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Alla ricerca delle cause della schiavitù

Testo: Esodo 3, 7 e 8b

L’Esodo può essere definito come un uscire da una terra dove scorrono lacrime e sangue, per entrare in una terra dove scorre il latte e il miele. L’Esodo è un cammino nel segno della liberazione dalla schiavitù. L’Esodo è evento costitutivo della fede di Israele, e più tardi, anche della fede cristiana. Il racconto della nascita di Gesù secondo Matteo, ad esempio, può essere letto come un nuovo Esodo per mezzo di un novello Mosè: Gesù di Nazareth, che guiderà il popolo verso il Regno della libertà. E l’Ultima Cena di Gesù coi discepoli, si celebrò, secondo i sinottici, nel contesto della cena pasquale ebraica che ricordava, appunto, la liberazione dalla schiavitù d’Egitto.

Ma non è tutto. L’Esodo rivela qualcosa di essenziale anche della identità di Dio: Dio è parziale. Egli non è al di sopra della parti e non si mostra egualmente comprensivo del "grugnito" del popolo (questo letteralmente il senso del lamento) e delle ragioni del Faraone (ad esempio dei suoi sogni inquietanti, come quello della vacche magre che mangiano quelle grasse).

Dio sta dalla parte degli oppressi.  Egli ascolta, e vede le condizioni degli schiavi. Dunque l’Esodo è testimonianza e monito che, se vuoi stare dalla parte di Dio, non puoi pensare di arruolarlo nelle tua fila con cerimonie religiose e formule magiche, ma piuttosto devi metterti in cammino insieme a chi è in marcia per affrancarsi dalla servitù. Devi metterti tu dalla parte di Dio.

L’Esodo racconta la condizione di scacco di questo popolo di schiavi quando si trova nelle prossimità del Mar Rosso, ed ha, alle spalle, l’esercito di Faraone che lo insegue, e davanti un mare, che non sa come attraversare. L’Esodo racconta di come questo popolo angariato riesca a superare l’ostacolo, mentre i carri del Faraone, i suoi cavalli e il suo esercito di tutto punto armato, faccia naufragio e sia inghiottito dalle onde. In questo, l’Esodo racconta qualcosa di molto diverso da quanto vediamo accadere, sgomenti, ogni giorno.

L’Esodo è scritto perché chiunque sia nella schiavitù, in qualsiasi epoca, possa continuare ad avere le forze per sperare e lottare, e chiunque invece sia dalla parte degli angariatori, riceva il monito a temere Dio e le conseguenze del proprio agire scellerato.

Già da questi pochi, essenziali richiami, possiamo comprendere il significato straordinariamente attuale anche per noi di questo evento.

Chi gira la faccia dall’altra parte, chi palesemente o segretamente si compiace del naufragio di tante persone, dicendo a se stesso, “così imparano, così si fermeranno”, o ancora peggio, chi cerca di trarre vantaggio politico, anche minimo, da questa tragedia, (tra i persecutori o tra i finti soccorritori) sta dalla parte del Faraone.

Ma questa mattina, seguendo il filo di una riflessione fatta da Walter Brueggemann, voglio cercare di indagare, anche solo un po’, le cause che hanno indotto quel popolo a trovarsi in condizioni di così grave schiavitù.

In Esodo 1 siamo informati che gli ebrei venivano usati e vessati per costruire due città egiziane Pitom e Ramses (1,11).

E’ interessante questo riferimento perché la scrittura non dice il nome del faraone, ma poi specifica i nomi di queste due città, la cui esistenza storica è tutt’altro che accertata. Ma quel che conta ancora di più è che queste città sono chiamate “città magazzino”. Deve trovarsi un significato in questa specificazione, ma quale?

Significa che gli schiavi, tra cui c’erano ebrei ma anche tanti egiziani, erano impegnati a costruire città che servivano a conservare immense riserve di cibo e di semi.

Facciamo una piccola premessa: a causa delle periodiche e benefiche tracimazioni del Nilo, la parte dell’Egitto che vi si affacciava godeva di una fertilità anche nei periodi di prolungata siccità che periodicamente affamavano i paesi e i popoli vicini.

Dunque Faraone fa costruire dei magazzini in città interamente dedicate alla custodia e alla difesa di queste immense riserve di cibo e, soprattutto di sementi, ma anche pesce secco.

Gli altri popoli vicini, compresi quelli che vivevano a Canaan, venivano in Egitto a comprare cibo in tempo di carestia. Il grano diventava "grana", denaro. E questo faceva prosperare il Faraone.

Il quale, però, nel testo biblico, viene colto anche in una sua fragilità onirica. Egli fa brutti sogni. Sogni ossessivi: sogna di vacche magre che si mangiano quelle grasse e continuano e rimanere magre. Egli è ossessionato dall’idea di perdere questo suo potere di essere nutritore dell’Oriente.

Chi accumula, spesso è ansioso. Ha l’ansia di perdere il proprio privilegio, ha l’ansia che qualcuno insidi la sua ricchezza smisurata. Ha l’ansia della sua cattiva coscienza.

Questa ansia, nel caso di Faraone, si traduce quindi in un programma economico e politico che ritroviamo nel capitolo 47 della Genesi.

