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Porgere l'evangelo

Testo: Luca 7, 36-50

 “Non rimane altro”, scrive Lutero “per il ministero pastorale, che quest’unica opera: porgere l’evangelo che Cristo ha comandato di predicare”.

Non rimane altro, che porgere l’evangelo!  Frank Kabale, pastore evangelico del Gabon, è annegato davanti alla sua congregazione nel tentativo di camminare sull’acqua come Gesù.  Peccato che non abbia letto Lutero: per il ministero pastorale non rimane altro che porgere l’evangelo.

Porgere l’evangelo significa rendere Gesù, il Cristo attuale nella vita della chiesa.  Cristo contemporaneo, diceva Kierkegaard.  Ad un pastore non si deve chiedere di meno e non si dovrà chiedere di più.  Se il pastore perde di vista quest’unico obiettivo, se inizia a sostituirsi ai suoi membri di chiesa nel fare le cose, diventerà servo delle cose invece che dell’evangelo.  Si butterà a capofitto in mille attività, trascinerà la chiesa in una miriade di buone azioni.  Ma mancherà il bersaglio.

Porgere l’evangelo: è questo il compito di un pastore.  E se questo è il compito di un pastore, il compito di un predicatore all’insediamento di un pastore è ancora la stessa cosa: porgere l’evangelo.

Rendere Gesù il Cristo attuale nella vita di ogni singolo credente.  Accompagnare con gentilezza, e tuttavia con decisione, ogni singolo membro di chiesa di fronte al bivio, al grande bivio: essere Simone il fariseo oppure essere l’anonima donna prostituta.  Lo so che suona un po’ eccessiva come alternativa, ma non prendetevela con me, non è colpa mia.  La colpa è del nostro Maestro Gesù, il Cristo.

Il grande bivio: il fariseo o la peccatrice.  E non si tratta di una scelta che sarà definitiva.  Ogni giorno l’evangelo predicato ci porrà nuovamente di fronte a questo bivio.  Ci chiamerà quotidianamente a scegliere quale delle due strade vogliamo intraprendere: la strada di Simone il fariseo o la strada dell’anonima prostituta.

 

Simone è messo male, poveraccio.  Chi glielo ha fatto fare di invitare Gesù a pranzo.  Era meglio offrirgli un caffè al bar.  Voleva farsi soltanto una chiacchierata teologica con Gesù, tra un boccone e un bicchiere di vino.  L’intenzione di Simone era quella di un simposio di cittadini maschi adulti di buona cultura, distesi comodamente sui divani, che discutono di profeti e profezie.  Ma non si può invitare un personaggio scomodo come Gesù a casa propria, senza correre alcun rischio.

Spesso noi ci accontentiamo di una fede come quella di Simone.  Una fede disponibile e generosa, ma fino ad un certo punto.  Una fede anche curiosa, ma protetta. Una fede assicurata. Una fede riparata nelle quattro mura di casa.  Ricerchiamo un Gesù casalingo.  Invitiamo Gesù a casa nostra per una chiacchierata.  Vogliamo Gesù tutto per noi, ma senza il rischio di dare tutto noi stessi a Gesù.

Non basta invitare Gesù per dire di avere fede! Né puoi pensare di avere Gesù tutto per te!  Peccato che Simone non lo sapeva: quando inviti Gesù a casa, puoi trovarti tra i piedi una estranea rompiscatole che non solo ti ruba la scena, ma ti mette anche a disagio.  Se prendi Gesù, devi prendere anche tutta la scia di miserabili, peccatori, ultimi che lo circondano.  Anche sulla croce Gesù si è circondato di due ladroni.

E qui la nostra storia si fa intrigante, perché Simone, sorpreso da questa estranea che si era intrufolata in casa nascondendosi dietro a Gesù, viene assalito dai cattivi pensieri.  Da dubbi interiori.  Io mi permetterei di dire: anche da una leggera gelosia.  Affiora in Simone il peggio che spesso abita stabilmente dentro i nostri cuori: il giudizio affrettato, l’incapacità di guardare al di là delle apparenze e il chiamare in causa l’altro senza richiamare in causa se stessi.

I cattivi pensieri cambiano la fisionomia di Simone e Gesù che sa leggere la nostra anima lo capisce e gli rivolge un duplice invito. 

“Ho qualcosa da dirti”: questo è il primo invito di Gesù.  Amo queste poche parole: ho qualcosa da dirti. Siamo certi che non ci sia altro che Gesù debba dirci?  Siamo certi che abbiamo voglia e coraggio di ascoltarlo fino in fondo?  Siamo pronti a confrontarci anche con parole scomode?  Se oggi Gesù, il Cristo ti dice: ho qualcosa da dirti,  tu cosa risponderai?  Perché è dall’udire che nasce la fede.

