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Prenditi cura dei miei agnelli!

Giovanni 10, 1-5, 10-18
1 «In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. 3 A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. 4 Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5 Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei».(…) 10 Il ladro non viene se non per rubare, ammazzare e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
11 Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. 12 Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), 13 perché è mercenario e non si cura delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, 15 come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. 18 Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio».

Giovanni 21, 15-19
15 Quand'ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami più di questi?» Egli rispose: «Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16 Gli disse di nuovo, una seconda volta: «Simone di Giovanni, mi ami?» Egli rispose: «Sì, Signore; tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pastura le mie pecore». 17 Gli disse la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?» Pietro fu rattristato che egli avesse detto la terza volta: «Mi vuoi bene?» E gli rispose: «Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci le mie pecore. 18 In verità, in verità ti dico che quand'eri più giovane, ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti». 19 Disse questo per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio. E, dopo aver parlato così, gli disse: «Seguimi».

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Cominciamo da questo secondo testo che segue quello commentato domenica scorsa. E’ un testo che riporta un incontro ravvicinato fra il Signore Gesù risorto e Simone, detto Pietro. E’ un incontro commovente fra  Gesù che legge nei cuori e il suo discepolo infedele. Pietro l’aveva riconosciuto sulle rive del lago e gli era corso incontro, aveva fatto fatica forse a credere ai suoi occhi che il suo Signore che era morto sulla croce era ora lì accanto a loro e offriva loro da mangiare in quella fresca mattina di primavera. Lo aveva riconosciuto, non c’erano dubbi. Dopo colazione Gesù si accosta a lui e gli chiede: Mi ami tu? A Simon Pietro brucia dentro il rimorso delle sue stesse parole dure, gridate: “Non conosco quell’uomo che voi dite!”. Le aveva ripetute tre volte accompagnate da spergiuri… Aveva pianto quando il gallo aveva cantato la seconda volta ricordandogli la previsione di Gesù. E ora Gesù incredibilmente vivo gli stava accanto e gli dava una seconda opportunità: “ Mi ami tu?”. “Signore, tu sai che ti voglio   bene” - aveva risposto e forse non aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi. “Pasci i miei agnelli” gli aveva detto Gesù. E questo era avvenuto tre volte. Per tre volte Pietro aveva risposto: Sì, tu lo sai che ti voglio bene!”. E sì… così è il nostro amore per Cristo… simile a quello di Simon Pietro. C’è amore e c’è vergogna, occhi bassi, imbarazzo!
Pietro, Anna, Maria, Giovanni, Elia… ma tu mi vuoi bene veramente? Sì, ti voglio bene, ma non alzo lo sguardo, Signore. Ti voglio bene davvero ma questo non mi ha impedito di dire davanti agli altri che non ti conoscevo, o di stare zitta quando dovevo dire una parola per difendere qualcuno offeso e in pericolo… E risuona la parola severa del divino giudice: “Quando non l’avete fatto per uno di questi piccoli non lo avete fatto a me”.(Matteo 25, 31ss)
Simone di Giovanni mi ami tu? Sì tu sai tutto, lo sai che ti amo! Prenditi cura del mio gregge!

