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Un fuoco ardente dietro la mascherina!

Testi:

Geremia 1, 1-10:
1 Parole di Geremia, figlio di Chilchia, uno dei sacerdoti che stavano ad Anatot, nel paese di Beniamino.
2 La parola del SIGNORE gli fu rivolta al tempo di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda, l'anno tredicesimo del suo regno, 3 e al tempo di Ieoiachim, figlio di Giosia, re di Giuda, sino alla fine dell'anno undicesimo di Sedechia, figlio di Giosia, re di Giuda, fino a quando Gerusalemme fu deportata, il che avvenne nel quinto mese.
4 La parola del SIGNORE mi fu rivolta in questi termini: 5 «Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito profeta delle nazioni». 6 Io risposi: «Ahimè, Signore, DIO, io non so parlare, perché non sono che un ragazzo». 7 Ma il SIGNORE mi disse: «Non dire: "Sono un ragazzo", perché tu andrai da tutti quelli ai quali ti manderò, e dirai tutto quello che io ti comanderò. 8 Non li temere, perché io sono con te per liberarti», dice il SIGNORE. 9 Poi il SIGNORE stese la mano e mi toccò la bocca; e il SIGNORE mi disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca. 10 Vedi, io ti stabilisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per sradicare, per demolire, per abbattere, per distruggere, per costruire e per piantare».

Geremia 20, 7-9
7 Tu mi hai persuaso, SIGNORE, e io mi sono lasciato persuadere,
tu mi hai fatto forza e mi hai vinto;
io sono diventato, ogni giorno, un oggetto di scherno,
ognuno si fa beffe di me.
8 Infatti ogni volta che io parlo, grido,
grido: Violenza e saccheggio!
Sì, la parola del SIGNORE è per me
un obbrobrio, uno scherno di ogni giorno.
9 Se dico: «Io non lo menzionerò più,
non parlerò più nel suo nome»,
c'è nel mio cuore come un fuoco ardente,
chiuso nelle mie ossa;
mi sforzo di contenerlo, ma non posso.

