incapaci di seminare amore.
Seminiamo a piene mani l'Evangelo a tempo e fuor di tempo.
Lasciate che ricordi qui alla comunità la testimonianza vivente che Renato e Mariuccia continuano a dare incessantemente. Alla loro avanzatissima età pur stando in una Casa di riposo telefonano a persone tristi e depresse, incoraggiano, diffondono la grazia di Dio, pregano tanto, parlano di Cristo, cantano le sue lodi, danno generosamente tutto quello che hanno. Renato ha intitolato la sua testimonianza così: "Fino all'ultimo respiro". E così sia per lui ma anche per noi. Così che al suo ritorno il Signore ci trovi all'opera. Poco prima di questa parabola ne aveva raccontato un'altra:
35 «I vostri fianchi siano cinti, e le vostre lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando tornerà dalle nozze, per aprirgli appena giungerà e busserà. 37 Beati quei servi che il padrone, arrivando, troverà vigilanti! In verità io vi dico che egli si rimboccherà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. (Luca 12 35-38)
Riconoscete l'immagine che c'è nel salmo 23?
"Tu imbandisci la mia tavola al cospetto ddei iei nemici, ungi il mio capo con olio, la mia coppa trabocca"
E' la promessa di Dio alla nostra fedeltà. Che bello! Amen