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Il racconto più bello

Testo: Luca,1 39-56

E’ il racconto più bello che esista. Per molti di noi, il racconto  che conserva le memorie care della nostra infanzia: le piccole recite natalizie (io facevo in quarta elementare la piccola parte di uno degli albergatori che non avevano posto nell’albergo per Maria e Giuseppe!), le grandi ali bianche dell’angelo Gabriele, l’attesa della nascita di quel bimbo speciale. E tutto questo mescolato con l’atmosfera di festa, le vacanze a scuola, il calore della casa, l’emozione della preparazione dell’albero di Natale e del presepe, le strade brulicanti di gente indaffarata, il cibo speciale da preparare, il profumo dei dolci, le castagne, i fichi secchi, le nocciole da sgranocchiare a fine pranzo. E la letterina di Natale sotto il piatto di papà con le promesse di rito. Memorie e per me memorie belle. Il racconto più bello, quasi una favola per bambini fatta di attesa e di calore. Un’attesa. Una preparazione ad un’accoglienza speciale. Poi certo abbiamo attraversato le varie fasi della vita e ognuno ha vissuto il Natale diversamente. C’è chi ha preso le distanze da queste atmosfere e chi è arrivato perfino ad odiare questa festa nauseato da tutta quella patina luccicante di finzione. Ce l’ha insegnato il grande Eduardo che in “Natale in casa Cupiello” ha messo in luce proprio come la magia della tradizione del Natale fosse in contrasto con la realtà di una famiglia travagliata con i propri segreti inconfessati, le proprie piccole e grandi meschinità, le proprie dinamiche irrisolte. Proprio come il clistere che si nasconde dietro la cartapesta della cascatella del presepe. Il racconto più bello o l’illusione più ingannatrice?

Nei segreti dell’universo femminile - Lasciamo in sospeso l’interrogativo e andiamo ad esplorare il testo che abbiamo letto. Nella tradizione questa è chiamata la “visitazione”, la visita di Maria ad Elisabetta, sua parente. Il testo di Luca, molto diverso da quello di Matteo, fa scorrere parallelamente le due storie, quello del concepimento e della nascita di Giovanni Battista e quello del concepimento e della nascita di Gesù. Tanto si può dire e tanto è stato detto circa questo parallelismo costruito da Luca. La storia della nascita di Giovanni affonda profondamente le sue radici nella storia del popolo ebraico e particolarmente nei racconti delle nascite speciali da donne sterili. La storia di Sara, prima di tutto, e della sua sterilità vinta dalla promessa mantenuta di Dio, quella di Rebecca e poi quella di Rachele, entrambe inizialmente sterili. Poi quella della mamma di Samuele, Anna, che, sterile anche lei, apre il suo cuore a Dio nel tempio di Silo e riceve la promessa dell’esaudimento della sua accorata preghiera dal sacerdote Eli. Storie di donne la cui fecondità diviene segno tangibile dell’azione benedicente di Dio, come quella di Ruth. Quei loro figli, doni speciali che hanno un posto speciale nei progetti di Dio per il suo popolo. Giovanni sarà così, con una gestazione di sua madre e anche di suo padre, tenuto in silenzio per nove mesi. Il concepimento di Gesù fu simile eppure anche tanto diverso dagli altri casi. Non una donna provata dall’incapacità di concepire quanto una giovane portatrice di una vita resa possibile semplicemente per la parola di Dio che il suo Spirito rese efficace. Una gravidanza che fu un nuovo atto di creazione. Con Gesù Dio fece una cosa nuova. Eppure c’è un legame profondo fra le due donne, entrambe benedette, entrambe visitate da Dio, entrambe rese partecipi di una storia straordinaria, la storia di Dio con il suo popolo. E qui queste due donne si incontrano. Avete mai partecipato o anche soltanto osservato il parlare fitto fitto di due donne incinte? E’ un universo segreto fatto di stupore, fatto di sentimenti viscerali, cioè di sentimenti e sensazioni che hanno la concretezza dei movimenti interiori del corpo. Anzi di corpi, corpi che convivono, corpi che dialogano, corpi che cambiano, che si nutrono l’uno dell’altro, che vivono in simbiosi. E’ una fase della vita delle donne in cui tutto è preparazione, è concentrazione, è attenzione ai più piccoli segnali. E’ il cercare di capire quello che c’è già e che cresce ma che non ancora si vede. E’ passato, presente e futuro intrecciati indissolubilmente. E’ trasformazione ed è l’origine di quello che la Bibbia chiama misericordia, amore che parte dal sommovimento delle viscere, fonte di dono reciproco, per-dono. E’ futuro atteso, fantasticato, sperato. Preparato. E’ accoglienza avvenuta nel corpo di donna che prepara l’accoglienza più ampia nel corpo del mondo. E’ natura e miracolo insieme. E tanto ancora.
Nel corpo di donne il patto si rinnova, Dio ha un progetto di salvezza di cui non si è dimenticato. Questo patto non è solo confermato nel profeta che verrà (in Elisabetta), esso è un patto nuovo che si compie nel corpo di donna facendosi nel bimbo che sta per nascere intreccio fra umano e divino (Maria). Dio è autore di tutte e due le gravidanze. Conferma in Elisabetta il suo antico e sempre vivo progetto di salvezza del suo popolo Israele ed è Creatore in Maria di una storia nuova, in adempimento di antichissime promesse.
Incinti della rivoluzione di Dio – Le due donne si incontrano e parlano fitto fitto. Tre mesi per capire, tre mesi da vivere insieme immaginando come sarà. Tre mesi sentendosi importanti per aver parte del grande piano di Dio. Tre mesi di sogni ad occhi aperti. Tre mesi di gioia condivisa. Il teologo Matthew Fox dice che il dolore condiviso si dimezza, ma la gioia condivisa si raddoppia. Ed è vero. Tutto di questo testo parla di gioia e il canto di Maria è espressione meravigliosa di questa gioia. E’ il canto della misericordia di Dio che si estende da generazione a generazione. Il presente come punto di congiunzione fra il passato di grazia e il futuro di compimento. E’ il “Benedici l’anima mia il Signore” del salmo 103. E’ il sentire dentro, il proprio spirito esultare per l’innalzamento operato da Dio. E’ visione perché quanto accaduto a me, accada a tutti, anzi è visione per la fede che è già accaduto nel tempo eterno del compimento di Dio. E’ opera potente di un Dio capace di capovolgere le cose e le situazioni. E’ la rivoluzione della dignità iniziata nel grembo di una donna. E’ la rivoluzione mite e potente della speranza.
Non c’è bisogno di rimanere incinti per comprendere quello che abbiamo appena letto in questa pagina. Non ci si senta esclusi se non si è vissuta mai una gravidanza. Per capirlo vorrei citare le parole di una donna che visse un tempo drammatico, un tempo di guerra, un tempo di impazzimento della comune umanità. Era il 1942, terzo anno della guerra più devastante di tutti i tempi. Scrive la ventisettenne ebrea olandese Etty Hillesum che non ebbe il tempo di diventare madre, mentre le deportazioni erano già una realtà per migliaia di persone.
Era il 20 luglio 1942, un lunedì sera, alle nove e mezzo:
Senza pietà, senza pietà. Ma tanto più misericordiosi dobbiamo essere noi nel nostro cuore, la mia preghiera di stamattina presto non voleva dire nient’altro che questo: “Mio Dio, è un periodo troppo duro per persone fragili come me. So che seguirà un periodo diverso, un periodo di umanesimo. Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l’umanità che conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. L’unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di prepararli fin d’ora in noi stessi. In qualche modo mi sento leggera, senza alcuna amarezza e con tanta forza e amore. Vorrei tanto vivere per aiutare e preparare questi tempi nuovi: verranno di certo, non sento forse che stanno crescendo in me, ogni giorno?”
 Stamattina ho pregato pressappoco così. M’è venuto spontaneo d’inginocchiarmi su quella dura stuoia di cocco del bagno e le lacrime mi scorrevano sul volto.
E credo che quella preghiera mi abbia dato forza per tutto il giorno.
21 luglio, martedì. Mi sembra di custodire un prezioso pezzo di vita, con tutta la responsabilità che me ne viene. Mi sento responsabile per quel grande e bel sentimento della vita che mi porto dentro, devo cercare di mantenerlo intatto per poterlo trasmettere a un tempo migliore.

