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Il Vangelo nel camerino

Testo: Efesini 4, 22-32

17 Questo dunque io dico e attesto nel Signore: non comportatevi più come si comportano i pagani
nella vanità dei loro pensieri, 18 con l'intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio, a motivo
dell'ignoranza che è in loro, a motivo dell'indurimento del loro cuore. 19 Essi, avendo perduto ogni
sentimento, si sono abbandonati alla dissolutezza fino a commettere ogni specie di impurità con
avidità insaziabile. 20 Ma voi non è così che avete imparato a conoscere Cristo. 21 Se pure gli
avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù, 22 avete imparato per
quanto concerne la vostra condotta di prima a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe
seguendo le passioni ingannatrici; 23 a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente 24 e
a rivestire l'uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che
procedono dalla verità.
25 Perciò, bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli
uni degli altri. 26 Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sopra la vostra ira 27 e non fate
posto al diavolo. 28 Chi rubava non rubi più, ma si affatichi piuttosto a lavorare onestamente con
le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a colui che è nel bisogno. 29 Nessuna cattiva
parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno,
ditela affinché conferisca grazia a chi l'ascolta. 30 Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il
quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione.
31 Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di
cattiveria! 32 Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda
come anche Dio vi ha perdonati in Cristo.

Qualche settimana fa abbiamo introdotto il capitolo 4 della lettera agli Efesini come “il dunque della fede”. Cioè quella parte della lettera che parla del passaggio dai principi della fede, o dal deposito della fede, come suggerisce l’epistola a Timoteo, alla concretezza della fede cristiana. Se credo, anzi, se dunque crediamo in Cristo che succede, che cosa cambia?

Qui in questa parte della lettera si usa una metafora che attraversa la Bibbia dai suoi inizi. Paolo parla di “spogliarsi del vecchio uomo” per “rivestire l’uomo nuovo”. Il gesto del rivestire fu il primo gesto che fece Dio verso Adamo ed Eva dopo che a seguito della loro trasgressione si scopersero nudi e goffamente si fecero delle cinture di foglie di fico. E’ scritto: Dio il SIGNORE fece ad Adamo e a sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì (Gen 3, 21). Poi in Galati (3, 27) Paolo riprende la metafora e parla del battesimo come di un rivestirsi di Cristo: Infatti voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.

Ecco dunque qui la stessa metafora riproposta e sviluppata. Vita cristiana nella comunità come un vestito.

Riprendendo e modernizzando la metafora, possiamo parlare del Vangelo del camerino, riflettendo su cosa accade nel passaggio fra un indossare un abito vecchio e vestirne uno nuovo.

Possiamo dire per prima cosa che non possiamo sperimentare la novità se non deponiamo per prima cosa gli abiti vecchi passando per una fase necessaria di nudità. Lo spogliarsi espone, rende vulnerabili, nudi non ci sentiamo a nostro agio se siamo davanti a sguardi altri. Ma la nudità è una condizione dell’anima necessaria nel passaggio fra le vecchie cinture di foglie di fico e gli abiti nuovi che ci fornisce Dio. Essere nudi davanti a Dio è lasciare cadere ogni alibi, ogni scorza dura, ogni scusa. Possiamo vergognarci perché, siamo come siamo, con tutti i difetti e senza difese. Non è un passaggio facile lasciar cadere ogni difesa, ed esporci davanti a Dio così come siamo. Ci vergogniamo della nostra condizione ma è un passaggio indispensabile.

Poi lasciati gli abiti vecchi , ecco quelli nuovi. Ma l’abito è diverso da quello precedente, non è detto che ci sentiremo a nostro agio, almeno non subito. Siamo incerti, abbiamo bisogno di conferme. Come mi sta? Dammi qualche consiglio...

Cambiare abito, ricevere in dono un abito nuovo, smettere quello vecchio una volta per sempre rappresenta un cambio di identità in un certo senso. Siamo sempre noi, certo, eppure siamo persone diverse. Rivestìti di Cristo, dice Paolo, “voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo”. L’abito nuovo è Gesù Cristo stesso. Siamo in Lui, portiamo il suo nome, in quanto cristiani. Moriamo della sua morte, riceviamo in lui la sua nuova vita di risurrezione. Nel battesimo riceviamo in dono una nuova identità. Non cambia solo il look, cambia anche e soprattutto il cuore.

