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Auguri per il 2015

Il testo:  Amos 8:11

Che il Signore vi dia, nell’anno che sta per cominciare, una rinnovata fame e sete della Parola del Signore!

Se mi fosse capitato sott’occhio questo testo, nei giorni scorsi, lo avrei volentieri usato per mandare gli auguri del nuovo anno. Un bell’augurio, non vi pare? E mi ha fatto venire in mente, quel bellissimo discorso di Steve Jobs agli studenti. Uno dei più bei discorsi di stile americano, degli ultimi anni.

Jobs infatti è animato da quel sentimento irrefrenabilmente ottimista della cultura americana. Egli esorta gli studenti a fare ciò per cui si appassionano, senza scoraggiarsi davanti alle difficoltà e alle sconfitte. Se infatti insegui il tuo sogno (the american dream), prima o poi si realizzerà, e riuscirai malgrado e al di là di tutte le difficoltà. Perciò conclude quel discorso con quella strana, ma affascinante esortazione: “Stay hungry, stay foolish”. “Resta affamato, e resta un po’ pazzo”.

Ecco, questo potrebbe essere il nostro augurio per i giorni e le settimane a venire. Se il Signore ci darà fame e sete della sua Parola, il nostro futuro potrebbe essere decisamente migliore. Non vi pare?

Il Con-testo

E’ vero, questo di Amos è un testo che potrebbe da solo ispirare gli auguri per il nuovo anno e leggere la crisi, non tanto quella economica quanto quella morale e spirituale che ha caratterizzato questo anno come gli ultimi decenni, come una crisi in cui non c’è stata fame e sete di parola di Dio ma un’inflazione di parole senza sostanza e senza futuro, parole rese vuote da un fare che puntualmente sconfessava il dire, parole che nascondevano la verità invece di veicolarla.

Questa parola di Amos potrebbe anche farsi preghiera: “Signore, ti preghiamo, dacci fame e sete della tua Parola, fa’ che possiamo amarla, cercarla e viverla”.

Però se guardiamo bene il contesto in cui questa frase è collocata, riconosciamo un contesto di severo e terribile giudizio.

 

Amos parla ad una società che osserva i sabati, i noviluni e celebra i culti a Dio ma questa è solo forma.

Ecco cosa dice per esempio proprio all’inizio del capitolo 8: “Ascoltate questo, voi che vorreste divorare il povero e distruggere gli umili del paese; voi che dite: “Quando finirà il novilunio perché possiamo vendere il grano? Quando finirà il sabato perché possiamo aprire i granai, diminuire l’efa, aumentare il siclo e usare bilance false per frodare, per comprare con denaro i poveri, e l’indigente se deve un paio di sandali?” (vv.4-6) e poi “Trasformerò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamento, coprirò di sacchi tutti i fianchi e ogni testa sarà rasa. Il paese piomberà nel lutto come quando muore un figlio unico, la sua fine come un giorno d’amarezza” (v. 10).

E la stessa frase che abbiamo letto all’inizio è una frase amara quando dice: Io manderò sì fame e sete di ascoltare la parola del Signore ma questa fame e sete rimarrà inappagata: “E allora – dice il profeta - vagando da un mare all’altro, dal settentrione al levante, correranno qua e là in cerca della parola del Signore ma non la troveranno”. E’ il giudizio contro una società che tradisce il suo Dio per la sua corruzione, per la sua avidità, per il suo disprezzo dei più poveri, pur conservando le forme di religiosità.

La festa religiosa è soltanto una tregua fra un’ingiustizia e un’altra.

Oggi potremmo dire che il Natale è una pausa fra una ruberia e l’altra e nella maggior parte dei casi essa non ha più neppure una forma di religiosità che la copre. E il giudizio di Dio per il profeta Amos, prende la forma più radicale, Dio non parla più al suo popolo. Dio tace.

Anche noi, se guardiamo al nostro contesto, non ci sentiamo autorizzati ad auguri troppo facili. Le criticità sembrano tutt’altro che superate. Cerchiamo rimedi terapici, ma abbiamo più che una semplice impressione di non essere ancora al chiaro sulla diagnosi. Di quale malattia è affetto la nostra società. I problemi non sembrano essere semplicemente tecnici. C’è una corruzione che è anche corrosiva che sta al fondo di tutte le sfere della società e non soltanto di quella politica.

Ma torniamo ad Amos. La decadenza della giustizia porta alla rovina. E chi offre facili messaggi di auguri è piuttosto un falso profeta che spaccia merce spiritualmente adulterata che addormenta le coscienza piuttosto che risvegliarla.

In verità proprio nella parte conclusiva del libro di Amos si scorge una parola di speranza e benaugurante, ma non è parola che si offre ad una facile consolazione.

