Questo sito web utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione.

Delucidazioni sul testo Romani 1:26-27

Analisi linguistica delle parole Malakos-oi e Arsenokoites-ai nel NT e delucidazioni sul testo di Romani 1,26-27.

Introduzione:

Nel mondo antico non esistevano i concetti astratti moderni di sessualità, orientamento sessuale, eterosessualità, omosessualità, ecc. Perciò non ci sono degli equivalenti linguistici nelle lingue della Bibbia (ebraico, aramaico e greco koiné). Inoltre, la Bibbia appena ne parla, concretamente le parole Malakoi e Arsenokoitai, compaiono soltanto in due brani: 1 Corinzi 6,9-10 e 1 Timoteo 1,10, mentre il testo classico su cui si fonda la condanna dell'omosessualità, Romani 1,26-27 in realtà tratta dell'idolatria e delle sue conseguenze.

Dobbiamo tenere ben presente il contesto sociale, religioso e umano dal quale emergono le credenze e condanne della Bibbia riguardo la prassi dei rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso. Nel contesto ebraico si considerava "naturale" il rapporto tra uomo e donna ai fini della procreazione, tutti gli altri rapporti sessuali erano considerati "non naturali" e condannati, anche per esempio il coitus interreptus, la masturbazione, ecc., principalmente perché si perdeva liquido seminale, potenza creatrice che Dio aveva dato all'uomo. Nel contesto della diaspora gli ebrei tendevano a considerare la pratica dei rapporti tra persone dello stesso sesso come una conseguenza dell'idolatria.

Nel contesto greco e romano questo tipo di rapporti erano codificati in modo sociale, avvenivano all'interno di una prassi sociale accettata e ritenuta positiva. Non si accettavano però i rapporti stabili tra due uomini capi di famiglia. Questo tipo di relazione era accettata tra un mentore adulto e un ragazzo giovane (non sempre questo rapporto aveva implicazioni sessuali ma poteva averle e non era scandaloso ma ritenuto positivo per il giovane). Era accettata anche tra il padrone e lo schiavo, in genere il padre di famiglia possedeva tutti nella famiglia, il rapporto all'interno della famiglia era quello del possesso e non dell'amore, pertanto si accettava la proprietà sessuale del padre (tutti gli appartenevano). Era accettata anche la prostituzione maschile rivestita di sacralità come forma di culto a determinate divinità. Quando la Bibbia condanna questa prassi cosa condanna se non quello che conosce, cioè la prostituzione maschile, l'uso degli uomini come proprietà sessuale, la pederastia? Invece non si dice niente nella Bibbia sulla forma del rapporto fondato sull'amore tra due maschi adulti e consenzienti. L'omosessualità femminile non è neppure considerata nella Bibbia. La scelta di condannare o di approvare questo tipo di rapporto non ha nulla a che vedere con la Bibbia, ma con delle scelte di carattere morale o ideologico fondate sul pregiudizio religioso o morale.

Malakoi e Arsenokoitai:

Queste due parole appaiono nel contesto di una serie di comportamenti non accettati all'interno della comunità, ma significano esattamente omosessuale o sodomita come traducono alcune versioni moderne?

1 Corinzi 6,9-10: "h' ouvk oi;date o[ti a;dikoi qeou/ basilei,an ouv klhronomh,sousinÈ mh. plana/sqe\ ou;te po,rnoi ou;te eivdwlola,trai ou;te moicoi. ou;te malakoi. ou;te avrsenokoi/tai"...

O non sapete che (gli) ingiusti di Dio, il regno non erediteranno? Non ingannatevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effemminati (molli-dolci), né depravati, (né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci (il) Regno di Dio erediteranno)

La parola malakos può significare effemminato o molle, dolce. Soltanto in questo testo e in 1 Timoteo 1,10 ha un significato connotato sessualmente, tutte le altre volte che appare nel NT significa molle e può esse applicato p.e. ai vestiti (di stoffa "soffice" Mt 11,8); ma attenzione, nel contesto originale può significare anche un uomo che "frequenta troppo le donne", che non è virile o forte (che si stanca subito, che non è capace di lavori pesanti), che è cagionevole di salute, che non ha una costituzione robusta (il cui corpo è più simile a quello delle donne). Si tratta dunque di una parola senza un connotato preciso e che qui può significare un uomo debole, arrendevole, senza controllo delle sue passioni o carente di disciplina, che si lascia dominare dalle donne, ecc. Lo spettro di significato è troppo ampio e perciò la scelta di tradurre la parola come effeminato o partner passivo nei rapporti omosessuali non è giustificata dal punto di vista filologico poiché esisteva la parola specifica greca kinaedos con questa valenza dell'uomo che si faceva penetrare in un rapporto sessuale.

