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Il Cantico dei Cantici: il secondo canto

CANTICO 2,8-17 e 3,1-5 

Il secondo cantico consta di due poesie 2,8-17, che consiste in un’esaltazione della primavera, e 3,1-5 che contiene la ricerca del suo amore da parte della ragazza per le strade della città. La settimana scorsa abbiamo visto alcune delle caratteristiche della poetica ebraica applicando queste scoperte all’analisi dei testi. Il linguaggio poetico è analogico e suggerisce relazioni insolite (la bellezza della ragazza è come quella di una giumenta), tra i termini posti in paragone a diversi livelli: il primo è quello evidente (metafore del primo livello le essenze aromatiche sono come gli odori dei ragazzi, la bellezza della ragazza è esaltata dai monili del collo e delle orecchie), il secondo è evocativo (metafore del secondo livello questo ricorda o significa quest’altra realtà sono migliori i tuoi amori del vino e più ubriacanti e gustosi etc.), infine il terzo livello è quello allegorico o teologico suggerito dall’insieme delle immagini, sono le metafore del terzo livello il campo fiorente in primavera esaltato nel primo cantico è in realtà l’Eden o il Tempio di Gerusalemme è la stanza interna della casa dove lo sposo portava la ragazza per il banchetto. La casa e l’abitazione nascosta e intima della casa evoca il Tempio e il qadosh qadoshim dove avviene l’unione mistica tra Dio e il suo popolo, Israele. Allo stesso modo, al primo livello, quello evidente l’immagine dell’amore tra i giovani rimanda alle gioie dell’unione sessuale, mentre al secondo livello si rimanda al rapporto Dio e Israele (o Cristo e la chiesa), mentre al terzo livello l’amore tra i giovani rimanda al rapporto di Alleanza tra Dio e Israele, così nella prima parte 2,16 troviamo un testo che consiste in una formula dell’Alleanza: il mio amato – mio -, io –sua-.

I baci evocano l’amore e le sue delizie, il campo che fiorisce in primavera evoca l’Eden luogo di delizie, la casa della ragazza con la sua stanza nascosta rimanda al Tempio e al santissimo dove è presente la Shekinà. Il primo canto è una canzone della ragazza che ricorda il suo amore come se fosse una gazzella o un cerbiatto che viene a lei saltando e correndo tra valli e colli. La canzone esalta la primavera e la prima fioritura, la risurrezione della vegetazione trasporta i giovani ad un nuovo giardino dell’Eden, per cui si devono affrettare, uscire insieme per godere dei piaceri suscitati dagli odori, fragranze dei fiori, degli alberi e dal canto delle tortore, insinuazione dell’arrivo della primavera. Il ragazzo chiama alzati amica mia, bella mia, sposa mia, e vieni. Devono accogliere insieme la primavera per viverla intensamente, il canto è una celebrazione tumultuosa dell’amore nel suo stadio iniziale e puro, il campo è Eden e loro sono la prima coppia umana che scopre l’amore, il desiderio, si cercano, si chiamano vincendo ogni contrasto che si frappone tra l’amore e loro (i fratelli e le volpi che guastano le vigne che sono i corpi dei giovani). Poi, all’improvviso si cambia registro e sul più bello troviamo la ricerca affannosa della ragazza che di notte scopre che il ragazzo non c’è più, non è presente. Il secondo componimento è dunque di difficile interpretazione. Molte volte pensiamo che Dio sia con noi, e invece Dio è libero, se è con noi è soltanto per grazia, perché Egli vuole. La ragazza lo cerca disperata per le strade della città, interroga le guardie notturne e poi all’improvviso egli appare dinanzi a lei, l’ho preso e non lo lascerò. Se nella tradizione profetica la voce dominante è quella di Dio, nel Cantico l’esperienza di perdita e l’espressione di agognata ricerca di Dio sono poste nella bocca della ragazza.

