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Morte e giudizio

La dottrina tradizionale ha dato grande enfasi alla questione del Giudizio Universale.Nella Bibbia si trova l' affermazione che la morte è "il salario" (conseguenza) del peccato Rom. 3,20. Occorre distinguere tra la morte naturale e quella che Giovanni chiama la "seconda morte", di carattere spirituale. La prima è un evento naturale, di cui non avere paura. Dobbiamo invece temere la seconda; essa è l'"ultimo nemico", nemico dell'uomo non spirituale. Alla morte segue il giudizio Eb 9,27. Al giudizio segue una sentenza: A vita (salvezza); a morte o dannazione o condanna all'inferno (questa è da sempre una delle questioni più dibattute nella teologia).

In Giovanni il Giudizio è in realtà auto-giudizio, vi ripropongo il testo di domenica: Giovanni 12,44-50: 44 Ma Gesù ad alta voce esclamò: «Chi crede in me, crede non in me, ma in colui che mi ha mandato; 45 e chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46 Io sono venuto come luce nel mondo, affinché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47 Se uno ode le mie parole e non le osserva, io non lo giudico; perché io non sono venuto a giudicare il mondo, ma a salvare il mondo. 48 Chi mi respinge e non riceve le mie parole, ha chi lo giudica; la parola che ho annunciata è quella che lo giudicherà nell'ultimo giorno. 49 Perché io non ho parlato di mio; ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha comandato lui quello che devo dire e di cui devo parlare; 50 e so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre me le ha dette».

Chi si rifiuta di ascoltare è giudicato dalla parola stessa e questo giudizio si vedrà, sarà noto quando giungerà l'ultimo giorno. Noi che viviamo immersi nel corso del tempo e che viviamo nel flusso degli istanti dobbiamo avere la percezione dell'inizio e della fine delle nostre esistenze come una parentesi di questo flusso temporale senza fine apparente. Ma ci sarà l'ultimo giorno e un giudizio per cui dobbiamo ora e qui decidere, prendere una decisione riguardo le parole annunciate di Gesù.

Quelle parole annunciate da Cristo sono quelle che il Padre gli ha comunicato, saranno esse a giudicare. In greco giudicare (krino) è anzitutto separare il giusto dall'ingiusto, il malvagio da colui che ha operato il bene, questa separazione che è l'elemento essenziale del giudizio è chiamata chrisis, quello che afferma Gesù è che non vi è una separazione operata da qualcuno, ma è sempre auto-separazione e auto-esclusione.

Secondo Giov 3,17 ss. e 12,14 ss., la morte e¬terna scaturisce dalla profondità delle decisioni umane: il giudizio di dannazione è sempre autogiudizio, l'esclusione è sempre autoesclusione. L'obbiezione così popolare che Dio sia troppo buono perché esista il giudizio e la dannazione, è estremamente superficiale; non tiene conto del fatto che l'uomo decide coscientemente e volontariamente, che sceglie una vita senza Dio. Detto in altro modo: ci sarà la condanna nel giudizio solo per colui che avrà voluto in maniera lucida e volontaria una vita vissuta senza Dio, ai margini di Dio; e dato che Dio è la vita, ciò che ne deriva da una vita senza Dio è l'eternità senza Dio, e dunque la morte eterna.

La domanda sulla possibilità della dannazione si dissolve in un'altra equivalente: è l'uomo abbastanza libero per poter peccare mortalmente? Può l'essere umano dare un no definitivo e mortale a Dio? Solo in questo caso si potrebbe parlare d'inferno.

Nella Scrittura la negazione di Dio non avviene solo nell'ambito intellettuale dell'incredenza o della credenza. La negazione mortale di Dio è anche la negazione dell'essere uma¬no, l'immagine di Dio. I dannati di Mat 25:31 ss. si sorprendono dall'accusa di non aver soccorso Cristo. La negazione, e dunque l'affermazione di Dio avviene anche per tanto nell'opzione amore/ disamore. La domanda della possibilità della dannazione ha una risposta affermativa. Non solo perché non si possono negare le situazioni di peccato individuale e sociale, ma anche perché se queste situazioni non implicano colpevolezza di chi ne è il responsabile, allora chi è colpevole del male nel mondo? Il soggetto individuale o collettivo del peccato afferma il proprio io contro l'altro io umano, ma anche contro l'io divino assoluto, rompe nella sua vita la possibilità di una esistenza fondata nel volere divino e nel ri-spetto degli altri esseri umani umani.

Se l'essere umano non è libero di scegliere la dannazione, allora non lo sarà neanche di scegliere la vita eterna. Non sarà libero affatto, la sua libertà esistenziale sarà soltanto finta, uno scherzo; ma lo sarà anche la sua responsabilità, chi non è libero non è nemmeno responsabile. La comunione o amicizia con Dio non può essere imposta. è qualcosa che si offre e accetta in base al¬la libertà di due soggetti personali. Per tanto l'offerta può essere rifiutata individualmente. L'uomo decide la propria sorte, non c'è altro inferno che quello che noi creiamo per noi stessi.

Se la vita eterna consiste nel "vedere Iddio", la morte e¬terna sarà la lontananza da Dio irrecuperabile, il vuoto assoluto dell'essere. La sofferenza fisica o pena, devia l'attenzione della vera essenza umana e dimentica che l'inferno non è una pu¬nizione inflitta da Dio, ma uno stato che l'uomo sceglie per sé. L'uomo è immagine di Dio, dunque il suo essere tende alla pienez¬za che non può trovare in se stesso, senza Dio l'uomo è un essere mancato che non raggiunge la pienezza. La morte eterna è l'irre¬versibilità di questa esistenza fatta per essere in Dio, ma che rimane monca, fallita, un'esistenza senza Dio.

Ad alcuni non farà molto effetto questa descrizione della morte eterna. Il fatto è che noi non possiamo immaginare cosa sia un'esistenza senza Dio. In questo mondo e vita Dio è presen¬te, il sole appare e la pioggia cade su giusti e ingiusti, noi non sappiamo in cosa consista vivere in una realtà dalla quale Dio è assente e per sempre. Un ambito inospite che domina l'uomo e non viceversa; dove non c'è la mondanità dell'esistenza in so¬cietà né possibilità di relazione. Cioè, l'essenza del peccato è la rottura della comunione con Dio, con l'altro essere umano e con l'ambiente. Dunque la morte eterna è la totale solitudine, l'incomunione, l'incomunica¬zione assoluta. L'egoismo umano frantuma e disgrega la realtà isola l'essere umano dagli altri e da Dio. Dio rispetta questa decisione umana. Colui che ha scelto se stesso avrà ciò che voleva: tiene se stesso, ma soltanto se stesso per l'eternità, diviene alla fine per i secoli dei secoli il centro della sua vita, una chiusura inviolabile da altri e perfetta.

Questo è l'inferno, la solitudine di un eterno silenzio soli con noi stessi: questa è l'immagine sconvolgente dello scricchiolio dei denti, un suono inarticolato, incomprensibile e che non può ottenere risposta. Narciso che finalmente affonda nella sua im¬magine rispecchiata nell'acqua del lago. L'inferno è l'anticomu¬nità, nessuno conosce nessuno, è il nopopolo. Dunque, non è la punizione divina, ma la conseguenza finale e naturale delle deci¬sioni umane, non è una pena inflitta dall'esterno per una colpa, ma è una possibilità della esistenza umana, è qualcosa che ciascuno di noi può creare per se stesso. Per tanto la punizione divina non è altro che la conseguenza connaturale della colpa u-mana e che da essa e non da Dio scaturisce.