Vorrei riflettere stamattina con voi su questi testi, tratti dal libro del profeta Geremia, a partire da un’immagine che mi è stata inviata durante il periodo di lockdown, se non ricordo male il giorno di Pentecoste. Questa immagine, tra le tante ricevute in questi ultimi mesi, ha catturato la mia attenzione in modo particolare e personalmente l’ho trovata molto evocativa. Un’immagine semplice che presenta solamente due elementi: nella parte più avanzata, una mascherina e, sullo sfondo, un fuoco dirompente. Due elementi dal forte impatto visivo che esprimono diverse simbologie. La mascherina come simbolo della pandemia legata al Coronavirus. Quindi simbolo di una limitazione che stiamo vivendo, ma anche simbolo di una condizione anomala da affrontare e di una crisi che ci ha coinvolto su vari livelli (sanitario, sistemico e personale). Il fuoco, invece, come simbolo di vitalità, dello Spirito e della Parola di Dio, della presenza divina. Questa immagine mi ha ricordato un testo biblico, che già conoscevo, ma che non avevo ancora avuto modo di approfondire. Mi riferisco al testo di Geremia, in cui il profeta parla di “un fuoco ardente che sente nel cuore e chiuso nelle sue ossa”. Mi piacerebbe dunque provare a entrare insieme in questo testo, ma allo stesso tempo farlo interloquire con la nostra immagine. Quindi teniamola bene a mente perché ci torneremo a più riprese durante la riflessione.
Il profeta Geremia, quando pronunciava le parole che abbiamo letto, non si trovava nel bel mezzo di una pandemia, ma si trovava comunque in un momento altrettanto difficile e di limitazione personale. Infatti, si trovava per la prima volta della sua vita in carcere. E, nel suo caso, non aveva una mascherina a limitarlo, ma aveva trascorso un’intera notte con dei ceppi alle caviglie che non gli permettevano di muoversi. Ci troviamo a Gerusalemme, nel regno di Giuda, circa trent’anni prima che anche questo regno venisse distrutto dall’invasione dei Babilonesi e una parte del popolo d’Israele venisse esiliato dalla sua terra e deportato a Babilonia. In questo contesto, il giovane sacerdote Geremia viene chiamato da Dio per profetizzare le sciagure che stanno per incombere sul suo popolo e, per questo motivo, diviene un personaggio scomodo, soprattutto per i capi-sacerdoti e per i re (diciamo per l’establishment del popolo d’Israele). Per questa ragione, tutto il libro di Geremia narra di come il profeta venisse schernito, di come rimanesse inascoltato, di come venisse perseguitato fino ad essere più volte messo in prigione e infine esiliato.
Come accennavo in precedenza, quando Geremia pronunciava le parole del nostro testo si trovava per la prima volta in carcere per aver annunciato di fronte al capo-sacerdote che Gerusalemme e il popolo d’Israele stavano per essere distrutti. E per rendere visibile la profezia aveva preso una brocca di terracotta, simbolo d’Israele, e l’aveva rotta facendola cadere a terra come il Signore gli aveva suggerito di fare (Ger. 19). Insomma, con questo gesto Geremia era diventato a tutti gli effetti un nemico pubblico che stava denunciando la corruzione e l’idolatria di chi deteneva il potere all’epoca e che doveva essere eliminato.
Alla fin fine, la vocazione che aveva ricevuto da Dio gli aveva solamente provocato guai e sofferenze, delle quali potersi lamentare. Tanto che Geremia si distingue dagli altri profeti proprio per i suoi lamenti. Pensate che esiste un libro specifico della Bibbia, collocato subito dopo il libro di Geremia e che si chiama “Lamentazioni”, che raccoglie i lamenti del profeta.
Ma anche nel libro di Geremia ne troviamo diversi (Ger. 11-20), fino ad arrivare al nostro lamento, il più straziante, in cui egli si sente preso in giro da Dio, si sente schernito per la Parola che deve annunciare, non si sente all’altezza della vocazione ricevuta, si sente inadeguato, abbandonato, esaurito, disperato... talmente disperato da arrivare a odiare sé stesso e a maledire il giorno della sua nascita (Ger. 20,14). Da qui, gli attributi con i quali viene descritto: “profeta sofferente, “profeta della crisi”. Un profeta estremamente umano!
E penso sia normale, quando ci troviamo di colpo in una situazione critica, lamentarci. Ci lamentiamo perché la situazione non va come previsto. Ci sentiamo inadeguati, non preparati, impotenti, disillusi. E sono certo che, durante questa pandemia, almeno una volta ognuno/a di noi ha vissuto questa sensazione di spaesamento. Il problema sorge quando questa reazione naturale diviene l’atteggiamento con il quale affrontiamo la situazione. E se torniamo alla nostra immagine, rappresenterei questa condizione di lamentela con una mascherina su uno sfondo nero senza il fuoco dietro. Il fuoco si spegne e a rimanere sono solo io e la mascherina: isolato/a, in difficoltà, incapace di reagire, debilitato/a, impaurito/a, preoccupato/a, senza speranza. Ci ritroviamo talmente in difficoltà, da non riuscire a pensare a chi è ancora più esposto di noi. In un certo senso, non ci sentiamo veramente all’altezza della vocazione che il Signore ci ha rivolto. Come Geremia, rischiamo di cadere preda del nostro stesso lamento che ci rende incapaci di reagire in modo propositivo di fronte alla difficoltà.
Eppure, è proprio in questi momenti di crisi che il testo ci ricorda come il Signore non ci abbandoni a questa condizione, ma ci accenda una fiammella nel nostro cuore attraverso la sua Parola. E qui i testi ci illuminano sulle caratteristiche di questa Parola.
In primo luogo, è una Parola che incontra il profeta Geremia così come è. Non una Parola che deve conquistare, ma che riceve. Per usare il verbo biblico, una Parola che “accade” nella sua vita. Semplicemente egli si lascia toccare da questo annuncio che Dio gli consegna sulle sue labbra.
In secondo luogo, è una Parola di incoraggiamento e di accompagnamento. Anche quando sembrerà che tutto stia andando male, il Signore sarà con lui per liberarlo. Il Signore non lo lascerà solo nei momenti più difficili.
Allo stesso tempo, è una Parola dura e di giudizio. Una Parola per “sradicare, demolire, abbattere, distruggere”. Dove prevalgono l’idolatria, la corruzione, la legge del più forte, l’infedeltà, lì interverrà Dio per estirparle.
Infine, una Parola “per costruire e per piantare”. In sostanza, una Parola di promessa di un futuro salvifico. Il Signore restaurerà il suo popolo nella terra promessa e rimarrà fedele al suo patto.
Questa la Parola che Geremia riceve: una Parola di accompagnamento, di giudizio e di promessa. Una fiammella che il Signore mette nel suo cuore e nelle sue ossa affinché possa divampare per alimentare la sua vocazione quando la situazione si farà più difficile. Una fiammella che improvvisamente diventa un fuoco ardente incontenibile, sapendo che il Signore è presente, che non rimarrà impassibile di fronte alle ingiustizie e che interverrà per ristabilire la pace. Un fuoco ardente che gli permette di resistere e affrontare la situazione.

