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Se salutate solo i vostri fratelli

Testo: Matteo 5,47

Il saluto. Che c’entra amare con salutare? Amare è una cosa grande, impegnativa, che ci coinvolge (o non ci coinvolge) completamente. Amare il nemico è l’apice della radicale legge di Cristo, la richiesta che sembra sigillare l’intero Sermone sul monte nella sfera della teoria di un Vangelo inarrivabile. Come dire? Lo dice Paolo con una frase che sembra tagliare la testa al toro: “Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti”. Lo dicono molti studiosi: il sermone sul monte con le sue richieste radicali non ha altra intenzione che condurci alla disperazione, dimostrando quanto siamo incapaci di soddisfare le giuste esigenze di Dio, obbligandoci così a riconoscere la nostra dipendenza dalla salvezza operata da Dio attraverso la croce di Cristo. Ma mentre ai fini della salvezza questa è una lettura giusta, non lo è ai fini pratici. Cioè in quanto non siamo in grado fino in fondo ad operare nella direzione indicata da Gesù, abbiamo sempre bisogno del perdono e della grazia, ma d’altra parte quello che Gesù dice è una chiara indicazione del nostro cammino di discepoli di Cristo e di Dio.

Allora ecco una chiave per riportare quella parola alta e teorica sulla terra delle nostre relazioni di ogni giorno: il saluto. Sembra una banalità ma vi assicuro, non lo è! “Sai non mi saluta più, appena mi individua da lontano fa finta di non vedermi, gira la testa dall’altra parte con disinvoltura. Semplicemente non esisto. E allora anche io ho deciso di fare così, non la saluto più”. Una frase che abbiamo sentito o che noi stessi abbiamo pronunciato magari più di una volta.

Dunque abbiamo bisogno di una parola così. Una parola che non è grande e impossibile come la parola amore, una parola che appare piccola: saluto. Parla anche a noi?

Ma facciamo un passo indietro: cos’è il saluto nella nostra cultura? Come è vissuto nell’intreccio delle nostre diverse culture? E poi, perché Gesù parla proprio del saluto in questo grande capitolo della sua predicazione? E se non fosse una piccola parola?

Cos’è il saluto lo sappiamo tutti al punto di non farci neppure caso. Ma il saluto è un atto importantissimo e fortemente rituale, codificato, risponde cioè a precise regole sociali e anche se viviamo in un mondo fortemente globalizzato resistono differenze fra le diverse culture. Potremmo fare degli esempi fra noi che siamo una comunità formata da persone di diversa provenienza. Il saluto ha un aspetto strettamente verbale ed altri aspetti legati ai gesti, al tono della voce, all’atteggiamento del corpo, all’espressione facciale e alla distanza. Nel passato (ma in parte anche oggi) attraverso il saluto si segnalava la gerarchia fra le due persone che si incontravano, si comprendeva dal saluto oltre che dall’abbigliamento e dal modo di atteggiare corpo e sguardo chi era superiore e chi inferiore nella scala sociale. L’inchino, così come particolari espressioni come "Bacio le mani" o "servo vostro", ad esempio segnalava il rispetto verso l'altro (un rispetto dovuto all'età, per esempio o alla carica ricoperta nella società). Se una persona si riconosceva inferiore all'altra abbassava gli occhi mentre salutava e si manteneva a distanza. Quindi nessun contatto fisico. Un atteggiamento diverso poteva essere considerato fortemente oltraggioso. E poi era sempre l'inferiore che aveva l'obbligo di salutare per primo e il non farlo era considerata una grave offesa. Il saluto era ed è un segno di riconoscimento. Ti saluto, quindi riconosco che ci sei, sei degno di essere da me riconosciuto, hai valore per la società (o il gruppo) alla quale (o al quale) appartengo e quindi attraverso il mio saluto (parole e atteggiamento) riconosco questo valore e resto al mio posto. Non saluto chi non riconosco. Da questo punto di vista, dunque, il saluto è una presa d’atto dello status delle cose e delle regole sociali che governano un territorio. Il saluto è un gesto d’intesa e di reciproco riconoscimento. Non salutare o togliere il saluto ha una valenza chiara, indica una non volontà di incontro, un non riconoscere (o non riconoscere più) il valore, l’importanza dell’altro/a, un delimitare e chiudere i gruppi d’appartenenza, costruire o rispettare i muri di incomunicabilità che la società ha costruito . Il saluto apre. Il non saluto chiude.

Nei Vangeli c’è una parola di Gesù che è di forte critica a questo modo di intendere il saluto quando ha detto: “Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti ed essere salutati nelle piazze e avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti” (Marco 12, 38). Ecco, in questo caso il voler essere salutati è sinonimo di essere riconosciuti come persone importanti che vanno salutate per prime. Il riconoscimento della loro superiorità.