Arsenokoitai è ancora più difficile e complessa perché questa parola appare poche volte nel greco del primo secolo dC, questa parola è composta da due parole arseno significa "maschio" e koitai "letto" (giacere a letto), alcuni elaborano una complessa etimologia dell'uso paolino dicendo che Paolo con questa parola vuole tradurre il divieto del Levitico di "usare un uomo come se fosse una donna", e dunque che la traduzione di questa parola sarebbe un "maschio che giace con un altro maschio", nulla da dire sulla fantasia di una tale interpretazione, ma notate che si tratta di qualcosa di molto forzato. Nel contesto ellenico l'uso più frequente di questa parola è "depravato", infame. La realtà è che nessuno sa esattamente cosa volesse significare Paolo con questa parola, l'uso più frequente è quello di chi sfrutta sessualmente altri esseri umani, questo dunque sarebbe il peccato o comportamento qui condannato, chi affermi che si tratta di omosessuali attivi lo deve dimostrare portando delle prove di un uso della parola ai tempi di Paolo con quello specifico significato di omosessuali attivi.

Alcune considerazioni su Romani 1,26-27:

Il tema del testo è la condanna dell'idolatria. Il problema ermeneutico del testo di Romani si può porre in questi termini: Paolo condanna la condotta degli omosessuali (uomini e donne) e la qualifica come atto impuro o abominabile (toevah) ricordiamo che altri atti impuri erano mangiare carne di maiale, l'atto sessuale con la donna durante il flusso mestruale o guardare la nudità femminile (cfr. Rom 14,14), e non come peccato perché è assente nel testo la terminologia che Paolo usa per il peccato. I termini "adikia e asebeia" non sono peccati nella teologia paolina ma lo stato o condizione del peccatore che è in quello stato appunto perché peccatore. Dunque l'omosessualità non è esempio del peccato per Paolo, ma esempio dello stato in cui si trova il peccatore, si veda il commento a Romani di Kasemann, edito dalla casa editrice Eerdsman, Grand Rapids 1980, p. 38, (della stessa opinione Zahn, Schlier, Billerbeck, Leenhardt, Schlatter, insomma gli esegeti che hanno fatto la storia recente dell'esegesi di Romani). Altrimenti Dio punirebbe un peccatore, l'omosessuale, obbligandolo a commettere un altro peccato ancora più grave. Dio non può punire il peccato portando il peccatore a commettere altri peccati più abominevoli ancora. Immaginate un giudice che condanni un assassinio a commettere invece una strage come punizione per l'assassinio, sarebbe mostruoso, non è possibile, né sul piano logico né sul piano formale. L'unica alternativa che lascia il testo di Paolo è che per lui l'omosessualità non sia un peccato ma lo stato del peccatore (di idolatria) che è già di condanna e dunque porta in sé stesso la sua punizione.

Il significato poi di para phisis, contro natura ha anche esso un ampio spettro di significato, può significare un desiderio sessuale smisurato e diretto al proprio piacere e non alla procreazione, dunque anche la maggior parte dei rapporti eterosessuali attuali sarebbero per Paolo contrari alla natura. Non si può interpretare quell'affermazione come una condanna morale implicita di tutti i tipi di rapporti omosessuali come fanno oggi alcuni esegeti.

CONCLUSIONI:

La Bibbia non conosce la "condizione" omosessuale, se ne occupa poco e quando si occupa la condanna in modo condizionato dalla tradizione semitica antica e senza dare una motivazione.

Tutte le affermazioni di carattere morale della Scrittura sono condizionate dal contesto storico e culturale in cui la Bibbia è nata. Non si può dire semplicemente che il comportamento x è condannato dalla Bibbia e dunque anche noi lo condanniamo. Si pensi alle pratiche antiche non condannate (la schiavitù e il possesso degli schiavi, la vendita dei figli o delle figlie come schiavi da parte dei genitori per appianare i debiti, la lapidazione dell'adultera o del figlio disubbidiente), e a quelle che si condannavano e che oggi ci fanno sorridere (l'atto sessuale con la donna durante il flusso mestruale, mangiare carne di maiale, guardare un nudo di Tiziano o di Goya sarebbe un abominio e chi lo contempla dovrebbe essere lapidato).

Le affermazioni di Paolo in Romani dipendono dalla credenza che ci siano soltanto due sessi, che ognuno è attratto in modo naturale verso l'altro sesso, che i rapporti tra persone dello stesso sesso poteva portare alla fine della specie umana. Le nostre conoscenze attuali sembrano smentire questi presupposti che sono alla base della condanna morale.

Martin Ibarra