Ed è proprio questa la fortuna che abbiamo ricevuto anche noi in questo tempo difficile di pandemia. Un tempo in cui è facile cascare preda dei nostri stessi lamenti. La fortuna di una Parola che irrompe continuamente nella nostra vita, che ci viene consegnata, che ci viene messa sulle nostre labbra e che accende i nostri cuori. Una Parola che ci ricorda che non siamo soli/e ad affrontare le nostre mancanze, le nostre preoccupazioni, le nostre ansie, ma che il Signore è con noi per liberarci e sostenerci, proprio come ha fatto con Geremia e con il suo popolo nei momenti più difficili. Allo stesso tempo, una Parola che ci invita anche a denunciare l’ingiustizia. Lì dove la crisi sanitaria mette ancora più in evidenza la disparità tra le persone: tra ricchi e poveri, tra residenti e migranti, tra uomini e donne, tra bianchi e neri, tra sani e malati, tra giovani e anziani. Dunque, una Parola che ci invita a riconoscere che il problema non è solamente la pandemia, ma soprattutto un sistema spesso ingiusto che alimenta le disparità, la corruzione e le ingiustizie. Una Parola profetica che ci questiona su come noi alimentiamo inconsciamente le ingiustizie in questo tempo di pandemia e cosa possiamo fare per andare oltre noi stessi e i nostri egoismi in favore di chi è più vulnerabile e ha meno privilegi. Infine, una Parola di speranza per noi e per il nostro prossimo. Una Parola che ci spinge oltre l’isolamento per essere solidali e trasmettere fiducia a chi si trova più abbattuto. Il Signore è fedele e ristabilirà la situazione.
E allora possiamo tornare alla nostra immagine di partenza, la mascherina con dietro il fuoco ardente. Il fuoco della Parola di Dio che abita i nostri cuori e le nostre ossa; che proprio nei momenti più difficili, come questo tempo di pandemia, divampa! Possiamo sforzarci di contenerlo ma non possiamo! Un fuoco che è molto più grande della mascherina, che supera la barriera per andare incontro al nostro prossimo! Ed è proprio a partire da questa immagine così eloquente che vorrei concludere con un invito: lasciamo che la fiammella della Parola animi le nostre vocazioni come cristiani e cristiane! Lasciamo che il fuoco della Parola divampi e prenda il sopravvento! Lasciamo che la Parola fortifichi e illumini le nostre vite in questo tempo di pandemia per annunciare e realizzare l’Evangelo! Lasciamo che dietro le nostre mascherine possa sempre accendersi il fuoco ardente della Parola di Dio! Amen!