I temi che ricorrono in queste poesie e che fanno riferimento in chiave teologica al rapporto di Dio con Israele sono questi:

La presenza di Dio in mezzo al suo popolo, in un testo del Vangelo di Giovanni si parla dell’adorazione di Dio in Spirito e verità. Il modo in cui noi interpretiamo in Spirito è greco, e dunque pensiamo a qualcosa di immateriale in contrasto con tutto ciò che è materiale, corporeo e dunque inferiore, questo è in contrasto con la mentalità ebraica. La nostra incapacità di leggere i testi semitici è tragica poiché la Bibbia è la parola di Dio e noi la leggiamo in chiave greca dimenticando la sua radice ebraica. La spiritualizzazione del rapporto con Dio in chiave di rapporto dell’anima disincarnata in una regione puramente astorica è lontana anni luce dalla Bibbia. La presenza di Dio evocata nelle poesie del Cantico deve essere collegata alla fede di Israele nella presenza reale divina che si verificava realmente nel Tempio attraverso la Shekinà, e poi quando il tempio fu distrutto, Dio  era presente in modo reale nella Torah, nella sua Parola che è in ebraico dabar, che significa non soltanto parola ma anche cosa, perché tutto ciò che esiste è una parola pronunciata da Dio.

L’unione con Dio è dunque qualcosa di reale evocato dall’analogia matrimoniale, così come gli sposi si uniscono e diventano una cosa sola, così Dio ha scelto Israele, non perché avesse una qualche qualità che la rendesse superiore ad altri popoli, ma per sola grazia (questo insegna il libro del Deuteronomio), e si è unito a lei in un rapporto di Alleanza. L’autore dell’Epistola agli Efesini raccoglie questa analogia e l’applica al rapporto tra Cristo e la Chiesa. E’ chiaro che l’intento non è quello di sacralizzare il matrimonio rendendolo una specie di sacramentum, ma al contrario l’esaltazione dell’Alleanza perpetua tra Dio e il suo popolo. L’amore umano, in tutte le sue componenti anche dunque quelle sessuali, rimandano all’unione tra Dio e il suo popolo. L’unione reale tra Dio e il suo popolo è ora mediata dall’Incarnazione e dalla Risurrezione di Cristo che diventano centrali, fanno diventare concreta – reale questa unione tra Dio e il suo popolo attraverso Cristo. Di nuovo, abbiamo la definizione di un modello teologico, l’alleanza. La poesia costruisce su questo modello, attraverso l’amore tra due giovani un’esaltazione della Alleanza tra Israele e Dio dando voce a Israele, la ragazza, la poetessa racconta il suo amore verso il suo ragazzo, come se fosse l’amore della sua nazione al Dio dell’Alleanza.

La teologia del Tempio come luogo della presenza di Dio, è continuamente presente, l’abbiamo già trovato due volte nei riferimenti alle stanze segrete della casa dove la ragazza vuole portare il ragazzo per unirsi a lui. Il Tempio è sovrastato dall’Ombra buona di Dio che copre e protegge, benedice e  conduce verso la salvezza. In alcuni testi che vedremo più avanti la ragazza dice che il suo amato è come un albero e che a lei piace stare sotto la sua ombra. Questa evocazione evidente della Shekinà è presente ogniqualvolta si fa riferimento alle stanze interne, segrete dove avviene l’unione sessuale e che evoca l’unione di alleanza tra Dio e Israele.

In questo testo troviamo ancora un tema importante in tutta la letteratura profetica: la perdita di Dio dovuta all’infedeltà. I profeti prendevano sempre il punto di vista di Dio tradito da Israele che compiva atti di infedeltà contro Dio, per spiegarsi l’apparente assenza di Dio. Questa esperienza appartiene al rapporto con Dio, e consiste nella perdita di Dio, nel silenzio di Dio, l’esperienza si dà nella storia per esempio quando Israele è colpita da certe sciagure storiche, anche a volte noi facciamo questa esperienza quando le prove e le difficoltà ci sovrastono. In Cantico l’esperienza dell’assenza di Dio è continua, già nel primo cantico abbiamo visto la ragazza pastorella cercare l’amato e chiedere disperata ai pastori e alle altre pastorelle dove trovare il suo amore, ora si trova al capitolo tre questa ricerca dell’amato assente per le strade della città. Il tema è riportato alla scoperta della grazia: Dio ha scelto Israele perché ha amato questo popolo, non vi è nessun’altra ragione, il rapporto di Dio con il suo popolo è centrato nel suo amore ed è Grazia preveniente, che precede ogni nostro merito e che perdona il peccato. L’amore per pura grazia è la chiave di lettura del rapporto tra Dio e il suo popolo.