Pietro a quelle parole  “pasci i miei agnelli”  non poteva non pensare a quello che Gesù aveva detto di greggi e pastori qualche mese prima. Era la festa delle Capanne e Gesù era con i suoi a Gerusalemme e aveva guarito un uomo nato cieco in giorno di sabato e per questo i capi religiosi lo avevano attaccato e accusato violentemente. Fu in seguito a quell’episodio che Gesù aveva raccontato una parabola che parlava di gregge e di pastori.
Noi persone abituate a vivere in città abbiamo poca o nulla dimestichezza con l’attività pastorale. Poche volte abbiamo visto una pecora in vita nostra forse, eppure siamo molto legati a questa immagine biblica. E’ un atteggiamento un po’ romantico a dire il vero perché questo mestiere di pastore è in quasi tutte le culture un mestiere disprezzato. Lo era anche nella società dei tempi di Gesù e questo in contrasto con il fatto che le figure chiave della storia del popolo eletto erano state pastori da Abele in poi: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Davide erano stati tutti pastori di pecore, prima che pastori di persone. Pastore  era anche uno degli appellativi di Dio stesso. Ancora oggi se chiedete in giro qual è il salmo più amato nella maggior parte dei casi vi risponderanno il salmo 23. “Il Signore è il mio pastore…”, mi guida verso pascoli verdi e abbondanti, usa il suo bastone per non farmi perdere la via buona, e per tirarmi fuori da situazioni pericolose. In questo salmo si sente la fiducia profonda che lega il salmista a Dio: Mi guida, mi rinfranca, mi dà sicurezza.  Nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni che abbiamo letto Gesù parla di sé come di un pastore che si prende cura del gregge e questo in contrasto con ladri e briganti che invece depredano e uccidono. Anche i profeti di Israele avevano parlato dei cosiddetti pastori che pascono soltanto se stessi. Ascoltiamo questa fortissima critica dal profeta Ezechiele (cap. 34): “Guai ai pastori d'Israele che non hanno fatto altro che pascere se stessi! Non è forse il gregge quello che i pastori debbono pascere? 3 Voi mangiate il latte, vi vestite della lana, ammazzate ciò che è ingrassato, ma non pascete il gregge. 4 Voi non avete rafforzato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella che era ferita, non avete ricondotto la smarrita, non avete cercato la perduta, ma avete dominato su di loro con violenza e con asprezza”.
Gesù si inserisce in questa linea di critica profetica verso i capi del popolo suoi contemporanei.
Guardando al desolante panorama dei leader politici di gran parte dei popoli del mondo, la situazione non è molto diversa. I pastori continuano a pascere se stessi e sono particolarmente cinici verso i più deboli e le più indifese. Qui in Italia verso immigrati, rom e richiedenti asilo, ma un po’ dappertutto verso le donne e i bambini, i poveri, i malati di mente, gli omosessuali, i detenuti. Ho letto l’altro ieri uno dei tanti rapporti quotidiani di Amnesty International che denuncia stupri in carcere su donne detenute da parte di agenti di custodia in Nigeria. Ecco uomini che dovrebbero “custodire” invece depredano, violentano e umiliano. Ed è solo uno fra miriadi di esempi possibili.

Giovanni ci parla invece di Gesù come di un pastore buono, anzi kalos, bello. Che rapporto c’è fra il pastore buono che fa cose belle e le pecore di cui si prende cura?
Possiamo riassumere questo rapporto attraverso tre verbi: conoscere, raccogliere, difendere.
1.    Il rapporto fra il buon pastore e le pecore è un rapporto di conoscenza. “Egli chiama le proprie pecore per nome”,  “Io conosco le mie e le mie mi conoscono”.
Ero molto giovane e avevo avuto da poco un’esperienza di fede quando lessi e meditai questo testo. Ero appena uscita da un tempo in cui ero stata lontana di Dio, avevo perso la mia fede da bambina e non credevo più. Eppure attraverso la semplice e assidua testimonianza cristiana di una mia compagna di università il rapporto con Dio che pensavo perso per sempre si è miracolosamente ricucito e ho pian piano sentito che qualcosa, o meglio, Qualcuno in realtà non mi aveva mai persa di vista, mi aveva incessantemente cercato. Questa esperienza mi ha fatto capire che Dio mi conosceva meglio di quanto io conoscevo me stessa. E mi stava chiamando per nome. Mi sentivo insignificante ma per Lui ero unica e preziosa.
Se sei qui e non sai bene neppure perché, o pensi che stai cercando Dio sappi che è Lui che ti cerca da tempo e ti conosce profondamente e ti chiama per nome. Non ti ha mai perso di vista quando hai preso altre strade e ti ha condotto fin qui. Lasciati amare, allarga il tuo cuore  e ascolta quella voce. Gesù dice: “Io conosco le mie e le mie mi conoscono”. Vuol dire che tu, che noi la sua voce la riconosciamo quando ci chiama. Ed è così! Lasciamoci amare!

