La fede e l'obbedienza nell'esperienza di Abramo e Sara
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- Scritto da Martin Ibarra
Le ragioni dell’accostamento siaranno evidenti a tutti dopo riferimenti biblici che abbiamo letto, uno nel Vangelo di Luca e l’altro nella epistola ai Galati, questi rendono questo avvicinamento illuminante.
Nella conclusione del Magnificat, Luca pone queste parole in bocca di Maria: “Ha soccorso Israele, suo servitore, ricordandosi della sua misericordia (o promessa), di cui aveva parlato ai nostri padri, verso Abramo e verso la sua discendenza per sempre” (Luca 1,55). Questo “per sempre” eis tòn aiona è di fondamentale importanza. La lettura cristiana dell’evento avvenuto in Maria “l’incarnazione del Verbo”, non si può discostare dall’interpretazione che di esso dà Luca nel Magnificat. Si tratta dell’adempimento della promessa fatta ad Abramo e alla sua discendenza. La fede di Maria è la fede degli anawim, dei bisognosi, dei poveri ptojos, degli umili di Dio, quelli che sono figli e figlie della fede d’Abramo, e della sua obbedienza “sia fatto in me secondo la tua parola” (hrema), è l’obbedienza di Abramo che lasciò la sua terra per raggiungere una terra sconosciuta e fidando in una promessa per si suoi discendenti e per tutte le nazioni della terra. Per Maria quel che avviene in lei, l’incarnazione della parola, è l’adempimento della promessa verso il popolo a cui i gentili potranno partecipare solo per grazia, mentre per Israele la promessa è diritto “per sempre”, perché Dio non viene mai meno alle sue promesse.
L’Apostolo Paolo in Galati 3,6, interpretando il testo di Genesi 15:6, afferma “Abramo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto come giustizia”, per concludere che sono figli di Abramo quanti hanno fede. La fede poi è definita come obbedienza a Dio che chiama nella sua grazia, anche gli stranieri, nell’interpretazione paolina di in te saranno benedette tutte le nazioni. Mentre l’autore della epistola agli Ebrei sembra invertire i termini quando parla dell’obbedienza della fede.
Passando al tema della relazione tra fede e ubbidienza, farò riferimento a due scritti di Lutero il suo Commento al Magnificat e la sua Spiegazione del Padre Nostro ai semplici laici, libro dedicato al suo barbiere. La ragione è che Lutero ha posto al centro della riflessione teologica primo la Scrittura, secondo l’esperienza che facciamo dell’opera di Dio. Come teologo Lutero non è interessato tanto al discorso ontologico, chi sia Dio, ma all’incontro personale, diretto con Dio che suscita la fede e provoca l’obbedienza. Questa impostazione è il cardine del vissuto spirituale nelle chiese come la nostra nate dalla Riforma.
Commentando il Magnificat, Lutero afferma che il suo interesse centrale è descrivere l’esperienza fatta da Maria. Il suo Fiat nasce in un contesto: l’attesa d’Israele dell’adempimento delle promesse divine, ha un retroterra definito, denso, la fede d’Israele, di questo non si può prescindere se vogliamo cogliere l’essenziale che cimenta il sia fatto in me secondo la tua parola. La fede che è obbedienza, che sceglie, che si adopera per essere strumento nelle mani di Dio, è un modo di porsi dinanzi a Dio, davanti allo sguardo misericordioso e grazioso di Dio Egli ha guardato l’umiltà della sua serva. A Lutero preme discernere l’esperienza di Maria, perché si tratta dell’esperienza della fede che si risolve in obbedienza alla Parola di Dio.
Il Padre Nostro ci aiuta a capire la forza travolgente dell’esperienza della fede personale, soggettiva, ma oggettivata dal rapporto con Cristo, morto e risuscitato, nella chiesa, nel suo culto e nella sua fede. Sia fatta la tua volontà, è la domanda cardine della preghiera dei cristiani, che è posta in parallelo al venga il tuo Regno, quest’audace accostamento riassume la fede. Se la fede di Maria si esprimeva nel sia fatto in me secondo la tua parola, e la fede di Abramo consiste nel credere alla chiamata e alla promessa calzando i sandali del pellegrino e mettendosi in cammino. In ogni credente in Dio l’aspirazione massima deve consistere nel fare la volontà di Dio sulla terra, com’è fatta nel cielo, e nel mettersi in cammino, l’obbedienza è dunque il risultato immediato della fede. L’obbedienza è la via della fede, un cammino ed un pellegrinaggio. La fede e l’obbedienza di Abramo e di Maria sono in parallelo e le accosta la loro fede, come si pongono dinanzi a Dio, e la loro obbedienza, il cammino che fanno per rispondere alla chiamata divina che ha rivolto loro una vocazione unica, al primo per diventare padre della fede, alla seconda per diventare la madre del Signore.
L’esperienza nelle chiese sorte della Riforma trova nel binomio fede – obbedienza una norma per oggettivare la giustificatio impii sola fides. Non si può, sulla base della sola esperienza trovare una norma teologica. Il problema è trovare una regola della fede che non soffochi la libertà ma che allo stesso tempo vagli le singoli esperienze degli individui che non possono mai essere la norma oggettiva della fede. Le nostre chiese hanno visto nella Scrittura sola la norma normans, però essa dev’essere letta nella chiesa, perché abbia un senso poter parlare dell’esperienza del singolo, questa non è vissuta in isolamento. La fede e l’obbedienza sono in ultima istanza categorie esperienziali associate alla dimensione ecclesiologica della teologia e della preghiera.
Fede ed obbedienza vanno insieme come istanze che vicendevolmente si giustificano, non sono in opposizione ma coordinate: come in Maria e in Abramo, l’una è il fondamento dell’altra, o viceversa l’obbedienza è il frutto della fede, mentre la fede è l’essenza dell’obbedienza stessa.