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La siccità

testo: Geremia 14, 1-9

Siamo davanti ad uno di quei testi che difficilmente sarebbero scelti da un predicatore, se non fossero assegnati dal lezionario.
La situazione richiama un episodio preciso, del quale però non è facile stabilire la data. In generale esso viene collocato prima della caduta di Gerusalemme con relativa distruzione del tempio, per mano dei Babilonesi. L'intero capitolo 14 e poi 15, richiamano una situazione memorabile di siccità, ma poi anche una guerra, e infine una carestia molto grave. Le prima e la seconda, siccità e guerra, sono legate alla terza che ne è la conseguenza, la carestia. Un periodo perdurante di miseria che costituisce la premessa di una tragedia ancora più grande che è la caduta del Regno di Giuda.
Il nostro testo si lascia dividere in tre parti. C'è la descrizione di uno scenario di languore, poi la constatazione di un nesso tra questo e la colpa del popolo, e infine, c'è la pressante richiesta di un intervento di Dio.
Con la predicazione di oggi provo ad accostare questi tre passaggi alla nostra contemporaneità, per trovare motivi di riflessione anche per noi oggi.
 
Il primo punto è la situazione di languore.
Il testo ci comunica con plastico linguaggio, una penosa situazione di vuoto che investe il Regno di Giuda. A causa di una grave siccità, che coinvolge anche Gerusalemme, il paese cade in disgrazia.
I nobili mandano i loro servitori a raccogliere acqua dalle cisterne, ma questi tornano a mani vuote e si coprono il capo (dobbiamo intendere che si coprono il volto per lo sgomento, come traduce la TILC).
Geremia aveva già affermato in precedenza che il popolo si era costruito delle cisterne screpolate che non trattengono acqua. Una metafora per parlare della loro infedeltà verso Dio.
Ecco come si esprime Geremia: "Il mio popolo ha commesso due mali: ha abbandonato me, la sorgente di acqua viva, e si è scavato delle cisterne, delle cisterne screpolate, che non tengono l'acqua". (2,...)
Le mani vuote dei servitori, sono l'annuncio del superamento del limite di allarme. Le riserve idriche sono finite e come si farà per bere e per il bestiame?
A questa immagine di costernazione se ne aggiunge un'altra che riguarda gli agricoltori. Il terreno è ormai secco, screpolato. Vangarlo è una fatica immane, ma anche inutile. Nulla potrà crescervi. La disperazione dei contadini manifesta una desolazione che è anche del suolo, della terra.
La terza immagine viene dal mondo animale: La cerva abbandona la prole, perché non ha nulla da darle da mangiare. L'istinto primordiale della protezione materna della giovane vita, viene sospeso a causa della situazione di grave crisi. E gli onagri, asini selvatici da lavoro, hanno gli occhi spenti, senza più vigore (crisi dei mezzi di produzione).
 Una serie incalzante di immagini che vogliono indicare una crisi che ferma tutta l'economia agricola del paese e che annuncia un tempo lungo di sofferenza.
Il paese è caduto in miseria e questo riguarda gli esseri umani, il suolo, il mondo animale.
 
Il secondo punto riguarda ciò che per il profeta è un nesso indubbio, tra questa condizione e la colpa del popolo.
 
"Le nostre iniquità testimoniano contro di noi" "Le nostre iniquità sono molte. Noi abbiamo peccato contro di te"(v.7)
Si può essere così certi sul nesso che c'è tra questa siccità e la ingiustizia del popolo?
Non c'è forse il rischio che al danno di una situazione ambientale così sfavorevole si aggiunga la beffa di una colpa morale?
Nell'oracolo dei profeti, si evidenzia quasi sempre una corrispondenza tra il paesaggio interiore e quello esteriore.
E la crisi della siccità rivelerebbe qualcosa di arido nascosto nel cuore: la cattiva coscienza del popolo di Dio. La siccità è conseguenza di questa condizione, ma anche restituisce impietosamente l'immagine di una miseria spirituale collettiva.
 
Il terzo punto riguarda la richiesta urgente dell'intervento di Dio.
La constatazione del dramma orienta il popolo ad un lamento e alla richiesta urgente perché Dio intervenga.
"Tu, Signore che sei la Speranza di Israele, non vorrai essere come il viandante che si ferma nel paese solo per una notte?" L'allusione è a qualcuno che non si ferma dinanzi al bisogno. Ascolta il grido, ma poi passa oltre. Il viandante come colui che non si identifica davvero col bisogno degli stanziali.
L'immagine tradisce il fatto che Dio, effettivamente, in altri testi viene presentato come un viandante. Anche se questo pone una domanda sulla accoglienza da parte del popolo. Se Dio è un viandante, noi siamo capaci di prolungare il suo soggiorno, offrendogli il meglio di quel che abbiamo? (Vedi la visita dei viandanti ad Abramo e Sara, presso le querce di Mamre).
A questa immagine se ne aggiunge un'altra, ancora più audace: "Se tu non intervenissi, saresti come un uomo forte che però non può salvare, cioè che non è forte abbastanza..."
Il popolo sceglie con cura le parole quasi per costringere il Signore ad un intervento senza ulteriori indugi.
L'argomento finale è il più "aggressivo": "Eppure  tu sei in mezzo a noi", il riferimento è evidentemente alla presenza del tempio, dove si svolge la vita religiosa della comunità.
Ma questo svela un modo di pensare fallace che Geremia aveva già smascherato. Nel capitolo 7, il profeta aveva già denunciato la falsa fiducia di chi diceva: "Questo è il tempio del Signore, il tempio del Signore, il tempio del Signore!". Non si può pensare di costringere Dio confidando nella sua presenza "sacramentale" nel tempio, soprattutto se questo non si accompagna ad un serio cambiamento delle proprie vie e delle proprie opere, (7,4-6) e se questo non si traduce in un modo diverso di trattare vedove, orfani e stranieri.
Insomma il popolo prega e chiede a Dio di intervenire, ma non sembra intenzionato a cambiare.
Ciò che manca in questo testo e nella vita degli abitanti di Giuda è un segno di reale conversione. Essi pensano di poter legare Dio, attraverso l'attività cultuale dei sacrifici. Ma Dio si sottrae a questa strumentalizzazione.  Egli risponde duramente a questo tentativo: "Se digiunano, non ascolterò il loro grido, se offrono olocausti e offerte, non li gradirò; anzi io sto per consumarli con la spada, la fame e con la peste" (14,12).
A questo punto assumiamoci il rischio di leggere questa parola nella nostra mutata situazione di oggi, cercando di cogliere quel che il Signoe voglia dirci oggi.
 
