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Libertà di credere

Una rifelssione per la settimana della libertà a partire da Daniele 6:1-17 e Atti 5:17-29

Circa un mese fa', fra il 7 e il 9 gennaio Parigi veniva insanguinata dalla strage nella redazione di Charlie Hebdo e dall'attacco al supermercato frequentato da ebrei. 12 le vittime di questo evento che ha  sconvolto e mobilitato successivamente milioni di persone. Lo slogan “Je suis Charlie” è risuonato per alcuni giorni negli ambienti più diversi per ribadire con passione e commozione una solidarietà con chi è stato attaccato dalla violenza in nome di un dio sanguinario che in realtà non esiste. Questi eventi hanno riproposto un tema, quello della libertà di stampa e di espressione che oggi riprendiamo proprio in vista della vicina ricorrenza del 17 febbraio che i valdesi e tutti gli evangelici celebrano in ricordo delle lettere patenti che il Re Carlo Alberto firmò il 17 febbraio 1848 concedendo i diritti civili ai valdesi, cosa che fece poi alcuni giorni dopo anche per gli ebrei. Fino a quella data i valdesi come gli ebrei non potevano accedere ad alcune professioni, né alle università. Insomma erano sudditi senza diritti. Da alcuni decenni questa è una data nella quale tutti i protestanti italiani riflettono insieme sulla libertà. Lo facciamo anche quest'anno all'ombra degli eventi di Parigi attingendo alla nostra tradizione di evangelici battisti.

Dobbiamo per questo tornare indietro al secolo 17°. E' noto che il 1600 fu per l'Inghilterra e la vicina Olanda  un secolo di grandissimo fermento di idee in campo religioso, sociale e politico. In questo ambito si fece strada l'idea rivoluzionaria, illustrata coraggiosamente all'allora re d'Inghilterra Giacomo I da Thomas Helwys, iniziatore del battismo insieme a John Smyth, che nessuno, neppure un monarca cristiano, può imporre nulla ai suoi sudditi in materia di fede perché ciascuno è personalmente responsabile della sua fede e del suo operato davanti a Dio. Nessuno si può intromettere fra Dio e uomo (o donna) perché ciascuno risponderà a Dio nel giorno del giudizio. Per questo la fede non può essere imposta, perché di una fede imposta non si è pienamente responsabili. L'obbedienza a Dio è tale se è possibile anche la disobbedienza. Senza libertà da costrizioni  non è possibile neppure rispondere alla chiamata di Dio. 

Secondo la celebre definizione di  Edgar Young Mullins  “Per essere autentica e responsabile la fede deve essere libera. L'obbedienza a Dio non può che essere volontaria altrimenti non è obbedienza”. Naturalmente il re Giacomo che ricevette la richiesta di Thomas Helwys di libertà di coscienza, lo fece imprigionare e il pastore Helwys morì in carcere qualche anno dopo all'età di 40 anni.

Questo principio che i battisti hanno sempre osservato anche a costo di punizioni corporali, esilio e prigione essi lo trovavano scolpito già nella Bibbia. Due testi narrativi venivano citati in particolare nelle predicazioni, quelli che abbiamo appena letto. Il primo era quello di Daniele minacciato dal re persiano Dario di essere gettato nella fossa dei leoni  se avesse adorato un altro dio diverso da lui stesso (Daniele 6) e la risposta di Daniele che “andò a casa sua e tenendo le finestre della sua camera aperte verso Gerusalemme tre volte al giorno si metteva in ginocchio, pregava e ringraziava il suo Dio come era solito fare anche prima” (v.10). L'altro testo era quello dell'arresto di Pietro e degli altri apostoli che pur avendo avuto ordine dalle autorità del tempio di non insegnare più nel nome di Gesù avevano risposto: “Bisogna obbedire a Dio, anziché agli uomini” (Atti 5, 29). Da questi due testi, due distintivi: richiesta di libertà di culto e libertà di evangelizzazione.

