Questo sito web utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione.

Sono tutti figli nostri

Testo: Giovanni 6,1-15

4 ottobre 2013. Sul quotidiano “Il Messaggero” viene pubblicato un articolo di Laura Bogliolo intitolato Sono tutti figli nostri. Il titolo riporta la frase delle mamme di Lampedusa di fronte ai corpi di 4 bambini portati dal mare: il più piccolo aveva un anno, il più grande sei. Ma i corpi in totale sono centinaia, che pian piano vengono recuperati e adagiati sulla spiaggia dei conigli in seguito all’ennesimo naufragio in mare di un barcone proveniente dalle coste africane.

Questi corpi sono di persone che non sono arrivate in tempo per fare una richiesta d’asilo, che non sono arrivate in tempo per diventare clandestine o che non sono arrivate in tempo per trovare una casa e un lavoro in Italia. Molti non arrivano in tempo. Folle di persone non arrivano in tempo, molta gente non arriva in tempo per chiedere quello di cui ha bisogno.

“Chiedete e vi sarà dato”. Ma cosa succede quando non si arriva a chiedere?

Nel brano di Giovanni che abbiamo appena letto, al versetto 5, c’è scritto: «Gesù dunque, alzati gli occhi e vedendo che una gran folla veniva verso di lui, disse a Filippo: “Dove compreremo del pane perché questa gente abbia da mangiare?”.»

La folla gli va incontro e Gesù si interroga sul da farsi. Ma non c’è richiesta. In questo racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, nessuno dice di avere fame. Nessuno chiede a Gesù da mangiare, la folla non chiede nulla a Gesù per la verità.

Quando si fa una richiesta c’è un soggetto che fa una domanda e un altro soggetto che si prende un tempo variabile per valutare quella domanda, e poi dare una risposta (dalla domanda più semplice: “Come stai?” alla domanda più complessa al Comune di Milano per ottenere un permesso per la chiesa battista). Quando qualcuno fa una domanda c’è il tempo di pensare se quello che ci è stato chiesto ci va bene, abbiamo tempo di valutare se è una richiesta legittima, se è una richiesta possibile e poi rispondiamo. Alla base, dunque, c’è l’espressione di una necessità.

Qui la gran folla seguiva Gesù, perché vedeva i miracoli che egli faceva sugli infermi.

Gesù dice ai discepoli di accoglierli e farli sedere, e gli dà qualcosa da mangiare. Questo gesto, far sedere e dare qualcosa da mangiare, è un gesto molto ricorrente nelle nostre famiglie. Quando arriva una persona a casa nostra, per accoglierla le diamo un posto a sedere e poi le offriamo qualcosa da bere o da mangiare (a seconda delle ore della giornata e delle tradizioni: un caffè, un piatto di pasta, un gelato, un thè). È un gesto di ospitalità piuttosto diffuso in tutte le culture e in tutte le tradizioni.

Ma qui non si tratta neppure di ospitalità, perché Gesù li accoglie, li fa sedere, provvede a loro, e non si preoccupa se capiranno il suo gesto. Gesù non si preoccupa che le persone capiscano quello che lui sta facendo in quel momento per loro (e, infatti, non lo capiranno).

Dunque, non c’è richiesta di qualcosa, ma c’è un gesto di cura spontaneo, un gesto di amore che sembra quello di una madre, che non agisce perché gli viene chiesto, un gesto che non nasce dalla necessità di qualcosa, amore che si prende cura oltre il proprio interesse, oltre se stesse; come quello di una madre perché accetta anche che i figli possano non capire il suo gesto. Gesù sa che quello non è il tempo in cui capiranno l’importanza e la bellezza di quel gesto, che non è quello il momento in cui quei figli capiranno l’amore sconfinato di chi hanno di fronte, così come da bambini non sempre si capisce fino in fondo l’amore di una mamma.

Questo gesto, dunque, ci dice qualcosa su Gesù. «Gesù quindi prese i pani e dopo aver reso grazie li distribuì alla gente seduta; lo stesso fece dei pesci.»

Siamo poco prima di Pasqua, e Gesù prende del pane. Dopo qualche tempo in occasione di un’altra Pasqua Gesù prenderà del pane e lo darà a coloro che lo hanno seguito: sarà l’ultima cena con i suoi discepoli. Pane donato a coloro che lo seguono, nell’Ultima cena, pane donato a coloro che lo seguono, ora.  

In entrambi i racconti, questo pane è usato da Gesù per mostrare qualcosa: è simbolo che esiste una possibilità diversa da quella visibile. C’è una condizione visibile nella concretezza del pezzo di pane e una condizione diversa messa in atto da Gesù. C’è un momento in cui 5 pani d’orzo ovviamente non bastano per cinquemila uomini e, poi, un momento in cui con 5 pani d’orzo viene sfamata una folla.

Con questo pane viene compiuto un gesto verso questi figli che non serve a soddisfare una necessità bensì a mostrare una possibilità diversa da quella visibile.

Gesù, in questo brano, rende possibile qualcosa che va oltre l’evidenza; apre un’altra possibilità, che va oltre quello che i nostri occhi vedono e le nostre menti concepiscono. Con questo pane ci viene mostrato che c’è un altro modo di vedere le cose, che il mondo non ha un solo modo per essere guardato.

C’è un altro aspetto che hanno in comune i due racconti. Il gesto del donare il pane ritorna sempre a Pasqua. La Pasqua era il periodo dell’anno in cui il popolo ricordava la fuga dalla schiavitù in Egitto verso la libertà sognata. A Pasqua si ricorda un momento in cui il popolo di Israele non si arrende alla condizione di vita in Egitto e si lancia verso una nuova possibilità: crede in una realtà diversa da quella che sembra l’unica realtà possibile.

Dunque, con questo pane Gesù ci offre la possibilità di lanciarci nel mondo e portare con noi questa visione di una realtà diversa, di sapere che noi folla siamo artefici ogni giorno di questa realtà diversa, di avere il coraggio di osare oltre la necessità, e di compiere piccoli gesti che aprano dei nuovi spiragli in cui questa realtà diversa diventi visibile al mondo.

Con questo pane Gesù ci offre la possibilità di osservare il mondo e cogliere questi spiragli di realtà diversa.

In questa ultima settimana abbiamo tanto sentito parlare della Grecia: Grecia dentro o fuori dall’euro, incontri dell’Europarlamento, incontri tra ministri delle finanze e dell’economia.

Non so se qualcuno di noi ha sentito un’altra notizia sulla Grecia. In questa settimana, il Parlamento greco ha dato il via libera alla proposta di legge dello Ius soli temperato. Questo significa che i figli di immigrati regolari se nascono o se sono nati in Grecia sono a tutti gli effetti cittadini greci.

Cogliere spiragli di una realtà diversa! Una nazione che da settimane è nell’incertezza sul suo futuro, ci mostra uno spiraglio di una realtà diversa. Esiste un’Europa che crede davvero che “sono tutti figli nostri”, non è questione di non avere lavoro per i nostri figli, o di non avere uno Stato che possa assicurarci stabilità e ricchezza. Servono piccoli gesti che mostrino al mondo che c’è un’altra possibilità di vedere le cose e che questa possibilità può diventare la realtà.