Questo sito web utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione.

ECCLESIASTE 7, 1 - APOCALISSE 2, 17 – UN BUON NOME

1 Una buona reputazione (un buon nome) vale più dell'olio profumato; e il giorno della morte, è meglio del giorno della nascita.
Apocalisse 2
17 Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.
A chi vince io darò della manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve".

"Una buona reputazione, letteralmente -un buon nome- vale più dell'olio profumato", probabilmente un proverbio largamente condiviso dalla saggezza popolare del tempo. Diventare una persona con un nome, un nome per le cose buone compiute, significa essere ricordato attraverso le generazioni.
A quei tempi questa era l'unica maniera in cui si riusciva a concepire un andare oltre la morte della singola persona.
Dio da' un nuovo nome ad Abramo, a Sara, a Giacobbe e con questo li destina ad una benedizione di una progenie numerosa.
Il nome resta e con esso la storia della persona che l'ha portato.
A cos'altro può aspirare il discepolo o la discepola, se non di lasciare ai posteri il suo buon nome per una testimonianza fedele delle promesse di Dio?
Nella Bibbia il nome è come il monumento.
Uno rilegge quel nome e a distanza di generazioni e di secoli, e ricorda la persona, le sue gesta, la sua vita.
Tuttavia la Bibbia è un testo molto realistico e non ipocrita.
Col nome dei grandi eroi della fede vengono ricordate oltre le opere magnifiche anche le debolezze, i peccati, talora gravi che essi hanno commesso. E' così proprio per il grande Abramo. Chiunque si trova davanti al monumento del suo nome, si ritroverà confrontato con la sua mascalzonata nei confronti di Sara. Per non parlare del grande Davide, re, poeta, abile stratega militare, ma anche adultero, vigliacco e assassino.
In nome della fama nessuno dei loro misfatti viene occultato, anzi il contrario. Perchè
quando uno diventa famoso, viene analizzato al microscopio e si sa che visti da molto vicino nessuno può davvero dirsi "normale". E il monumento del nome, porta con sè anche il ricordo imperituro delle sue miserie.
Forse è questa la ragione per cui viene il giorno in cui le statue cadono. Anzi sembra proprio che le statue, come gli idoli, siano fatte per essere abbattute, soprattutto quando raccontano menzogne.
Chissà se Abramo sarebbe stato davvero contento che la sua storia, anche nei risvolti miserevoli, fosse ricordata e chissà se Davide tornato re, per un giorno, non avrebbe scritto un editto per cancellare dalla sua storia quelle pagine vergognose.
Ogni ricordo del nome, porta con sé anche i "ma" e le obiezioni di chi ha conosciuto altri lati della persona, le sue ombre, e certe volte le sue tenebre.
"Una buona reputazione, comunque, è molto meglio di una cattiva, potremmo chiosare noi, e vale più dell'olio profumato.
L'olio profumato accompagnava i momenti salienti della vita di allora: la nascita, le feste, l'eros, e infine i riti funebri. E dunque il profumo ha il valore di qualcosa di estremamente prezioso.
Eppure la metafora esprime già l'aspetto effimero della cosa. Il profumo svapora. Il suo effetto, per quanto inebriante, poi finisce, così è anche del ricordo.
Non è forse così anche del buon nome? Prima o poi, l'oblìo avvolge ogni cosa.
L'ecclesiaste chiosa il proverbio perfino con una nota ironica:
Certo il buon nome vale più del più prezioso dei profumi, ma questo comporta dire che il giorno della morte è migliore di quello della nascita.
Infatti chi nasce non ha alcuna reputazione. Ci vuole tutta la vita per farsene una e
 quando te la sei fatta, ammesso che tu ci sia riuscito, interviene una macchia a rovinare tutto, o comunque arriva la morte a mettere fine ai tuoi giorni.
La buona reputazione, vista con lo sguardo disincantato del predicatore, è solamente una variazione ulteriore di quella vanità delle vanità, che segna fatalmente la vita.
Quanti di noi avranno una strada della città ad essi dedicata?
Quanti di noi, compiranno atti talmente significativi da ricevere un monumento e una memoria perdurante? Ma soprattutto quanti di noi saranno scevri dalla obiezione di qualcuno che potrà dire " si, è vero, ma..."
Nel nostro tempo diventare famosi, farsi un nome, essere visibili e riconoscibili, sono tutti aspetti di un unico grande dogma e di un unico grande culto che è quello
 dell'immagine. Molte persone sembrano disponibili a qualsiasi cosa pur di ottenere successo.
Qoelet, questo predicatore famoso, ma senza un nome, manifesta il suo scetticismo e la sua ironia verso il carattere effimero della notorietà.

