Isaia 54 L'avvenire glorioso d'Israel
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- Scritto da Massimo Aprile
1 «Esulta, o sterile, tu che non partorivi!
Da' in grida di gioia e rallègrati, tu che non provavi doglie di parto!
Poiché i figli dell'abbandonata saranno più numerosi
dei figli di colei che ha marito», dice il SIGNORE.
2 «Allarga il luogo della tua tenda,
si spieghino i teli della tua abitazione,
senza risparmio;
allunga i tuoi cordami,
rafforza i tuoi picchetti!
3 Poiché ti spanderai a destra e a sinistra;
la tua discendenza possederà le nazioni
e popolerà le città deserte.
4 Non temere, perché tu non sarai più confusa;
non avere vergogna, perché non dovrai più arrossire;
ma dimenticherai la vergogna della tua giovinezza,
non ricorderai più l'infamia della tua vedovanza.
5 Poiché il tuo creatore è il tuo sposo;
il suo nome è: il SIGNORE degli eserciti;
il tuo redentore è il Santo d'Israele,
che sarà chiamato Dio di tutta la terra.
6 Poiché il SIGNORE ti richiama come una donna abbandonata,
il cui spirito è afflitto,
come la sposa della giovinezza, che è stata ripudiata», dice il tuo Dio.
7 «Per un breve istante io ti ho abbandonata,
ma con immensa compassione io ti raccoglierò.
8 In un eccesso d'ira, ti ho per un momento nascosto la mia faccia,
ma con un amore eterno io avrò pietà di te»,
dice il SIGNORE, il tuo Redentore.
9 «Avverrà per me come delle acque di Noè;
poiché, come giurai che le acque di Noè non si sarebbero più sparse sopra la terra,
così io giuro di non irritarmi più contro di te,
di non minacciarti più.
10 Anche se i monti si allontanassero
e i colli fossero rimossi,
l'amore mio non si allontanerà da te,
né il mio patto di pace sarà rimosso»,
dice il SIGNORE, che ha pietà di te.
Israele in 70 anni di cattività si è rattrappito. Come un capo di lana che è stato lavato a temperature troppo alte. I nipoti di Israele, in questo lungo periodo di esilio, hanno smesso di credere alla fede dei nonni. Troppi segni, troppe evidenze vi si scontravano. Le vecchie ninna nanne cantate dalle nonne per ricordare le mirabili azioni di Iahvè, si sgretolavano dinanzi a una realtà quotidiana fatta di umiliazione, derisione ironica “Avanti, cantateci qualche dolce canzoncina di Sion” dicevano. E poi c'era il forte impatto di un quotidiano insopportabile: il mancato riconoscimento della cittadinanza che andava di pari passo con il mancato godimento di diritti e protezione.
Piano piano, un sentimento di mutismo interiore aveva pervaso l'animo degli esuli. Si rinunciava a sognare i grandi sogni, accontentandosi magari di qualche piccolo miglioramento individuale, sempre più raro, sempre più difficile.
Marduk, il principale dio dei Babilonesi era anche il dio aveva fatto a pezzi la divinità rivale, Tiamat, e avendola tagliata in due parti aveva fatto con una parte il cielo e con l'altra la terra. E così sembrava voler fare con questo piccolo dio degli ebrei.
Il suo culto fastoso e ossequiato da tutti aveva asfaltato il povero e perdente Jahvè.
Alcuni sostengono che l'unica maniera di salvare Jahvè dalla furia di Marduk era credere che il popolo di Israele non era in quella condizione di umiliazione, per la debolezza di Jahvè, ma perché il Dio di Israele puniva il suo popolo per la sua ostinata idolatria. Diversamente bisognava semplicemente accettare l'idea che Iahvè fosse un dio perdente.