Qui leggiamo che in seguito ad una di questa carestie, sia alcuni abitanti di Canan, sia altri egiziani di zone più povere, vengono a comprare il cibo. Cibo contro soldi. Ma poi la carestia continua e questi, affamati tornano di nuovo. E allora sono pronti a vendere il loro bestiame, anche quello che serviva per arare, e lavorare la terra, in cambio del pane. (Senza acqua e cibo anche gli animali sarebbero presto periti)

Ma quando la carestia continua, costoro non hanno più cibo, non hanno più semi, e non hanno più bestiame per lavorare la terra.

Ed ecco che avviene il “grande miracolo” a favore del Faraone che viene a placare, almeno per po’, le sue ansie diuturne. I colpiti dalla carestia ritornano e dicono: “Non abbiamo più cibo, non abbiamo più soldi, non abbiamo più semi, non abbiamo più i mezzi per produrre. Che faremo per sfamarci?” E perciò essi si consegnano schiavi, liberamente, nelle mani del Faraone. Il “miracolo” sta nel fatto che il Faraone riesca ad ottenere, per scelta volontaria, quanto gli sarebbe costato tanto in termini repressivi e militari se avesse voluto imporlo con la forza.

Il funzionario del Faraone dà loro sementi per seminare e cibo per mangiare ed essi cosa dicono?  “Tu ci hai salvato la vita! Ci sia dato di trovar grazia agli occhi del nostro signore, e saremo schiavi del Faraone”. Che trionfo! Che apoteosi! Che capolavoro di politica economica ed espansionistica!

Ottenere il predominio, diventare signore indiscusso e depositario della libertà altrui, semplicemente usando il pane, il quale però non si declina più con la libertà (dalla fame) ma con la schiavitù, non più con la vita ma con la morte. Bisogna affamare un popolo se lo si vuole veramente dominare e controllare: ecco la lezione di politica economica che impariamo da queste pagine.

Che grande “miracolo” è in grado di fare la crisi! Certe carestie che sono una iattura per alcuni, fanno invece la fortuna degli abili faraoni!.

Noi ce la prendiamo con gli scafisti. Alcuni pensano di andare a colpirli con precisione chirurgica mentre mettono le loro barche in mare.  Sarà possibile? Con i droni? E come non si riesce a capire che quand’anche si riuscisse in questa impresa questo non sposterebbe di nulla il problema di quei profughi che scappano avendo alle spalle l’esercito del Faraone?

Ma il testo biblico punta più in alto, esso indica il Faraone e il suo piano economico.

Il “miracolo” si è compiuto anche in mezzo a noi. Faccio solo qualche esempio:

Se tu chiedevi, qualche anno fa, ad un operaio di andare a lavorare in una fabbrica che inquina e che produce morte sia per chi ci lavora che per chi abita nelle vicinanze, non avresti trovato collaborazione. Ma ecco che davanti ad una disoccupazione alle stelle, le persone non solo diventano disponibili, ma sono addirittura felici di darsi la morte a piccole dosi. E questo vale a maggior ragione per tanti lavori che vengono offerti in condizioni di sfruttamento. Ormai oggi quando si cerca un lavoro e ci si trova davanti ad una offerta, si è talmente felici, che nessuno osa chiedere: quali sono le condizioni? Cosa guadagnerò? Lavorare è talmente un privilegio che il salario è un optional.

L’ultima osservazione che voglio fare su questa questione e che riguarda il testo di Genesi 47 è che il funzionario che mette ad effetto la politica del Faraone è Giuseppe. E’ una amara ammissione. Lo so. Non vorremmo dirlo. Talmente ciò viene ad oscurare una figura che siamo abituati a considerare a tutto tondo, di alto profilo morale e spirituale. Giuseppe lo ricordiamo, infatti, anche per la sua capacità di perdonare i fratelli quando sarebbe nelle condizioni di vendicarsi, è un eroe biblico.

Ma i lettori attenti della Bibbia non si scandalizzano, perché sanno che la Scrittura non ha riguardi per nessuno, neppure per il grande Davide, quando poi si comporta ingiustamente verso Dio e verso gli uomini.

Quello che a noi serve comprendere è qualcosa di straordinariamente attuale: Giuseppe, che era stato venduto schiavo dai fratelli per invidia e per interesse,  diviene parte della amministrazione del Faraone e contribuisce ad un modello di sviluppo (o di sottosviluppo) che genera nuovamente schiavitù ad un livello, adesso, macroeconomico. E’ come se il testo ci avvertisse: Se non vigiliamo quando sembra che tutto vada bene, anche alcuni tra quelli che si considerano eredi dei liberatori, si possono trasformare, magari inconsapevolmente, in complici di un nuovo regime.

L’esodo per i nostri fratelli e sorelle rifugiati politici che vengono coi barconi ha comunque anche delle differenze con la metafora biblica. Non solo perché gli scafisti non sono assimilabili a Mosè, ma anche perché i fuggiaschi rischiano di passare da un Faraone ad un altro. Quel che li attende non pare affatto il paese dove scorre il latte e il miele, almeno per loro.

Il monito è a stare attenti per sottrarci al sistema fagocitante del Faraone, capace di trasformare ognuno di noi in agenti della sua politica scellerata.

Ricominciamo perciò dalle parole di Dio:

Esodo 3,7 e 8

Dio vede, ascolta e interviene a favore degli schiavi di ogni tempo. Questa è la sua identità, confermata anche in Cristo Ascoltiamo la voce di Dio e seguiamo il suo volere, se vogliamo sottrarci alle seduzioni del sistema economico del Faraone.