Dalla copiosissima letteratura che c'è in ambito battista su questo principio di libertà di coscienza, in primo luogo come libertà di risposta alla chiamata di Dio al quale sono strettamente collegati la comprensione del battesimo come primo atto di obbedienza dei cristiani, l'idea e la pratica della chiesa come comunità dei credenti confessanti e il principio di separazione fra Stato e Chiesa con il conseguente rifiuto del concetto e della pratica della religione di Stato, si evincono alcune cose che schematicamente riassumo:

1. Il principio della libertà di coscienza e di religione viene fatto risalire agli insegnamenti della Bibbia come sola autorità per la fede e per la pratica cristiana. La libertà di coscienza è figlia del principio del libero esame e del Sola Scriptura.

2. Fondamentale per questa convinzione è  l'affermazione della signoria di Cristo e particolarmente le affermazioni che Cristo è venuto per liberare i prigionieri (Luca 4, 18) e che egli ci ha liberati perché fossimo liberi e pertanto ogni tentativo di essere posti sotto il giogo di nuove schiavitù è da rifiutare (Galati 5 1, cf. anche I Corinzi 10, 29b). Dunque essa è figlia del principio del Solus Christus.

3. La comprensione paolina della libertà  dei credenti dalla tirannia del peccato e della morte, e la sua riscoperta da parte di Lutero e di tutto il movimento di Riforma è alla base  dell'affermazione del primato della coscienza rispetto a tutte le tirannie, quelle spirituali e quelle materiali e politiche. Il Sola Fide e il Sola Gratia sono i presupposti per qualsiasi comprensione di libertà.

4. La richiesta del rispetto della libertà di coscienza e di fede non fu mai, per i battisti, soltanto la richiesta alle autorità degli Stati a ché fosse rispettata e salvaguardata la libertà di movimento, di parola e di aggregazione delle minoranze religiose fra cui quella di fede battista quanto piuttosto un principio che andava applicato a tutti come dimostra la lunga lotta che portò in America man mano all'inserimento di questo principio nelle legislazioni di alcuni singoli stati fino alla adozione nel 1791 del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Esso recita: «Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione, o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea, e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti».

E' un fatto storico che nonostante il principio della libertà di coscienza fosse un frutto  indiretto della rilettura luterana e riformata della Bibbia e dell'insegnamento paolino in particolare, esso non fu nella prima Riforma, quella del '500, applicato a tutti. I gruppi dissenzienti come i vari movimenti anabattisti, anche quelli rigidamente nonviolenti,  furono dovunque osteggiati e perseguitati. Il problema del rapporto fra potere politico, verità di fede e rispetto della coscienza individuale fu a lungo affrontato anche dagli Stati protestanti ed anglicani privilegiando di gran lunga ragionamenti politici sul rispetto della coscienza individuale. La presenza di religioni di Stato rimase la norma per la gran maggioranza degli Stati anche in presenza nei secoli successivi di crescenti politiche di tolleranza per le minoranze religiose. Le cause furono tante e non è qui il luogo per affrontarle. E' un dato di fatto che il principio del primato della coscienza su questioni religiose pur di derivazione riformata tardò circa un secolo a diventare proposta politica avanzata per la prima volta in maniera ufficiale, con costi altissimi, come abbiamo visto, dai piccoli e vivacissimi movimenti non conformisti come quello battista.

Oggi il principio di libertà di coscienza e di religione che si è sviluppato a partire dall'affermazione della signoria di Cristo rispetto a poteri spirituali e politici tirannici, è principio laico a sé stante, affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, da moltissimi altri documenti e trattati internazionali e da molti Stati. Ma non tutti. Questo principio è – come la storia dimostra – alla base stessa della democrazia ed è all'origine di altri principi di libertà come la libertà di opinione, di stampa, di libera associazione, di critica al potere costituito.

La sua avanzata è stata inarrestabile anche se i regimi tirannici, dal punto di visto politico e i fondamentalismi intolleranti, dal punto di vista culturale,  hanno cercato di limitarlo. Personalmente sono fermamente convinta che limitare la libertà religiosa e di coscienza  sia un pericolo grave per tutti e non vada fatto mai, proprio per la natura peculiare della libertà che, anche declinata al plurale, resta una e indivisibile. Vorrei finire con una citazione dalla predicazione del pastore battista canadese J. D. Freeman al culto inaugurale della Alleanza Mondiale Battista a Londra nel 1905 che significativamente affermò “La coscienza è serva soltanto di Dio e non è soggetta alla volontà di altri. Questa verità è indistruttibile. Crocifiggila e il terzo giorno risorgerà”.