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Un Dio che si fa bambino

Genesi di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo” (Matteo 1,1)

“Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all’epoca del re Erode. Dei magi d’oriente arrivarono a Gerusalemme dicendo: ‘Dov’è il re dei Giudei che è nato?
Perché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo’” (Matteo 2, 1-2)

Il Vangelo di Matteo presenta uno dei due racconti che narrano le vicende della nascita di Gesù. Questo racconto ha un sapore unico. L’autore vive una trepidazione particolare mentre porge ai suoi uditori, alla sua chiesa questo racconto.

Il figlio della terza promessa – Figlio di Abramo
Il racconto rappresenta un vero nuovo inizio: la prima parola che Matteo usa è “Genesi” proprio come il primo libro della Bibbia. Ma il racconto del nuovo inizio affonda le sue profondissime radici nella storia d’Israele. Gesù è figlio di Davide, figlio di Abramo. L’Evangelista vive una trepidazione particolare mentre esplora queste radici antichissime e man mano ritrova perle antiche, parole donate, promesse offerte alla memoria collettiva di Israele che in questo nuovo inizio si compiono. Mirabilmente.
Abramo e Sara, i pellegrini in cerca di patria, coloro che si erano messi in cammino sulla base della nuda parola di promessa, avevano visto nella loro vita soltanto l’adempimento della prima promessa, tanto a lungo attesa: la nascita di un figlio e l’apertura verso il futuro. Questo bimbo fu il primo adempimento. La seconda promessa sarebbe stata adempiuta molto tempo dopo ma mai pienamente, definitivamente, quella della terra. Terra agognata, terra ricevuta, terra violata, terra di nuovo persa, terra ogni volta contesa. La terza era la promessa che attraverso Abramo Dio avrebbe inteso estendere la benedizione ai confini della terra: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Genesi 12, 3)
Ecco Gesù che portava racchiusa nel suo nome la parola “salvezza”, era il figlio di Abramo, colui nel nome del quale tutte le famiglie della terra potevano essere benedette. L’evangelista Matteo vedeva sotto i suoi occhi materializzarsi questa promessa mentre ebrei e greci, schiavi e liberi, donne uomini si convertivano al Dio d’Israele per mezzo dello Spirito cui l’annuncio di Cristo Gesù era indissolubilmente legato. Il nuovo inizio di Dio in Gesù ha aperto la fede al mondo e il mondo alla fede. L’orizzonte si allarga a dismisura. Se ne accorge il cielo dove brilla una stella speciale, se ne accorgono uomini di culture lontane abituate a decifrare il cielo per nutrire la speranza in terra. Così Matteo, “scriba per il Regno dei cieli” trova nel suo tesoro promesse antiche e vicende nuove ed è capace di metterle insieme attraverso una semplice frase ripetuta tante volte: “Tutto ciò avvenne perché si adempisse quello che era stato detto per mezzo del profeta”.
Gesù è il figlio della terza promessa, l’ultima, la definitiva. L’orizzonte del Natale è ampio come il cielo e la terra, largo come oriente e occidente, punto finale di una storia antichissima e inizio di una storia nuovissima senza con-fine.