Ecco cosa voglio dire quando affermo che possiamo vivere anche noi, se pur in maniera diversa, la gravidanza di Maria e anche quella di Elisabetta. In un tempo strano in cui il Natale è per molti una bella e luccicante scatola vuota, una gravidanza isterica che partorisce vento, noi riascoltiamo il racconto più bello e non è una favola. Dio ci visita, intreccia la sua storia con la nostra storia e ci mette incinti di speranza. Maria lo capì, andò da Elisabetta perché voleva condividere con un’altra donna toccata dalla grazia tutta la sua gioia. Voleva parlare con lei fitto fitto delle sue attese, della sua gioia, della sua gratitudine a Dio. Voleva parlare con chi avrebbe capito quello che aveva capito lei. Che Dio aveva guardato a lei, piccola donna senza importanza, l’aveva innalzata nella sua dignità, e le aveva donato tutto quello di cui aveva bisogno: una storia di fede di cui essere parte integrante, una rivoluzione da annunciare che era già cominciata, un Dio potente e misericordioso capace di mantenere le sue promesse a cui dedicare la sua intera vita.
Un tempo nuovo da preparare dentro di lei.
Viviamo in un mondo vecchio e pieno di ipocrisie e falsità, ma abbiamo il racconto più bello da condividere. Il racconto del Dio che non dimentica, del Dio che viene, anzi è già venuto nel corpo accogliente di una ragazza generosa e fiera della sua parte nella storia della salvezza.

La gioia del prima e del dopo - Anche noi abbiamo la nostra parte nella storia della salvezza. E allora, parliamo fitto fitto del tempo nuovo che è cominciato, dei segni della trasformazione che pure ci sono, dei tempi nuovi che siamo chiamati a preparare. Noi, proprio noi, pieni di gioia da condividere. Che cresce in noi. Non è una gioia senza ombre. Maria vivrà il dolore più grande, la morte di suo figlio, ma anche quello fu come il travaglio del parto. Ci fu gioia prima e ci fu gioia dopo. La vita con Dio conosce l’una e l’altra. Nessun dolore è per sempre. Gesù è venuto per darci gioia e “perché la nostra gioia sia completa” (Giov 16, 24)