Questo è il contesto. Certo, mentre il profeta svolge il suo ministerio si stanno aprendo nuovi scenari politici, con l'Editto di Ciro si apre la possibilità del ritorno a Gerusalemme, per molti, se non per tutti. Questo ritorno però richiede un coraggio che non c'è. Come si fa ad affrontare una necessaria ricostruzione, non solo degli edifici ma anche delle istituzioni? Questo enorme sforzo richiedeva motivazioni assolutamente irrintracciabili, in quel momento.
La condizione del popolo era ridotta ad un lamento soffocato. Il futuro lo si sperimentava come bloccato.
Qui risuona la voce del profeta.
Tutta la sezione che va dal capitolo 40 al 55 ripete, incessante questo messaggio: “E' ora di voltar pagina. E' ora di smettere la litania dei peccati di Israele. Adesso c'è qualcosa di nuovo nell'aria che il profeta esprime e il popolo deve cogliere.
La parola di Dio è rivolta proprio ai rassegnati d'Israele, nei termini che abbiamo letto anche in questo brano.
Qui Israele è rappresentata prima come una donna sterile, e il pensiero torna in primis a Sarah moglie di Abramo, e poi come una vedova. In una cultura e in una società fortemente patriarcale, essere sterile o essere vedova, significava aver il destino segnato da povertà, inutilità, umiliazione.
“Esulta!”, dice il profeta. Ma cosa ci sarebbe da esultare? “Prorompi in grida di gioia”, ma cosa ci sarebbe da gioire? “Rallegrati”, ma cosa c'è da rallegrarsi?
Sembrano esortazioni paradossali, assurde. Perfino irriguardose del dolore di quel che resta di questo Israele rattrappito, infeltrito.
La forma dei verbi al futuro, spiega il senso di questo triplice imperativo:
Non bisogna più guardare a quanto è accaduto, ma a quanto sta per accadere. Non si deve più rivolgersi a quanto Israele ha fatto contro Dio, ma a ciò che Dio sta per fare in favore di Israele. Quando Dio agisce la storia riparte. Si aprono scenari inediti. La speranza diventa di nuovo possibile.
Ma all'azione di Dio che riapre i giochi, deve subito corrispondere un'azione del popolo. “Allarga il luogo della tua tenda.”
Quante volte ho sentito citato questo testo in occasione della inaugurazione di un nuovo tempio, oppure per cercare finanziamenti per una sua impegnativa ristrutturazione.
Ma qui, notate bene, non del tempio si sta parlando, ma del popolo. Non si sta parlando del culto, ma della progenie, dei figli. La suggestione di Sara la sterile, si accompagna con quella di Abramo e della promessa di Dio a lui rivolta, di una progenie numerosa come la sabbia del deserto, come le stelle del cielo.
Arrivano i figli, arriva il futuro. E dunque bisogna allargare il luogo della tenda. Bisogna dispiegare i teli e allungare i cordami!
In epoca moderna nessuna ha predicato un sermone più bello ed efficace su questo testo che William Carey. Nella seconda metà del settecento, questo umile calzolaio divenne l'ispiratore della moderna missione delle chiese in tutto il mondo. Lui che a 14 anni, da autodidatta, aveva imparato il latino e il greco con lo scopo di meglio indagare i testi biblici.
Nel maggio del 1792 William divenuto predicatore non-conformista, predica un sermone proprio su questo testo. E come si intitola il sermone?
“Aspettatevi grandi cose da Dio e preparatevi a osare grandi cose per Lui.”
Carey interpreta le parole di Isaia come una grande chiamata all' evangelizzazione del mondo. E per questo, contro la volontà dei suoi stessi colleghi e contro le forti resistenze di sua moglie, parte per andare in India. Lì comincia una missione con la gente del luogo. Una popolazione con una forte tradizione indù. Impara le lingue locali con sorprendente rapidità e traduce la Bibbia o porzioni di essa in 30 lingue diverse tra cui il ramayana, il bengalese, l'oriya, l'assamese, il marathi, l' hindi, il sanscrito.
Questa sua migrazione missionaria che durerà per tutta la vita, per oltre 40 anni, avrà aspetti anche difficili e drammatici. Come la morte del giovanissimo figlio, Peter, e quello della moglie quasi impazzita dal dolore e che si era scagliata con veemenza contro William, accusandolo di essere responsabile di quel disastro.
