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Il figliuol prodigo

Testo: Luca 15,1:2 - 11,32

Qual è il significato di questa parabola? Facile. Non è vero?
In un certo senso,  questa storia è cresciuta con me. La ricordo dalla mia più giovane età, quando frequentavo  ancora la parrocchia cattolica dove ho trascorso la mia adolescenza.

1. Il figliuol prodigo
Lì imparai il primo significato della parabola, principalmente in riferimento al figlio giovane.  Questi volendo esplorare il mondo, era pronto a fare esperienza di qualsiasi cosa gli capitasse.
Nel 1968, avevo 13 anni e la parabola, in quegli anni, mi raggiungeva come un monito a stare attento a non perdermi nella ricerca di una libertà "eccessiva".
Infatti, cosa fa questo giovane "ribelle"?
Decide che non ne vuole più sapere di patria e famiglia. Vuole la sua eredità, tutta, e subito!
Ascoltavo il significato di questa parabola negli anni in cui si leggeva Jack Kerouak "On the road"; negli anni della "fantasia al potere" e della rivoluzione sessuale.
Oltre tutto, mi veniva fatto notare, che questo giovane figlio si comporta come se il padre fosse morto.   Egli mostra di non avere  riguardi per il padre. Il padre deve essere "ucciso", se non fisicamente, simbolicamente.
Parte, questo giovane figlio, e il suo motto sembra essere  "Why not?", "Perché no?". E la filosofia del "bisogna sperimentare tutto nella vita..." 
In verità, se hai una simile filosofia, e  in tasca hai un bel mucchio di soldi che non hai guadagnato col tuo lavoro, (perché anche se ti sei ribellato al padre, sei pur sempre un "figlio di papà!") sei a rischio di fare brutte esperienze.
Ed è esattamente quel che accadde.
Egli dissipò il suo denaro in cose stupide se non addirittura negative. E alla fine di quella avventura alla ricerca della libertà e della felicità, si ritrovò a mangiare... coi maiali. La fine del suo viaggio verso la felicità fu la solitudine e l'approdo del suo viaggio verso la libertà fu una condizione inaspettata di schiavitù degradante (...nessuno gliene dava).
Ecco quindi che il giovane decide di tornare sui suoi passi. Allora "rientrò in sé", e fece un ragionamento che assomiglia molto ad un cinico calcolo, per la verità: "Se ritorno,  -disse fra sé- anche se non sarò reintegrato nella condizione di prima, me la passerò meglio."
Perciò bisogna evitare di considerare questo "rinsavimento" come un pentimento cristiano. La decisione, infatti,  appare inquinata da ragioni utilitaristiche.
Per anni ho pensato che questa parabola riguardasse il figlio giovane, "prodigo", "dissipatore".
Quando sono diventato adulto, e soprattutto quando sono diventato pastore, ho capito però che le chiese non sono popolate di tanti ex-ragazzi "ribelli", e neppure di persone che hanno osato avventure temerarie. Sicuramente ce n'è qualcuno.  Ma non tanti.
Ho fatto esperienza che le chiese, le nostre chiese, sono popolate piuttosto da persone che rispondono all'identikit del fratello maggiore.
Molta popolazione delle nostre chiese è formata di persone di classe media, che sono nate in una famiglia di evangelici e/o di battisti. Persone perbene. 
Quindi, pur nel condiviso convincimento che "siamo tutti peccatori e privi della gloria di Dio", non ci sono  tanti tra noi che possano raccontare piccanti storie di vita dissoluta.