Dunque il nome è importante ma il Qoelet non lasciò alcun nome perchè lo si ricordasse. Ma come si comportò Gesù rispetto al suo nome? Possiamo dire che Gesù non visse per farsi un nome ma per fare fino in fondo, cioè fino alla morte, la volontà di Dio.
Lo abbiamo letto poco fa: il suo fu un percorso di discesa. Aveva già un nome - ci ricorda Paolo - il nome di figlio di Dio, ma vi rinunciò insieme agli onori, umiliò se stesso prendendo forma di servo facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce. Il suo nome fu disprezzato, sbeffeggiato, infangato, diventò segno di maledizione.
 Era stato consegnato alla storia solo perché fosse immediatamente dimenticato. Ma poi sappiamo che con la risurrezione "Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il
 nome che è al di sopra di ogni nome affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre" (Fil 2, 9-10). Quello che comprendiamo bene da quanto dice l'apostolo è che farsi un nome, una buona reputazione non può essere l'obiettivo della nostra vita. La torre di Babele fu costruita per farsi un nome. Eppure avere un nome che possa essere ricordato e divenire strumento di benedizione è importante ma questo nome che dura per sempre lo può dare soltanto Dio.
E arriviamo al nostro ultimo testo che si trova nel libro dell'Apocalisse, che - ricordiamo - significa "rivelazione". Ora ci troviamo davanti al versetto che chiude la lettera di Giovanni il visionario alla chiesa di Pergamo, una delle sette chiese dell'Asia Minore a cui l'autore rivolge incoraggiamenti e rimbrotti.
Non fa eccezione questa chiesa. Essa ha mostrato fedeltà al nome del Signore Gesù, in una città piena di idolatria e con una forte presenza del culto dell'imperatore. Al punto che Antipa, un membro di questa chiesa, è morto martire.

Non sappiamo molto di più. Gli esegeti ci dicono che a Pergamo non risultano atti di una persecuzione sistematica della chiesa. E che quindi potrebbe essersi trattato del caso isolato di linciaggio verso una persona per la sua fede iconoclasta.
Ma, e veniamo al "ma", anche questa chiesa aveva le sue contraddizioni e accettava in mezzo a sé soggetti strani, probabilmente degli gnostici, che proponevano una via di acquiescenza al paganesimo imperante. Sicché la reputazione di questa chiesa è divisa tra il suo non piegarsi, fino ad atti di resistenza estrema, al potere di Satana che siede sul trono, e una evidente debolezza che la rende sottomessa e accomodante.
Ma "a chi vince" e con questa locuzione deve intendersi a chi sarà rimasto fedele fino alla fine, io darò, dice il Signore, che cosa?
"Un residuo della manna". Probabilmente si fa riferimento ad una antica leggenda secondo la quale, prima della caduta di Gerusalemme, il profeta Geremia aveva messo in salvo alcuni arredi sacri del tempio, tra cui il contenuto dell'arca del patto, in cui era conservata anche la manna, La leggenda voleva che poi, il Messia, avrebbe nuovamente nutrito, proprio a partire dal quella manna il suo popolo in cammino per un nuovo esodo.
E infine arriviamo alla pietruzza bianca. Una pietruzza su cui sarà scritto un nome che nessuno conosce.
Di quale nome si tratta? Del nome di Cristo, che nessuno più riconosce come il Signore della storia? O del nome della persona, della quale invece non è rimasto nessun monumento imperituro? O si tratta di un nuovo nome che il Signore stesso da' alla persona che adesso riceve, proprio come Abramo, Sara e Giacobbe , una nuova identità? Ciascuno e tutti questi significati sono possibili.
La pietruzza è bianca. Perché nel ricordo di Dio le nostre macchie sono tolte. Il male non lascia più tracce nelle pagine imbrattate della vita.
Quel che resta non sono le nostre gesta.
La memoria che dura in eterno non è quella che gli altri, i superstiti avranno di noi, per quanto questa possa essere inebriante come un dolce profumo orientale. Quel che resta è la memoria di Dio che purifica le nostre vite e ci conferisce una nuova identità. E il nome di persone sconosciute sarà ricordato per sempre, per i loro gesti segreti di fede e di abbandono nelle mani del Signore.
Voglio dirvi un segreto, cari fratelli e sorelle, Forse, anzi è molto probabile che nessuna via di Milano, in futuro sia mai intitolata a uno di voi o di noi. Che peccato! Sarebbe stato un bellissimo profumo per la città. Ma non importa nulla. La verità è che molti di noi, forse tutti, mi piace credere, avremo vinto e avremo un nome che non sarà cancellato e che sarà custodito nei cieli insieme al bel nome di Gesù Cristo, nostro Signore.
Forse anche nel regno dei cieli non ci sarà una via col nostro nome, ma ci sarà una via pavimentata da pietruzze bianche, in cui anche l'esistenza più umile del discepolo e della discepola di Cristo, parteciperà alla via larga e spaziosa che porta alla vita eterna