Per Gesù il saluto ha un carattere diverso, un carattere dinamico, dischiude una potenza reale. Gesù ne parla quando manda i suoi in missione. Dice: “Quando entrerete nella casa, salutate. Se quella casa ne è degna, venga la vostra pace su di essa; se invece non ne è degna, la vostra pace torni a voi. Se qualcuno non vi riceve né ascolta le vostre parole, uscendo da quella casa o da quella città, scotete la polvere dai vostri piedi” (Matteo 10, 12-14). Luca è più specifico sul tipo di saluto e dice: “In qualunque casa entriate, dite prima: "Pace a questa casa!"” (Luca 10, 5). La pace è il cuore e la lettera del saluto, lo shalom, ed è energia di riconciliazione, è veicolo, se così si può dire, della presenza vivente dello Spirito. In quanto tale va ben oltre la parola o il gesto, è cuore che si apre all’altro e in quest’apertura Dio stesso misteriosamente si comunica, Dio stesso entra in contatto con l’altro/a attraverso i suoi messaggeri. Se il messaggero viene accolto con il suo messaggio di pace, la pace si comunica come dono messianico, se viene rifiutato, il legame d’amore, lo shalom stesso viene rifiutato e con esso l’opportunità di benedizione. E’ importante riconoscere e accogliere il Kairòs, il momento opportuno quando Dio ci visita ed accogliere quella visita può avere effetti di benedizione per tutta la vita e non solo per noi. Questo è vero sin dai tempi di Abramo e Sara che accogliendo i messaggeri celesti accolsero Dio e l’adempimento delle sue promesse.

 

Ecco, sembra dire Gesù, tutto questo può essere veicolato attraverso la semplicità di un saluto! Un saluto rivoluzionario che non è indirizzato soltanto ai nostri amici, ai nostri parenti, alla nostra cerchia di pari confermando i recinti in cui la società è organizzata. Un saluto che non è rispettoso delle gerarchie, non è ossequioso del potere costituito. Un saluto che è apertura di cuore, è costruttore di relazioni dove queste non esistono più o non esistono ancora. Un saluto che è sguardo aperto all’altro diverso da me. Un saluto che spiazza perché anticipa e rompe gli schemi. Un saluto per amici e per nemici. Una particolarità di un gruppo religioso molto interessante che nasce e si sviluppa proprio contemporaneamente ai primi battisti, i quaccheri, aveva a che fare proprio con questo tema che è il saluto. Loro non si toglievano il cappello davanti alle autorità, non dicevano “servo vostro” come segno di sottomissione verso qualcuno considerato superiore nella scala gerarchica della società del tempo, non davano del voi a nessuno, trattavano insomma tutti con rispetto nello stesso modo senza alcun servilismo. A proposito, sapete che il saluto “ciao” viene da una forma dialettale veneta per “schiavo”?

Infine, una parola per intendere la parola nemici in questo contesto. Per il contesto in cui parlava Gesù i nemici erano in primo luogo i nemici politici, cioè i romani. Erano loro in primo luogo che potevano offendere in pubblico un giudeo con un manrovescio o che potevano costringere una persona a fare un miglio o anche dieci se serviva loro per qualche ragione un trasporto di merci. Ne parla Gesù appena prima. I prepotenti romani. E’ chiaro che per Gesù il saluto andava loro rivolto non per segnare una sottomissione ma per aprire un dialogo, per spezzare il cerchio dell’inimicizia. Un saluto a testa alta, con espressione franca, aperta, senza abbassare lo sguardo ma anche senza atteggiamento di sfida. Ma Gesù indica anche che i nemici sono anche semplicemente quelli da cui non ci sentiamo amati, accettati, considerati stimati. “Se amate quelli che vi amano, che premio avete?” (v. 46). E quando comprendiamo il “nemico” in questi termini, allora la cerchia si allarga di molto. Quelli che non ci amano come vorremmo, che non ci stimano come sentiamo che meriteremmo, che non ci telefonano quando ci sentiamo soli, che ci ignorano quando parliamo, che fanno finta di non vederci quando ci incontrano per strada. Qui l’amore per il nemico esce dal piano solo politico ed entra nella sfera delle nostre relazioni interpersonali. Salutare, se non lo si fa come mero gesto formale, non è un cosa banale ma un lasciare aperto un canale di energia, di potenza d’amore e di riconciliazione che altrimenti potrebbe restare chiuso per sempre. Il saluto non è una cosa piccola, inteso così ma una cosa grande, il veicolo addirittura attraverso il quale Dio stesso può incontrare l’altro. Ci sono due cose ancora da notare. Il premio e lo straordinario. Se amiamo chi non ci ama Dio ci premia. Se salutiamo chi non ci saluta più o non ci degna di uno sguardo facciamo una cosa straordinaria. Insomma lo straordinario può nascondersi nel gesto più semplice e quotidiano che esiste e il premio più prezioso che potremmo ricevere è il ritrovare il fratello o la sorella in quello che un attimo prima ci considerava invisibili.

“L’amore – diceva Martin Luther King – è la sola forza capace di trasformare un nemico in un amico”. Questo è straordinario ed è racchiuso nel semplice gesto e nella semplice parola di un saluto.

Gesù risorto all’indomani della sua morte in croce e dell’abbandono dei suoi discepoli li incontrò e disse loro “”Pace a voi”. Quel saluto se ci conquista ci cambia da nemici di Dio a suoi amici. Questo è straordinario ed è opera di Dio. Quel saluto ha cambiato la storia del cielo e della terra. Quel saluto può anche cambiare la nostra vita.