1. Lo scenario
Le immagini satellitari dell'Australia di questi giorni sono impressionanti. Qualcosa che non si era mai visto prima. A fronte di danni umani immediati limitati, ci sono oltre un miliardo di animali selvatici uccisi. Incendi indomabili.
Incendi in tutto il paese, il cui governo continua a negare la realtà dei cambiamenti climatici, per paura che tale ammissione comporti anche la necessità di cambiamenti sulla propria agenda politica.
Ma l'Australia è solo l'ultimo episodio di eventi climatici catastrofici degli ultimi anni. In Zimbabwe proprio in queste ore sta riprendendo a piovere. Ma vedere le cascate Vittoria completamente prosciugate, ha generato costernazione dappertutto.
Ma potremmo parlare degli incendi in Alaska, in Siberia, in Amazzonia e di grave siccità in vaste aeree dell'India.
Eventi che coinvolgono tutti: uomini, suolo, animali.
Tutto ciò indica che non siamo semplicemente in una situazione contingente, ma in rivolgimenti epocali. "Il futuro si presenta come una valanga apparecchiata su un pendio" (Erri De Luca).
La differenza col nostro testo, è che le conseguenze di tutto ciò è pagato soprattutto dai più poveri. I ricchi emigrano, si spostano e risolvono almeno per il tempo della loro vita, con le loro ricchezze le conseguenze di queste trasformazioni. Ma i poveri sono condannati a languire come i contadini di Giuda.
 
2. La colpa
Ma esistono responsabilità per tutto questo?
Possiamo essere così certi, come il profeta, che sì, tutto questo corrisponde all'aridità interiore degli esseri umani del nostro tempo?
Possiamo rispondere sostanzialmente in maniera affermativa, anche se però è necessario articolare di più la risposta.
Sicuramente un certo modello di sviluppo fondato sui combustibili fossili e su uno spreco dissennato delle risorse, è, quanto meno, concausa di tutto ciò.
Le responsabilità sono distribuite a livelli diversi. Le grandi corporation che adorano il solo idolo del profitto contrastano ogni legge di tutela dell'ambiente che ponga dei limiti ai loro interessi. Basta vedere quel che è successo in questi giorni, in cui si è parlato di una possibile tassa sulla plastica.
Certo contano molto anche i comportamenti dei singoli. Tutti dobbiamo imparare a fare un uso più sobrio delle risorse e ad assumere uno stile di vita più sostenibile per l'ambiente.
La questione delle responsabilità, rispetto alla crisi ambientale, richiede un serio impegno anche spirituale da parte nostra, abbandonando un'idea di Dio troppo individualistica. Come individui siamo parte di sistemi economici, di produzione e di consumo complessi. Ed è necessario incidere su questi, se vogliamo evitare che le crisi di oggi siano annuncio di situazioni ben più gravi del domani.
 
3.  La richiesta di intervento a Dio.
E' necessario che ogni ridicolo tentativo di portare Dio dalla nostra parte, pensando di costringerlo a fare la nostra volontà sia abbandonato.
Non si può pregare perché piova in Zimbabwe, o in Australia senza che si diano chiari segni di cambiamento di mentalità. 
Come cristiani non dobbiamo confondere il discorso biblico sulla grazia di Dio in Cristo, con una grazia a buon mercato mediante la quale chiediamo a Dio di fare quel che dovremmo fare noi stessi. Né possiamo, con una strisciante forma di idolatria, pensare di costringere Dio a fare la nostra volontà.
La vocazione che il Signore ci rivolge è quella di aprire due cantieri:
uno dentro di noi, per cambiare la nostra cultura, per assumere un nuovo stile di vita, un modo nuovo di stare al mondo.
L'altro è fuori di noi, per usare le risorse della terra per proteggere la terra e non per aggredirla.
Non abbiamo bisogno di costosissimi bombardieri per difenderci da nemici immaginari, ma di mettere in campo una grande forza lavoro per mettere in sicurezza il suolo, l'aria, l'acqua del pianeta.  In questo cantiere non si tratta di dare una piccola ristrutturata all'intonaco di un edificio che è pericolante nelle sue fondamenta, ma abbiamo bisogno di ricalcolare la stabilità del pianeta.
La conversione a Cristo, cari fratelli e sorelle, è urgente e richiede nuove decisioni. Ma non si tratta più di una questione semplicemente personale.
 
"Nell'ultimo giorno della festa delle Capanne, a Gerusalemme, Gesù disse: Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno" (Giovanni 7,38). "
 
Cristo è la fonte di acqua viva a cui attingiamo per le nostre vite. Ma poi è necessario che come comunità diventiamo acqua per il suolo, sostentamento per tutte le creature viventi