2.    Il secondo verbo è “raccogliere”. Potremmo dire “cercare e raccogliere”. Il rapporto con Dio non è esclusivo ma comunitario.
Dio non ha mai cessato di cercarci e raccoglierci dalla nostra dispersione, dal nostro individualismo solitario, dalla deriva che le nostre vite avevano preso. L’altro ieri ho sentito una giovanissima ragazza che a poco più di 16 anni ha già provato quasi tutto, è già discesa nell’inferno della violenza, della dipendenza e del disfacimento psicologico. Mi ha detto: “Ero lì e ho visto cose che non avrei mai voluto vedere”. Non so quanto queste visioni la accompagneranno e fino a quando, ma il male ha grandissime capacità di distruggere e in poco tempo. C’è sempre chi è pronto a sbranare le sue prede. Ma non ci sono soltanto giovani dispersi da raccogliere ma anche tanti adulti e anziani se è vero che siamo il tipo di società che produce sempre di più  quella che viene chiamata la “solitudine globale”. Il buon pastore ci chiama, ci cerca, si prende cura di noi, ci restituisce interezza e poi ci mette insieme perché insieme siamo più forti. Egli dice il suo scopo: “Io sono venuto perché abbiano la vita e vita in abbondanza”. A volte la fede cristiana è descritta e da qualcuno anche vissuta come una stanca e triste ripetizione di vuoti riti in luoghi freddi e poco accoglienti  ma la fede cristiana è altro! E’ vita e vita abbondante, è gioia vera, è anche gioco, è danza, è festa, è amore, è amicizia, è sostegno reciproco, è abbracci, è piangere e ridere e farlo insieme.
La fede cristiana è serena fiducia in Dio che ci ama non religione della contrizione, del pettegolezzo e del giudizio morale magari spifferato alle nostre spalle!
3.    Il terzo verbo è “difendere”. Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore.
Questo è il cuore della pastorale di Gesù ed è anche la svolta: quando il pastore mette la vita per le sue pecore, si fa egli stesso pecora esposta alle fauci del lupo perché va incontro ai lupi a mani nude. L’evangelista Giovanni è consapevole di questa trasformazione, del pastore che diventa agnello, perché dalle prime battute del suo scritto presenta Gesù come “l’agnello” che toglie il peccato del mondo. Gesù è il pastore che diventa agnello quando si espone alla violenza dei predatori per difendere gli ultimi, per guarire i malati, per annunciare il perdono a prostitute e pubblicani, per prendersi cura dei perduti, per difendere e servire il popolo dei reietti che avevano creduto in lui. E’ il pastore che non scappa quando vede avvicinarsi gente armata di spade e bastoni che lo arresta, è il pastore che diventa agnello per amore del gregge.

E’ a questo punto che possiamo tornare brevemente al testo iniziale. Gesù, il pastore diventato agnello immolato per amore del gregge, è risorto e in questo tempo nuovo parla con Pietro, il discepolo mortificato e gli dice: “Pasci i miei agnelli”. Ed è la seconda trasformazione. Se Gesù il buon pastore si fa agnello per amore del gregge, ora Gesù chiede a Pietro di farsi da pecora perduta e dispersa a pastore egli stesso. Come è possibile questa trasformazione? E’ possibile perché dopo la morte del pastore divenuto agnello abbiamo capito cos’è l’amore, l’amore del quale Cristo amò i suoi fino alla fine (13, 1), l’amore che non scappa, l’amore che cerca, l’amore che chiama, l’amore che conosce profondamente l’altro/a, l’amore che si prende cura, l’amore che rischia e dona.
“Simone di Giovanni, mi ami tu?” Ecco la domanda che ci ritrova: Anna, mi ami tu? Tu sai che ti amo ma il mio amore è fragile, imperfetto, e tu lo sai. E lui ci risponde: “Abbi cura del mio gregge!”. Possiamo avere cura delle altre persone soltanto se amiamo il Signore. Se ci nutriamo dell’amore di Cristo e corrispondiamo al suo amore, questo legame nutrirà anche l’amore e la cura che avremo per gli altri.
No, questa chiamata non è soltanto la vocazione specifica per noi pastori, Gesù non lo dice soltanto ai pastori di aver cura degli altri, di conoscere, cercare, raccogliere e difendere i più deboli. Il Signore questa chiamata la rivolge a tutti e tutte noi, suoi discepoli e discepole. Da pecore che eravamo perdute e siamo state ritrovate possiamo anche noi tutti essere pastori e pastore gli uni delle altre. Adulti di ragazzi, giovani di altri giovani, anziani di bambini e giovani di anziani, amici di amici, figli dei genitori e genitori delle figlie, attraversando ogni barriera, ogni pregiudizio, ogni distanza, ognuno di noi è chiamato a diventare pastore/a di qualcun altro per un’alchimia che solo Dio può creare. Ed è l’amore di Cristo a fondamento della nostra pastorale. L’amore di Cristo e l’amore per Cristo. Senza amore per Cristo non c’è amore per il gregge che Cristo ha amato fino alla fine. Il nostro amore è mediato, è reso possibile, è nutrito ed è ogni giorno rigenerato dal nostro rapporto con Cristo. Egli è fonte inesauribile di amore e di perdono. Questo è il circolo d’amore in cui Cristo ci coinvolge: “Che siano tutti uno, e come tu o Padre sei in me e io in Te, anche essi siano in noi affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giov 17, 21).