E il secondo invito è una domanda: la vedi questa donna?  Questa è una domanda importante perché ha a che fare con gli occhi del nostro cuore.  Con la capacità visiva anche nell’oscurità del pregiudizio e dell’esclusione.  Le persone, con i loro drammi, diventano invisibili.  Ed il compito di Gesù è riflettere la luce negli angoli bui della sofferenza e della discriminazione.

Gesù accende la luce sull’estranea, e l’estranea, con i suoi gesti muti, accende una luce su Simone.  Simone ha invitato Gesù, ma ha dato per scontato molte cose.  Mi hai invitato, ma non mi ha lavato i piedi.  Mi hai invitato, ma non mi hai baciato.  Mi hai invitato, ma non hai unto il mio capo.  Tutte queste cose non erano prescritte, non erano obbligatorie.  Non è omissione di ospitalità non averle fatte.  Ma è proprio questo il punto: c’è una differenza tra essere un cristiano ordinario ed essere un cristiano straordinario. La fede ha a che fare con la gratuità straordinaria e non con l’ordinaria prescrizione.

E per imparare ad essere un cristiano straordinario, non possiamo servirci di Simone, dobbiamo guardare all’anonima prostituta, alla peccatrice.  

Nelle sue condizioni questa donna avrebbe dovuto essere schiacciata dal peso dei suoi debiti nei riguardi di Dio.  Ma più pesanti erano i suoi debiti, più ha sentito chiaro l’annuncio di perdono che Dio gli ha rivolto.  Ha conosciuto l’amore di un Dio creditore che rinuncia al suo diritto.  Ad un Dio che cambia identità.  Non è solo un creditore che cancella un debito.  Ma un Dio che non ha più crediti perché ci ha resi per sempre senza debiti.  Permettetemi un gioco di parole: è sulla croce che Dio si è screditato, accreditandosi come l’Iddio di un amore straordinario.

Ed ecco perché quel pianto fragoroso di quella donna.  Davanti ad un perdono così straordinario si può solo letteralmente scoppiare in un pianto rumoroso.

E la donna quando va da Gesù, ci va perché ha fede, crede nel perdono di Dio.  E corre il grande rischio.  Corre il rischio di essere cacciata dalla casa di Simone.  Corre il rischio di essere interrotta da Gesù infastidito dal suo pianto. Corre il rischio di essere richiamata ad un comportamento più consono quando presa dall’euforia del perdono si scioglie i capelli e inizia a baciare i piedi di Gesù.  Corre il rischio che tutti quei suoi gesti siano fraintesi da Gesù e che lei sia ricacciata nella trappola mortale del credito e del debito.

La donna, perdonata da Dio, ha fede, cioè si fida di Gesù.  Crede fermamente che l’amore di Dio abiti stabilmente in Gesù Cristo.

E quando ti senti amata, ed hai fede, contemporaneamente, in un modo misterioso alle nostre formule dottrinali, diventi capace di un amore unico.  L’amore di questa prostituta è un amore goffo.  Ogni suo gesto è imbarazzante.  Ma è il suo amore, il suo modo di amare, il suo modo unico di farlo e per questa ragione è un amore straordinario.  Noi non siamo chiamati ad un amore impossibile.  Noi siamo chiamati ad amare restando noi stessi; quelli che siamo, con i modi unici che appartengono soltanto a ciascuna e a ciascuno di noi.

Porgere l’evangelo: è questo che Lutero chiede ad un pastore.  E spero di essere riuscito a spiegare perché porgere l’evangelo è più che sufficiente.  Che non c’è bisogno d’altro.  Perché quando si porge l’evangelo, la parola di Dio giunge nel cuore di ciascuna e di ciascuno di noi.  Ci accompagna al grande bivio.  L’evangelo scopre letteralmente la miseria della nostra piccola fede.  Ma annuncia anche in parole chiare il grande perdono di Dio.  La fede che nasce da questo perdono.  E l’amore.  L’amore come la forza, l’unica forza che le nostre chiese debbono mettere in campo.  L’amore anche goffo, ma capace di cambiare il destino del mondo.

Buon lavoro pastore Aprile, che Dio ti accompagni Massimo e ti dia di predicare in ogni occasione il grande evangelo e tu, chiesa, ama, attraverso l’amore unico e irripetibile di ogni tua sorella e di ogni tuo fratello.

[predicato in occasione dell'insediamento del pastore Massimo Aprile]