Con questa metafora in mente Paolo parla in questo testo non ai singoli credenti ma all’intera comunità, una comunità per la quale aveva pregato, con la quale aveva condiviso la fede, una comunità in cui erano insieme, riconciliate, persone diverse e tradizionalmente anche nemiche: cristiani di origine giudaica e cristiani di origine pagana. Questa era la sfida, vivere insieme come comunità rinnovata dall’unico vestito comunitario, Cristo Gesù. Il vestito costituito dalla grazia, dalla misericordia, dall’amore di Dio. Nel capitolo 6 la metafora avrà ancora uno sviluppo, il vestito nuovo comune diventa addirittura un’armatura comunitaria che sia in grado di difenderci dalle insidie del maligno e dall’omologazione con il mondo: verità come cintura, giustizia come corazza, zelo per il Vangelo della pace come calzature, fede come scudo, salvezza come elmo, e la parola come spada.

 Questo dunque io dico e attesto nel Signore: non comportatevi più come si comportano i pagani
 nella vanità dei loro pensieri.

 Quando come pastori ci siamo interrogati su questo brano ci siamo chiesti: ma oggi chi diremmo
 siano”i pagani”? Non c’è una facile risposta come dire che i pagani sono i non cristiani. Abbiamo
 considerato infatti che a volte ci sono persone che non si riconoscono nella fede cristiana ma sono
 esempi luminosi nel mondo. Si facevano nomi come Gino Strada, Ghandi e forse molti di noi ha
 qualche esempio che conosce personalmente. Possiamo dire che i pagani Paolo li intendeva come
 persone dedite al culto degli idoli, cioè coloro che facilmente si inchinavano (fisicamente o
 figurativamente) davanti a dèi che non erano dèi. E qui è chiaro che il paganesimo è in agguato
 dovunque, anche nella chiesa – e Paolo a una chiesa parla! Perché chiunque e qualsiasi cosa può
 facilmente trasformarsi in un idolo che sostituisce il Dio vivente. Possiamo farci idoli di qualsiasi
 cosa prenda il sopravvento sulla nostra vita. Possiamo farci idoli dei soldi (E Gesù chiamava in
 questa veste le ricchezze, Mammona), possiamo farci idoli dei leader politici, possiamo farci idoli
 dell’apparire, possiamo trasformare in idolo perfino un cantante o un influencer. Qualche giorno fa
 in una nostra diretta abbiamo considerato che perfino il cellulare può diventare il nostro idolo nella
 misura in cui diventiamo da esso dipendente, e la lista possiamo allungarla. Possiamo anche fare di noi stessi un idolo, cioè facciamo crescere il nostro ego a dismisura da sostituirlo nella vita pratica
 a Dio stesso.

 Se da pagani diventiamo cristiani perché comprendiamo che Dio solo è Dio e non altri, Dio solo e
 non noi stessi, allora – dice Paolo – state comunque attenti perché l’idolatria, il paganesimo può
 diventare per noi una minaccia: 20 Ma voi non è così che avete imparato a conoscere Cristo. 21 Se
 pure gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù.

 Parliamo un attimo di questo momento: il momento in cui abbiamo imparato a conoscere Cristo.
 Su questo ognuno di noi avrebbe da raccontare storie diverse. C’è chi ha vissuto una storia di fede
 “drammatica”, cioè un’esperienza di fede in cui la cesura fra il prima e il dopo la conversione è
 stata netta e precisa, chi insomma può con facilità individuare il momento in cui è avvenuto il
 cambio di vestito, l’ora esatta del Vangelo del camerino. Una parola, un canto, una preghiera e uno
 speciale stato d’animo hanno fissato l’incontro della nostra vita con Dio. Da qual momento c’è stato
 per noi un prima e un dopo Cristo. Non solo il tempo della storia ma anche il nostro tempo
 individuale è stato tagliato in due.