Il Dio bambino – Figlio di Dio
La storia che Matteo ci scrive ci porta ad una altra riflessione importante. Il piccolo che nasce, figlio della terza promessa, viene da un concepimento speciale, avvenuto per l’opera dello Spirito Santo. Il piccolo che nasce è figlio di Dio. La storia che Matteo racconta ci fa riflettere su cosa questo significhi. Il Dio che si fa figlio comincia con il farsi bambino, è il Dio che si fa fragile e indifeso.
Non c’è nulla al mondo di più indifeso di un neonato. Ogni piccolo ha bisogno per la sua sopravvivenza della protezione dei suoi genitori. Senza quella muore in poche ore. Nella vicenda di Gesù questo aspettom che è di ogni bambino che nasce, si radicalizza. Gesù non è soltanto bisognoso di cure per la sua sussistenza, egli è bisognoso di protezione dalla violenza, dal male, dalla minaccia mortale di Erode.
Maria e Giuseppe, guidati dalla parola dell’angelo, salvano Gesù portandolo lontano, in Egitto e soggiornando da rifugiati in quella terra per alcuni anni. Il salvatore salvato! Se Gesù è il figlio di Dio, se è incarnato, cosa significa questo? Significa che dobbiamo noi proteggere Dio nella sua fragilità? Un concetto difficile da capire se non facciamo qualche esempio concreto. L’esempio più vicino a quello che intendiamo dire, viene da una preghiera di Etty Hillesumm una giovane ebrea olandese deportata e poi morta ad Auschwitz. Leggiamo da pagina 169 del suo Diario:
“Mio Dio sono tempi angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi ma siamo noi a dover aiutare te, e , in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini (...) tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. (...) Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con te. Discorrerò con te molto spesso d’ora innanzi e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi”
Per Etty Dio in lei era in pericolo. La brutalità, il male, l’odio potevano distruggere in lei Dio stesso, la sua fragile fede. Lei sentiva su di sé la stessa responsabilità che fu di Maria e Giuseppe: bisogna difendere Gesù. Devo difendere Dio in me che è minacciato dalla brutalità. Dio in me è il mio legame con Dio, la mia fiducia in Lui, la mia speranza, la mia possibilità di vivere dell’amore di Dio, di credere in questo amore. Questa è nostra responsabilità, perché la nostra fede vive costantemente sotto minaccia. L’odio, il torto subito è la principale minaccia, ma anche un forte dolore, una solitudine improvvisa può minacciare Dio in noi. La nostra fede è piccola, fragile, proprio come è piccolo e fragile un bambino. Etty trova che per resistere lei non deve perdere mai contatto con il suo Dio e nutrirsi di Lui l’aiuterà a non perdere Dio e quindi a non perdere se stessa.

Il Re dei giudei – il figlio di Davide
Matteo è l’unico evangelista ad usare l’espressione “Re dei giudei” prima che questa espressione sia usata alla fine del Vangelo come descrizione dell’accusa che portò alla condanna di Gesù a morte. La genealogia e la storia dell’“adozione” di Gesù da parte di Giuseppe ci dicono che Gesù è di stirpe reale, figlio di Davide. Dunque il messia atteso, il prescelto d’Israele! Ma Gesù fu re? Tutto il Vangelo, anzi tutti gli Evangeli che raccontano di Gesù, raccontano come Gesù sfugga a qualsiasi definizione. Egli è figlio di Abramo, sì, ma più che questo, Gesù fu come Mosè ma fondò una legge nuova (Ma io vi dico...), fu profeta come Giona ma molto più di questo, fu il Messia ma diverso da come ci si aspettava che fosse. Anche se vengono usati titoli, questi non sono mai sufficienti per abbracciare l’identità di Gesù. Fra i vari titoli in questi due primi capitoli del Vangelo c’è questo titolo, re dei Giudei, figlio di Davide. Questi furono titoli veri eppure tutti da ridefinire. Gesù fu servo ma fu anche re: fu re senza trono e senza scettro ma che ereditò nome, trono e scettro eterno.
Non ebbe mai potere regale, né visse in una reggia ma possiamo dire che Gesù non ebbe potere regale? Ne ebbe, certo, potere di guarire, potere di svelare, di discernere, di giudicare, potere di salvare.
A Natale, parliamo di un re bambino. Che potere ha un bimbo? Un bimbo ha il potere di attrarre a sé, un bimbo suscita amore, è capace di creare un legame che non passa nelle parole ma inonda direttamene l’animo.
Verso un Re bambino non è adatta la preghiera d’intercessione o quella di confessione di peccato ma la silenziosa, stupita adorazione. La tenerezza ci invade, ci riscalda il cuore, questo è il miracolo compiuto dal re bambino.
Adorare è aprirsi al mistero, è lasciare un vuoto senza paura, un fare silenzio, è tempo sospeso che assume i caratteri dell’eternità. Adorare è non sottrarsi all’amore di Dio che tutto avvolge. Adorare è cullare e lasciarsi cullare. E’ resa all’amore senza condizioni. Grati di esistere.