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LA VOCAZIONE DI ABRAMO

Testo: Ebrei 11,8

Nella seconda parte della Genesi (Gen 12-50) si narrano le vicende dei Patriarchi, i quali sono presentati non solo come i progenitori, ma anche come i modelli di Israele nel rapporto con Dio.
Il primo di essi è Abram, al quale verrà̀ poi cambiato il nome in Abraham (Abramo: cfr. Gen 17,5). Abramo non è soltanto il primo dei patriarchi, ma è anche quello che ha suscitato maggiore interesse nella riflessione religiosa di Israele.
In tutte le vocazioni successive siamo abituati a Dio che si presenta così: io sono l’iddio di Abramo, Isacco, ecc. (Gen 28,13). Quando si presenta a Mosè ci aggiunge pure Giacobbe. In Abramo c’è l’inizio assoluto. Dio non si presenta come un Dio che ha fatto cose precedenti; con Abramo abbiamo l’inizio di un rapporto nuovo. È unica questa chiamata è l’inizio della storia. Dio avvia una storia personale con Abramo e la sua risposta diventerà modello per ogni credente.
Perché nelle vicende di Abramo si intrecciano temi di grandissima importanza; possiamo infatti già trovare nel percorrere della sua vita l’annuncio dell’evangelo.
L’aspetto soggettivo della chiamata di Abramo è il credere, l’affidarsi e sperare. Questa caratteristica verrà in tutta la Bibbia affiancata al suo nome.
La vicenda di Abramo si apre con la sua chiamata da parte di Dio. Dio si rivolge ad Abramo con queste parole: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre verso la terra che io ti indicherò» (v. 1).
Praticamente Dio gli chiede di abbandonare tutti i suoi legami naturali: patria, clan, famiglia.
La prima cosa che deve fare il patriarca è espressa nell’imperativo «vattene» che significa: va per te /va verso di te.
Come se il Signore gli dicesse: Per il tuo bene (va’ per te) lasciati alle spalle il tuo passato; entra in te stesso (va’ in te), nell’intimo della tua coscienza, verso la scoperta del mio progetto di vita su di te (va’ verso di te), e perciò̀ della tua vocazione più autentica.
Il paese, la patria, la casa di tuo padre. Tre realtà importanti: una geografica, una culturale, una di affetti da cui Abramo viene tolto. Abramo viene chiamato dal fondo della propria identità. La vocazione lo coglie in tutto ciò che lui è.
Ve lo immaginate voi, se adesso Dio arrivasse e ti dicesse lascia tutto e seguimi? Sembra quasi cattivo questo Dio che vuole strappare Abramo dalla sua vita.
Ma Dio trova Abramo in una situazione che non da speranza; tutto quello che ha ora non dà futuro è senza terra ed è senza figli.
Dio interviene in Abramo sia in ciò che possiede sia in ciò che non possiede. Mentre gli domanda di rinunciare a ciò che possiede gli si presenta come offerta di ciò che non possiede e ciò che non può sperare.
Dunque, Abramo lascia la sua identità sì e si avvia però verso una speranza che umanamente non avrebbe.
Invitato a lasciare il suo ‘piccolo mondo, Abramo è incamminato verso qualcosa di ‘grande’ (due volte l’aggettivo viene usato al v. 2) garantito dal Signore stesso.
Anche a noi Dio a volte chiede di lasciare le nostre certezze, le nostre idee, ecc. ed è doloroso lasciare, ma questo lasciare queste catene spezzate ci conduce verso la vera vita.
Abramo lascerà il suo passato e non tornerà mai indietro anche quando ci sarà la carestia Dio lo spingerà sempre verso cose nuove, mai verso la ripetizione del passato.
Ma Dio inoltre chiede ad Abramo di avviarsi verso un paese di cui non gli indica il nome e l’ubicazione
Genesi 12,1-3 1 Il Signore disse ad Abram: “Vàttene …….verso il paese che io ti indicherò. 2 Farò di te un grande popolo”
Abramo è chiamato a cose non ancora certe. Mentre Mosè, ad esempio, è molto chiaro quello che deve fare portare il popolo fuori dall’Egitto, Dio chiede si ad Abramo di essere un grande popolo e possedere una terra.
Popolo e terra
Ma Quale terra? Un popolo con quali figli?
Ma la grandezza di questo patriarca è che: non si mette a dire come farò, ma è una follia.
Lui tace e parte.
Comprende che senza Dio non ha futuro e che il suo presente va lasciato.
Cè tutto il tema della paura del futuro perché rimaniamo intrappolati nel passato perché non ci fidiamo di Dio.
Pensiamo che Dio ci chiederà di fare cose straordinarie di cui non siamo capaci
Se analizziamo bene la vita di Abramo possiamo dire che in fondo non deve fare nulla di diverso che vivere.. viaggia da un posto all’altro, ogni tanto mette una stele, ogni tanto qualche battaglia, invoca il nome di Dio e riparte.
Concretamente Dio gli chiede di camminare insieme a Lui.
Ed è questa la vocazione che ci viene rivolta. Ognuno di noi deve camminare insieme a Dio nella sua specificità. Non ci sono solo pastori e missionari, abbiamo scoperto ormai da tempo che Dio ti rivolge una vocazione perdonale.
Ma come Abramo devi dire di si.
E questo forse ormai il punto dolente delle nostre chiese sembra che DIO ABBIA SMESSO DI RIVOLGERE LA CHIAMATA. DIO NON CHIAMA PIU' PASTORI
Come mai?
Oppure siamo noi che abbiamo paura di ciò che ci chiede dio.
La vocazione che ti viene rivolta è importante non solo per te perché è si una vocazione singolare che ti cambia la vita, ma nondimeno Abramo è chiamato per molti. Cioè per tutto il popolo e per tutto il mondo.
Dalla sua vocazione nasce la vocazione di un popolo. Ricordiamoci del rapporto che sempre vi è in ogni vocazione, tra singolarità e universalità. Dio non dice come ho chiamato te, chimerò altri, ma dice tu sei il chiamato per una moltitudine.
«Per discernere la propria vocazione, bisogna riconoscere che essa è la chiamata di un amico: Gesù. Agli amici, quando si fa un regalo, si regala il meglio. E questo non è necessariamente la cosa più costosa o difficile da procurare, ma quella che sappiamo darà gioia all'altro.
Amen