 Ma ci sono altri per i quali le cose non sono andate così. Sono come Timoteo, figli o anche nipoti di
 Loide e Eunice, di persone credenti, che hanno fatto la scuola domenicale, hanno mangiato pane e
 Bibbia e fatto la preghiera a tavola da quando erano piccoli. La chiesa è sempre stata la loro
 seconda casa. In questo caso non ricordano nemmeno che ci sia stato un cambio di abito tranne
 forse per la data del proprio battesimo ( o della confermazione).
 Ma Paolo si rivolge a tutti, ebrei e quindi credenti di nascita e gentili di conversione dal
 paganesimo, o a persone come era lui stesso, giudeo di nascita ma che aveva avuto bisogno di
 conversione comunque. Tutti i tipi di credenti sono, siamo, sempre a rischio di paganesimo, di
 ricadere nell’idolatria. Gli ebrei nell’idolatria della loro “giustizia” e del loro vanto, i gentili
 dell’idolatria della loro cultura e del loro modo di vivere precedente. Quello che Paolo aveva infatti
 ricordato solo poche righe prima di questo testo era che non c’è vanto. Per nessuno!

E’ per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. 9 Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti.(Ef 2,8)

Il vestito nuovo è vestito ricevuto in dono.

Dunque la vita di fede conosce momenti importanti che a volte rappresentano delle cesure nette dal passato ma anche vite cristiane del tempo “ordinario”. E qui parla proprio di questo, la vita di fede del giorno per giorno. Dal v. 25 in poi ci sono una serie di esempi presi dalla vita quotidiana e l’orizzonte di tutte queste esortazioni è la comunità. La comunità cristiana è la prima palestra di relazioni rinnovate, la comunità collettivamente deve rivestirsi di Cristo e, come immagine di Dio, a Cristo rassomigliare.

Questa etica collettiva vuole preservare le relazioni fra fratelli e sorelle e poi coltivare relazioni rinnovate anche con il mondo circostante.

Primo fra tutto: bandire la menzogna, dirsi la verità. Una comunità dalla lingua bugiarda non è un luogo sano. Il pettegolezzo cristiano non esiste, il buon gossip è falsità, il gossip è solo cattivo e foriero di guasti in comunità.

Poi l’ira nel confronto comunitario. Attenzione, non dice che non possiamo arrabbiarci gli uni con gli altri, questo può succedere, dice che la rabbia non deve avere il sopravvento e non deve avere una lunga durata. Per non far posto al diavolo! Il cui lavoro è dividere.

La terza cosa è “Chi rubava non rubi più, ma si affatichi piuttosto a lavorare onestamente con le
proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a colui che è nel bisogno. Questo mi piace tanto: chi
rubava non rubi più in qualsiasi modo, anche evadendo le tasse, ma la ragione mi piace, lavori affinché possa beneficiare altri, donare a chi non ce la fa e vive nel bisogno.

Quarta cosa: attenzione al linguaggio violento e sprezzante. Le parole possono ferire nel profondo e se siamo rivestiti di Cristo il nostro intento dovrebbe essere quello di guarire e non ferire. Le parole vanno scelte per costruire le relazioni e non per distruggerle.

Quinta parola: Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno
della redenzione. Se lo Spirito di Cristo che ha creato in noi la fede è davvero in noi, non dobbiamo
creargli ostacoli, non dobbiamo rattristarlo quanto piuttosto essere aperti alla sua opera creatrice e
rinnovativa. Quanto le chiese – tutte chi più chi meno – abbiano rattristato lo Spirito e anche spento
lo Spirito (I Tess 5, 19) è evidente a tutti conoscendo un po’ la storia.

Un ultima cosa. Questo periodo del Covid ha portato nelle nostre case la Parola e di questo siamo contenti. Ognuno ha potuto ricevere a casa parole di edificazione e di incoraggiamento e ciò è stato molto bello e utile e ancora lo è. Ma attenzione, nessuno strumento elettronico, nessun social può alla lunga sostituire la comunità. E’ in comunità che siamo stati messi, comunità fatta di corpi che si parlano, si incontrano e crescono insieme. Lo Spirito crea il corpo di Cristo che è comunità, palestra di vita vissuta insieme nella diversità. Lo Spirito insomma, per dirla con un termine attuale non è come un personal trainer, ma come un allenatore di squadra. Non trascuriamo questo aspetto. Se e quando possiamo, siamo presenti insieme in comunità all’ascolto della Parola predicata, cantiamo e preghiamo insieme. Piangiamo e ridiamo insieme. E poi mangiamo e beviamo insieme appena si potrà. Questa è la nostra comune vocazione.

Bonhoeffer diceva e noi siamo molto d’accordo:

“Si diventa una persona nuova solo all’interno della comunità, attraverso il corpo di Cristo. Chi vuole diventare da solo un essere umano nuovo, rimane nel vecchio. Diventare una nuova persona significa entrare nella comunità”.
Amen