Questo sito web utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione.

Così vicini, così lontani

Esodo 32, 1-6
1 Il popolo vide che Mosè tardava a scendere dal monte; allora si radunò intorno ad Aaronne e gli disse: «Facci un dio che vada davanti a noi; poiché quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che fine abbia fatto». 2 E Aaronne rispose loro: «Staccate gli anelli d'oro che sono agli orecchi delle vostre mogli, dei vostri figli e delle vostre figlie, e portatemeli». 3 E tutto il popolo si staccò dagli orecchi gli anelli d'oro e li portò ad Aaronne. 4 Egli li prese dalle loro mani e, dopo aver cesellato lo stampo, ne fece un vitello di metallo fuso. E quelli dissero: «O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto!» 5 Quando Aaronne vide questo, costruì un altare davanti al vitello ed esclamò: «Domani sarà festa in onore del SIGNORE!» 6 L'indomani, si alzarono di buon'ora, offrirono olocausti e portarono dei sacrifici di ringraziamento; il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per divertirsi.
Esodo 33, 7
Mosè prese la tenda, e la piantò per sé fuori dell'accampamento, a una certa distanza dall'accampamento, e la chiamò tenda di convegno; e chiunque cercava il SIGNORE, usciva verso la tenda di convegno, che era fuori dell'accampamento.

Mille volte ci siamo rammaricati, in questo lungo anno di pandemia, per non aver avuto la possibilità di stare assieme, di invitarci alle nostre mense, di abbracciarci e di abbracciare i nostri cari, soprattutto quando erano anziani e soprattutto quando ricoverati in Residenze Sanitarie Assistite. E resta il cruccio, al solo pensiero che anche dopo questa campagna di vaccinazioni, chissà quanto tempo ci vorrà per tornare alle condizioni precedenti.

Stamattina vorrei però fare una piccola inchiesta:
C'è qualcosa che abbiamo imparato di positivo dalla regola del distanziamento sanitario? A parte tutte le cose spiacevoli e talvolta drammatiche, che abbiamo ampiamente sviscerato, possiamo dire, al cospetto del Signore che abbiamo appreso qualcosa di buono da questo forzato distanziamento? (POSSIBILI RISPOSTE Abbiamo imparato di più a star da soli; abbiamo imparato a valorizzare la presenza dell'altro; abbiamo imparato che talvolta la nostra eccessiva vicinanza agli altri può essere dannosa per loro e per noi....)

All'inizio della pandemia, il governo svedese ha tenuto una strategia molto più blanda rispetto alle regole del distanziamento sulla base di due fattori: l'inferiore densità di popolazione della Svezia e quell'atteggiamento culturale (la prossemica), per il quale gli svedesi tendono ad tenersi più distanti tra loro, che ad esempio noi mediterranei.
Purtroppo per la Svezia non pare che queste valutazioni abbiano funzionato quanto si aspettavano le autorità.

Ho riferito questo esempio al solo scopo di mostrare come la questione del distanziamento sia un fattore anche culturale. Ma ha a che vedere anche col rispetto che abbiamo gli uni verso le altre.

Voglio ricordavi un fatto che mi è accaduto tanti anni e che mi ha fatto molto riflettere.
Una sorella di chiesa, non ancora sessantenne, era ricoverata nel policlinico di Napoli dove era stata operata per una neoformazione benigna alle corde vocali. L'intervento non particolarmente difficile andò bene. E per i primi giorni aveva un sondino naso gastrico.
Nel reparto c'era un infermiere, molto allegro, molto amicone, sempre pronto a scherzare. Questo dava, di primo acchito, un'impressione molto positiva di lui. Però più di un malato si lamentava per la sua insufficiente professionalità: non rispondeva alle chiamate, dimenticava di far prendere delle medicine, era evasivo rispetto alle domande degli ammalati.
A nostra spese ci accorgemmo di questo deficit di professionalità quando questa cara sorella si prese una infezione alle vie respiratorie per via del sondino che non era evidentemente trattato con tutte le cautele di sterilità necessarie. Purtroppo a partire da questo episodio questa sorella si aggravò fino a morire.

E' solo un episodio molto triste, ma da allora, forse per il trauma, diffido dal comportamento troppo amichevole e confidenziale, quando c'è di mezzo il lavoro, la professione. La vicinanza, l'empatia, la cordialità vanno bene a patto che siano valori aggiunti al rigore professionale e non quando lo surrogano.

 Ecco cosa ha insegnato a me questo distanziamento sociale: che c'è modo e modo di essere vicini. Uno senz'altro umano, premuroso, e un altro apparente, irriguardoso.
Non sempre comunque è facile capire come ci si deve comportare, perché appunto, come insegna il caso della Svezia, abbiamo modalità diverse per esprimere questa nostra vicinanza agli altri.

E con Dio?
Ed eccoci arrivati al testo biblico di questa mattina.
 Dalle parole che introducono il capitolo 32 dell'Esodo, si evince che il popolo d'Israele, non sopporta la distanza.
 Mosè tarda a tornare e quindi anche Dio, secondo loro, non si fa vivo. Questa attesa è snervante, e infine insopportabile.
 E dunque cosa fa il popolo? Chiede ad Aaronne di fargli un idolo che vada davanti a loro.
Aaronne non batte ciglio. Non obietta, non sconsiglia, non si oppone.
In quattro e quattr'otto si procede a farsi un idolo con quanto di più prezioso si abbia a disposizione e lo si riconosce artefice stesso della liberazione dall'Egitto. Si costruisce questa statua di vitello e gli si offrono sacrifici di rendimento di grazie.
Dio deve essere vicino ai bisogni del popolo e se il vero Dio è ritenuto latitante, o se solo tarda secondo le proprie aspettative, allora si procede con delle surroghe. Surroga di vicinanza, appunto. Vicinanza apparente. Sacrifici, festa, canti, come se fosse tutto vero, mentre è tutto goffamente recitato.