Carey si oppose con forza alla pratica Sati, di bruciare sul rogo le vedove degli uomini morti, nel giorno del loro funerale, e si impegnò fortemente ad un approfondimento anche della cultura indu, e della sua letteratura. Non ultimo, c'è da ricordare, che per lungo tempo, Carey e la sua famiglia vissero in India senza permesso di soggiorno, col pericolo di essere arrestati. La corona britannica non vedeva assolutamente di buon occhio questa evangelizzazione dei pagani che rischiava di creare tensioni coi locali e generare ostacoli al traffico commerciale.
La tenda da allargare e i teli di spiegare, riguardavano, nella interpretazione di William Carey l'universalità dell'evangelo che veniva a portare istruzione, emancipazione dalle superstizioni, difesa delle donne, e contrasto al sistema delle caste.
Che storia straordinaria!
Ed oggi?
Oggi come ci poniamo davanti a questo testo?
Sicuramente il richiamo evangelistico conserva la sua attualità. Ma va anche ripensato alla luce della nostra società occidentale.
Qual è la tenda da allargare, quali sono i teli da dispiegare e i cordami da allungare?
Dove stanno le ragioni della speranza?
Anche la chiesa in occidente si è infeltrita, si è rattrappita. E' difficile trasmettere la fede dei padri e delle madri ai figlie e ai nipoti.
Eppure il messaggio che ci raggiunge non ci lascia al perenne lamento dei bei tempi passati, ma ci chiede di mobilitarci. Qualcosa di nuovo è iniziato da Dio. Saremo in grado di riconoscerlo?
Credo che nessuno tra le persone presenti tra gli stranieri, si trovi qui perché ha eletto l'Italia a sua patria. Qualcuno ci è arrivato per amore, ma la maggioranza ci è venuta per necessità. In molte storie raccontate nel nostro libro, ci sono anche storie drammatiche del viaggio e il difficile inserimento legale e culturale nel nostro paese.
Ma adesso siamo qui. E guardatevi quanto siete belli e belle, nella vostra straordinaria varietà di etnia e cultura e tutti questi bambini!
Tutti i fenomeni sociali ed economici che hanno prodotto questa migrazione, non hanno potuto impedire a Dio di cominciare una storia nuova.
E' vero ci sono molti politici che non l'hanno capito e soffiano sul fuoco della paura per creare inimicizie e scontro tra i poveri.
Però come facciamo a non ascoltare l'invito a allungare i cordami, e a far spazio ad altri che vengono?
Non siamo più al tempo di Isaia e neppure a quello di William Carey, nondimeno questo testo ci chiama ad aprirci alla speranza di un Vangelo per tutti e per ciascuna.
L'allargamento del telo oggi ha un nome teologico: inclusione.
Dobbiamo imparare a riconoscere gli aspetti problematici della nostra cultura. Ci sono idoli come Marduk in ogni tempo. Forse oggi il mostro che distrugge il mondo si chiama capitalismo spinto, liberismo sfrenato, accumulo insensato di enormi capitali.
Ma Dio ha piantato la sua tenda in questo mondo.
Non l'ha fatto con la tracotanza di Marduk, ma con l'amore di Gesù.
Egli ci fa rivolgere verso il lebbroso, verso la donna dal flusso di sangue, verso il cieco nato, verso gli outcast dei nostri tempi. Il Vangelo è sempre lo stesso e aspetta solamente di essere riscoperto.
La chiesa deve avere la capacità di includere in un mondo che esclude, di accogliere in una società inospitale. Il compito non è facile. Il testo non dice che sarebbe stato facile. Ma ci offre un canto per accompagnare il nostro lavoro di ricostruzione.
Qui sta la nostra missione: offrire speranza ad un mondo rassegnato, annunciando il messaggio del profeta, ma anche mettendo la mano all'aratro senza voltarsi indietro.