2.   Il fratello maggiore,  moralista
Rivolgiamo, allora, l'attenzione al fratello maggiore.
Questi non lasciò mai la casa del padre. E tuttavia la parabola fa notare che anche lui era "perduto".
Egli, diversamente dal giovane fratello, vive una vita moralmente irreprensibile: lavora con impegno e contribuisce alla ricchezza della casa. Nondimeno anche lui si "perde". In un certo senso è perfino "più perduto" dell'altro.
Se il fratello giovane risponde allo stereotipo del progressista e libertario (e libertino), la personalità del maggiore sembra rimandare ad un carattere decisamente più conservatore: la famiglia, le tradizioni, la gestione del patrimonio.
Se fosse stato un elettore, probabilmente avrebbe votato per un partito di centro destra, per uno di quei partiti che hanno a cuore i  "valori cristiani", o almeno così dicono. E naturalmente costui non può che biasimare il comportamento e le scelte del suo più giovane fratello, al punto di rimproverare finanche il padre, giudicato debole e ingiusto.
Il fratello giovane si era perso nella sua dissolutezza. Lui si era perso piuttosto nel suo senso dell'ordine e del dovere.
Il fratello si era perso nella ricerca della felicità, il maggiore nella tristezza come orizzonte ultimo della vita. Il fratello minore  si era perso nello "spreco" e lui si perde nell'"accumulo".
Tutto questo diventa chiaro quando il padre decide di perdonare il giovane figlio ritornato a casa.
Il padre gli restituisce dignità e diritto di figliolanza. Gli fa mettere l'anello al dito: insomma gli da' di nuovo il blocchetto degli assegni! Questo è troppo per il fratello maggiore. Non è possibile un simile comportamento: "Ma non ti rendi conto di quello che fai?" questo sembra essere il suo rimprovero al padre.
Questa è forse  la ragione per cui nelle nostre chiese, ci sono così poche persone che hanno vissuto la vita del giovane fratello: ci sono tanti, troppi, fratelli maggiori, responsabili, virtuosi e inflessibilmente moralisti!
Il moralismo del fratello maggiore è la ragione del suo perdersi ma è anche un deterrente al ritorno dell'altro.
A questo punto la parabola ha una domanda per tutti noi:
Tu che fratello, o sorella, sei? Anzi meglio: tu che tipo di fratello "perduto" sei? Quello morale o quello immorale? Quello vizioso o quello virtuoso?
Cosa è diventato barriera tra te e il Padre, la tua vita "ribelle" o la tua vita "obbediente"?
Quanto dolore hai inflitto agli altri per cercare la tua gioia? Oppure quanta sofferenza hai loro somministrato a causa della tua rigidezza? Sei un peccatore di sinistra o di destra?
O forse,  addirittura, sei stato tutti e due questi fratelli, magari prima l'uno e poi l'altro?

3. Il padre amorevole
Tutti noi, comunque, siamo parte di una comunità di cristiani di tradizione evangelica e sappiamo quale sia il vero titolo corretto della parabola. Non è vero? Qual è?  "Il Padre amorevole"
La parabola di Gesù ha il suo focus principale nell'amore del padre.
Questa parabola abbiamo imparato a chiamarla, più correttamente, "del Padre amorevole".
Il padre rispetta la decisione del figlio di voler partire.
Il padre non lo dimentica  e perciò scruta, ogni giorno, l'orizzonte.
Il padre non esita a correre, malgrado l'età e la sua autorità, per andare incontro al figlio.
Il padre non lesina abbracci e baci.
Il padre perdona e restituisce al figlio la perduta dignità.
Il padre organizza una festa, forse la più grande, perché il ritorno va celebrato.
Ma il padre è anche colui che va incontro al figlio maggiore e lo invita ad entrare.
Il padre accoglie il lontano, ma anche il vicino.
Ecco perché, giustamente, la parabola deve essere intitolata "del padre amorevole".
Dobbiamo dire che questo PADRE assomiglia molto a una MADRE.
Egli/ella è amorevole, ma anche giusta. Compie la giustizia per mezzo dell'amore. Solo questo padre/madre sa mettere insieme, in maniera così mirabile, giustizia e amore, paternità e maternità!
(Le due mani del quadro di Rembrandt)

4. E il terzo fratello?
Infine questa parabola, che è cresciuta con me, come dicevo, mi ha condotto anche ad una ulteriore comprensione esegetica: il terzo fratello.
Il terzo fratello?
Sì. Il terzo fratello! Quello che c'è nella storia anche se non nella parabola.
Provo a spiegarmi.
C'è un terzo fratello di cui si sente la mancanza "dentro" la parabola.  E' quello che lascia la casa del padre, ma non perché desidera fare a meno di lui. Egli non prende per sé la sua eredità, ma lascia ogni cosa,rinuncia alla sua "parte", per una sola, semplice ragione: trovare  il fratello giovane.
Il terzo fratello è un migrante che fa il viaggio più lungo e avventuroso della storia: quello che lo porta dal cielo alla terra, dalla autosufficienza alla precarietà, dalla ricchezza alla povertà. In nome di una sola cosa: riabbracciare il fratello smarrito.
Il terzo fratello non teme l'avventura e incarna la libertà. Egli cerca la felicità, ma in essa vi comprende anche quella degli altri. Egli è giusto ma non è moralista. Sa discernere il bene dal male, ma fa pratica di perdono. E' pronto a dare la sua vita per salvare quella di suo fratello.
Perché, mi chiedo, perché la parabola non ci parla di un altro modo di essere fratello e figlio? Perché non comprende un terzo figlio?
Perché costui c'è già!  E' quello che racconta la parabola!
I versetti 1 e 2 ci parlano del terzo fratello: "Tutti i pubblicani e i "peccatori" si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo. Ma i farisei e gli scribi mormoravano dicendo: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". Ed egli disse loro questa parabola..."
Eccolo il terzo fratello: colui che racconta la parabola è il terzo fratello!
Egli incarna, nei luoghi bui e degradati del mondo, la prossimità dell'amore di Dio.
Gesù è nostro fratello. Lui è il figlio "unigenito" del Padre amorevole.
Egli, col Padre, ha preparato un posto per noi.
E siamo tutti invitati a far festa con lui!