Da qui in poi, il narratore biblico mostra una grande raffinatezza a cogliere con sfumature di linguaggio, le conseguenze.
 Dio è adirato e Mosè cerca di calmarlo. Addirittura riesce a farlo pentire dal proposito di fare piazza pulita. Ma poi, quando Mosè scende e vede coi suoi occhi quel che ha fatto il popolo, si accende di ira e si comporta proprio come aveva scongiurato Dio di non fare. E poi l'autore ci fa notare l'ipocrisia di Aaronne, quando racconta che lui aveva buttato nel fuoco quell'oro e ne era venuto fuori un vitello, quasi che l'opera fosse stata spontanea e non frutto di mani umane, e dunque della responsabilità, del popolo. Aaronne è il prototipo del politico che agisce secondo il volere del popolo, anche quando questa volontà è sconsiderata.

Più avanti, al capitolo 33 viene riportato che la tenda di convegno, dopo la terribile crisi dell'idolatria del popolo, fu eretta da Mosè “fuori dall'accampamento" del popolo. Dio era tornato a stare in mezzo al loro, ma non troppo vicino.
Geremia aveva detto: “Sono io forse Dio solo da vicino e non anche Dio da lontano?”.

Spero che vediamo con maggiore chiarezza la tensione di due aspetti biblici che vogliono essere tenuti insieme in una dialettica costante.
Da una parte l'umanità di Dio, per esprimermi con le categorie di Karl Barth. Dio è “Dio con noi”, l'Emmanuele. Nel suo essersi incarnato si è fatto infinitamente vicino alla condizione umana, condividendone il destino di morte e la morte più ignominiosa di tutte a quel tempo: la croce.
Ma al tempo stesso, Dio rimane il Totalmente Altro. Egli si sottrae al nostro tentativo di farcene un idolo che vada davanti a noi, sempre pronto a benedire qualsiasi cosa facciamo e che noi chiamiamo “volontà di Dio”.

Dio non si lascia sequestrare, né dalla nostra teologia, nè dalle nostre istituzioni e neppure dai nostri sacramenti.

Ascoltate quel che dice il grande teologo Paul Tillich:
“La nostra vita religiosa è riconoscibile per l'immagine di Dio che l'uomo si crea. Penso al teologo che non aspetta Dio, perché lo possiede rinchiuso in un edificio dottrinale. Penso allo studente in teologia, che non aspetta Dio, perché lo possiede rinchiuso in un libro. Penso all'ecclesiastico che non aspetta Dio, perché lo possiede in un' istituzione. Penso al credente che non aspetta Dio, perché lo possiede rinchiuso nella sua propria esperienza.. Non è facile sopportare questo non avere Dio, questo aspettare Dio. Non è facile predicare domenica dopo domenica, senza pretendere di possedere Dio e senza pensare di poter disporre di Lui. Non è facile predicare Dio a fanciulli, a scettici e atei e nello stesso tempo far loro comprendere chiaramente che noi stessi non possediamo Dio, che anche noi lo aspettiamo... Noi siamo più forti quando aspettiamo che quando possediamo”.

Viviamo in questo campo di tensione di un Dio che ci è talmente vicino che possiamo dire con Paolo l'apostolo, “non sono più io che vivo, ma Cristo abita in me”, e d'altra parte la consapevolezza che questa vicinanza diventa una maniera con la quale possiamo mancare di rispetto a Dio e pensando di poterlo costringere a fare tutto quello che vogliamo noi.

Il testo dunque, letto in questa contingenza storica è una domanda, sulla nostra cedevolezza all'idolatria. Abbiamo saputo aspettare. Abbiamo saputo rispettare questa distanza. Abbiamo imparato a vivere anche con Dio, nella tensione tra vicinanza e lontananza?

Io credo, infine, che dovremmo imparare a vivere in questa medesima tensione anche nel rapporto col nostro prossimo. La categoria del rispetto, e la rinuncia ad ogni forma di manipolazione, dovrebbe riguardare le nostre relazioni a cominciare proprio da quelli che sono a noi più vicini.

Mi chiedo se almeno in parte il fenomeno così detto dei femminicidi, non sia legato a quest'idea della prossimità e dell'annullamento della distanza per cui certi uomini ritengono che la propria donna sia talmente parte di loro stessi da avere il diritto di disporne a piacimento.

La persona più vicina e che mi è più intima, è e rimane una persona altra da me, il suo desiderio non può essere ricondotto al mio, la sua volontà non può essere subordinata e manipolata dalla mia. E alla fine, l'altro o l'altra resta comunque un mistero inaccessibile quanto lo è Dio stesso.

Insomma come voi auspico la fine di questo terribile periodo che ha impedito la nostra vicinanza, i nostri abbracci, la nostra maggiore prossimità fisica, ma vorrei imparare la lezione del “Dio con noi”, la cui tenda è però sempre fuori del nostro accampamento e non si lascia trasformare in un Dio tribale o di famiglia.