L’amore per Israele riceve qui una estensione universale, ma non di meno, il giudizio resta severo. Ascoltiamo alcune di queste parole:

 «Non siete forse per me come i figli degli Etiopi,
o figli d'Israele?» dice il SIGNORE.
«Non ho forse condotto Israele fuori dal paese d'Egitto,
i Filistei da Caftor e i Siri da Chir?
8 Ecco, gli occhi del SIGNORE, di DIO, sono sopra il regno colpevole.
Io li sterminerò dalla faccia della terra;
tuttavia, io non distruggerò interamente la casa di Giacobbe»,
dice il SIGNORE.
9 «Poiché, ecco, io darò ordini
e scuoterò la casa d'Israele fra tutte le nazioni,
come si scuote il setaccio;
non cadrà nemmeno un granello in terra.
10 Tutti i peccatori del mio popolo moriranno di spada;
essi che dicono: "La sventura non giungerà fino a noi e non ci toccherà".

La parola di Amos non è una parola di buon augurio all’inizio di un nuovo anno, ma parola alla vigilia di un disastro storico, che durerà 80 anni! Anni in cui il popolo si interrogherà più volte sul perché Dio sia divenuto silenzioso e abbia ritirato la sua parola.

Solo dopo questo lungo periodo di sofferenza senza risposta, ci sarà la ricostruzione e un nuovo inizio.
13 «Ecco, vengono i giorni», dice il SIGNORE,
«in cui l'aratore s'incontrerà con il mietitore,
e chi pigia l'uva con chi getta il seme;
quando i monti stilleranno mosto
e tutti i colli si scioglieranno.
14 Io libererò dall'esilio il mio popolo, Israele;
essi ricostruiranno le città desolate e le abiteranno;
pianteranno vigne e ne berranno il vino;
coltiveranno giardini e ne mangeranno i frutti.
15 Io li pianterò nella loro terra
e non saranno mai più sradicati dalla terra che io ho dato loro»,
dice il SIGNORE, il tuo Dio.

Gesù Cristo adempie il testo

E’ provvidenziale che il calendario cristiano faccia coincidere la stagione in cui riflettiamo sulla nascita e l’infanzia di Gesù, su Gesù, dono di Dio, su Lui parola fatta uomo, con la fine dell’anno e l’inizio di una nuovo anno. Nella liturgia di oggi abbiamo proseguito la lettura del Vangelo dell’infanzia secondo l’evangelista Luca. Di Gesù si dice “Il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era in lui”. E quasi a commento di questa affermazione si racconta che Gesù a dodici anni alla fine di una festa, la festa di Pasqua, non tornò con i suoi genitori a casa insieme a tutta la gente che aveva fatto il pellegrinaggio a Gerusalemme ma rimase nel tempio di Gerusalemme “seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande”. Ecco, Gesù ha fame e sete della Parola di Dio. Per lui la festa di Pasqua non è soltanto una pausa religiosa nella routine normale dell’anno, per lui la festa non finisce. Gesù domanda, ascolta, interroga la parola di Dio. Il tempo nuovo, la nuova umanità che Gesù dodicenne incarna è il tempo in cui la fame e la sete della Parola di Dio si affermano nella domanda, nella ricerca della volontà di Dio per la propria vita. E sempre seguendo Luca questa fame e sete della Parola di Dio non si manifesta soltanto nell’interrogare le scritture antiche nel grande tempio di Gerusalemme, cioè come dice il giovane Gesù “nella casa del Padre mio”, ma nella capacità di fare delle scelte e di prendere delle posizioni chiare anche nel campo della giustizia. Di nuovo Luca ci conduce a scoprire le prima parole di Gesù nel suo Vangelo. La prima parola fu una risposta privatissima al diavolo, e queste hanno a che fare di nuovo con l’aver fame di Parola. A Satana che gli proponeva il miracolo del pane per soddisfare la sua fame, rispose: “Non di pane soltanto vivrà l’uomo”. E ancora la prima parola pubblica che pronunciò, questa volta a Nazareth, il villaggio dove visse, fu una parola antica in cui Isaia profetizzava così: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, perciò Egli mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunciare la liberazione ai prigionieri e ai ciechi il recupero della vista, a rimettere in libertà gli oppressi, e a proclamare il grande giubileo del Signore”. E’ come se in Gesù, lui per primo affamato e assetato della Parola del Signore, Dio avesse rotto il silenzio e avesse ricominciato a parlare. E Gesù stesso fosse stato scelto a portare questa parola al mondo intero. Una parola antica, antichissima, ma anche attuale, attualissima. 

La Buona Notizia è l’augurio: stay hungry stay foolish!

In questo senso le parole di Amos possono costituire un reale augurio per il tempo che abbiamo davanti. Avere fame e sete della Parola di Dio è lo stesso che aver fame e sete di giustizia, per tutti e non soltanto per alcuni.

E chi più e meglio di Gesù ha incarnato questa giustizia?

C’è un detto che dice che l’appetito vien mangiando. Lo sanno benissimo quelli che vogliono una bulimia da consumi, per rendere la nostra fame inappagabile.

Il nostro augurio è che mentre cominciamo a gustare la bontà del cibo spirituale, proprio all’inizio di un nuovo anno, noi possiamo essere stimolati ad aver ancor più appetito.

Se sarà un anno di maggiore fame e sete di Parola del Signore, potremmo avere, come è naturale che sia, più difficoltà o meno, o semplicemente altre sfide, altri successi e altre mancanze. Ma col desiderio di nutrirci della sua Parola avremo anche quando basta per continuare a sperare, per continuare a lottare, in una parola, per continuare a vivere.