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Il popolo pellegrino di Dio

Un tema fondamentale dell’Epistola agli  Ebrei è la condizione pellegrina del popolo di Dio, definito in questi termini: siamo un popolo di pellegrini (come quando Israele vagava nel deserto alla ricerca di un riposo che fu negato alla generazione che uscì dall’Egitto); noi che siamo la comunità portatrice della Rivelazione e della promessa di Dio nel Figlio, i portatori della Parola ultima di Dio, l’ultima rivelazione e definitiva del Padre (la parola che è una spada che è penetrata in noi); la comunità della fede (fede è il suo sinonimo di speranza in Ebrei); la comunità liberata dal peccato è una comunità pellegrina alla ricerca del riposo divino, della promessa di entrare nel riposo divino.
 1. Il Tema del popolo di pellegrini alla ricerca del Riposo è costante in Ebrei in 4:9 11 il riposo al quale tendiamo è lo stesso in cui Dio è penetrato il settimo giorno della creazione. Dunque nella teologia di quest’Epistola esiste il settimo giorno celeste, questa è una metafora bellissima della salvezza, oggetto della fede del credente e delle attese del popolo pellegrino. Il parallelo che si stabilisce costantemente è la ricerca del riposo da parte di Israele nel deserto, ricordate che erano stati schiavi in Egitto, sottoposti a dura servitù, senza possibilità di riposo, costruivano le città e le fortezze, le tombe e gli arsenali, senza sosta, giorno dopo giorno, la stessa loro anima era stanca e aggravata di un lavoro senza fine e senza finalità. Morivano come schiavi schiacciati da un lavoro inumano senza senso e senza speranza. Il destino però di quella generazione fu terribile, perché non entrarono nel riposo di Dio quelli che uscirono dall'Egitto? La risposta si trova in 3:7 4:3: "Indurirono i loro cuori, furono disubbidienti e non assimilarono per fede la parola della promessa" (4:2), si costruirono il vitello di oro e adorarono l’idolo come se fosse il loro salvatore, colui che li aveva tratti dalla dura servitù. Il popolo di Dio nel deserto era guidato da Mosè che aveva ricevuto una parola scritta sulla pietra; la guida del nuovo popolo è superiore a Mosè (3:1 6), egli stesso è Parola (hréma Lógos), hypóstasis del Padre, splendore della sua gloria (è il Figlio), perciò se crediamo nel Figlio noi entreremo nel riposo di Dio 4:11.
 2. Il popolo pellegrino è portatore della Parola del Figlio: siamo portatori dell'OGGI (4:7) che si adempie come annunciato da Davide, portiamo la fede nel nuovo giorno stabilito da Dio per entrare nel Riposo, per accompagnarlo in questo settimo giorno ininterrotto del riposo eterno di Dio; il nostro presente e il futuro di Dio si incontrano nel nuovo deserto che è la nostra vita terrena nel mondo creato dalla parola divina; se la parola creò il mondo fisico, la parola di Cristo ha portato il futuro (il Riposo) in mezzo a noi, perciò noi OGGI se accogliamo questa parola possiamo penetrare nel Riposo, nel futuro simboleggiato dal perenne settimo giorno divino, nella città celeste, se portiamo a termine il nostro pellegrinaggio rimanendo fedeli e costanti alla parola che abbiamo ricevuto, allontanandoci dal peccato. Lo "scandalo" della fede è il fatto della sofferenza nel presente, riassunto della condizione di pellegrinaggio della chiesa. Non dimentichiamo che in quel tempo la chiesa era perseguitata. La sofferenza è rappresentata attraverso la metafora della parola che ci salva ma penetrando in noi come una spada a doppio taglio che penetra in profondità fino a separare, dice il testo, l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla, e del giudizio dei sentimenti e dei pensieri del cuore. Le due immagini la spada e il giudizio mostrano la realtà della nostra condizione di pellegrini, ma allo stesso tempo sono la conferma che non saremo riprovati, come la generazione degli israeliti usciti dall’Egitto, e che dunque a noi non sarà precluso l’entrare nel riposo divino.
 3. Il popolo pellegrino è il popolo della fede. La definizione della fede è centrale. In primo luogo è la "certezza di cose che si sperano" 11,1, fede e speranza sono sinonimi; certezza significa afferrare o aggrappare la promessa divina, l’oggi stabilito da Dio perché si possa penetrare nel suo riposo, abbando¬narsi fiduciosamente nella parola di Dio. In secondo luogo è "dimostrazione di realtà che non si vedono", questa è la condizione del pellegrino, non può vedere la sua mèta, ricordate il deserto che impedisce di vedere quello che si trova alla fine del percorso, ma cammina fiducioso, non abbandona il cammino, persevera nella fede e nella speranza, conserva l'emozione dell'attesa perché sa che alla fine del suo pellegrinaggio entrerà nel riposo di Dio. Quale sarebbe il fondamento di questa fede incrollabile che si trasforma in speranza? Il popolo pellegrino sa che è stato liberato dal peccato 12:1 3  per la croce di Cristo, dobbiamo dunque deporre "ogni peso e il peccato", resistere "fino al sangue nella lotta contro il peccato" 12:4. Peccato qui si identifica con l'opposto della fede, di credere (pistéuo), che è l'incredulità, non credere (apistéuo), o credere soltanto in ciò che vediamo, nel mondo attuale con le sue gioie limitate. L'esempio costante che ci propone l'autore di Ebrei è il contrasto con Israele pellegrino nel deserto. Il nuovo popolo di Dio pellegrino nell'eone attuale, nel mondo presente non ha soltanto una parola scritta sulla pietra, ma una parola divina, il Cristo che è penetrata in noi come una spada per suscitare la fede nel profondo del nostro essere, aprendo una ferita che rimarrà sempre aperta finché non rientreremo nel riposo di Dio. Attraverso la fede penetriamo un altro tempo (l'oggi divino, il perenne settimo giorno del riposo), un altro spazio (il riposo   la città celeste), siamo portatori di questa promessa, cominciamo a viverla per fede e non per vista (anzi quello che vediamo è la prova, la sofferenza, la tribolazione). Il peccato è proprio perdere la fede (che crede senza vedere, che spera senza poter vedere l'oggetto dell'attesa), indurire il cuore e rivolgersi al passato (a Egitto, al peccato, alla soddisfazione dei desideri della carne), essere disubbidienti alla parola. Lo spettro di signifi¬cato del peccato ci induce dunque a definirlo come l'opposto della fede. La fede è credere malgrado lo "scandalo", vale a dire il fatto della sofferenza, del dolore, delle prove. L'oggi del riposo divino contemplato con "gli occhi" non ci consente di vederlo per cui dobbiamo semplicemente credere e vivere come se già fosse nostro, contemplato con gli occhi della fede ci consente di coglierlo, d'afferrarlo in speranza come un "già ma non ancora" realizzato nella sua pienezza.