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Una scelta radicale

Testo: Matteo 6:25-34

È possibile, di punto in bianco, cambiare radicalmente il nostro ordine di priorità?  Che capacità reale abbiamo di stravolgere radicalmente la nostra vita fino al punto che non dobbiamo preoccuparci di ciò che mangiamo o di ciò che vestiamo, ma dobbiamo solo preoccuparci del regno di Dio e della sua giustizia?  Certo, non è ancora chiaro cosa tutto questo significhi, soprattutto cosa vuol dire preoccuparsi del regno di Dio.  Resta tuttavia la domanda:  c’è un margine per il quale la nostra vita possa essere completamente capovolta, messa sottosopra?  Non è questa la quintessenza del messaggio cristiano?  Non sono forse le parole di Gesù indiscutibilmente radicali, senza margini di compromesso o di negoziazione? 

La risposta è sì!  Le parole di Gesù sono profondamente radicali e chiamano quindi ad un radicale cambiamento della nostra vita.  E se trovate un esegeta o un pastore che vi dirà che non è così, è un bugiardo.  Il messaggio di Gesù è, senza compromessi, un progetto di vita cristiana radicale. 
Gli anabattisti e le anabattiste hanno il merito di aver fatta una corretta esegesi e una corretta applicazione di quanto il maestro Gesù insegnò con le parole e fece con le sue azioni e con la sua stessa vita: una scelta radicale.  Se dobbiamo quindi dire qual è il merito da attribuire a queste sorelle e fratelli ecumenicamente perseguitati, è senz’altro la loro fede radicale, che si espresse in un’etica radicale, in una teologia radicale, in un vivere comunitario radicale.  Thomas von Imbroich dice al giudice del tribunale di Colonia, prima di essere spezzato dalle torture e dalla condanna a morte: Le Scritture non possono essere spezzate.  Thomas fa una scelta radicale.  Così come fa una scelta radicale Weynken Claes, la prima donna ad essere bruciata al rogo.  Alla domanda se è pronta a ritrattare dice: Io resto fedele a cosa ho già detto. 

Tuttavia abbiamo fatto un lungo giro ma siamo tornati al punto di partenza: è possibile, di punto in bianco, cambiare radicalmente il nostro ordine di priorità?  Che le parole chiare di Gesù e l’esempio delle chiese primitive ci siano d’aiuto, su questo non c’è dubbio!  Che le nostre sorelle e i nostri fratelli anabattisti, fedeli ad una verità immortale, ci siano d’aiuto, anche su questo non c’è dubbio!  Tuttavia alla fine siamo soli con questo interrogativo: è la nostra fede capace di stravolgere la nostra vita?  O è la nostra vita a stravolgere la nostra fede?  Le nostre personali agende sono rivedibili?  E i nostri progetti?  Le nostre aspettative?  I nostri desideri?  Gira e rigira, questa domanda si frappone lungo il tragitto della nostra vita come il malcapitato nella parabola del buon samaritano e ci pone soltanto di fronte a due possibili alternative: proseguire il nostro cammino oppure fermarci e rivedere i nostri programmi.  Andare avanti ingoiando qualche rospo, accettando qualche mal di stomaco, sostenendo qualche senso di colpa; oppure fermarsi e cancellare i nostri appuntamenti e riscrivere la nostra agenda.  Aut/Aut.  O/o. 

Messa così la questione fa un po’ tremare le gambe a tutti.  Ci tocca annuire con la testa, ma poi cercare in fretta un’uscita di sicurezza e tornare a fare quello che facevamo prima, sperando che domenica prossima si predichi sulla giustificazione per fede.  Tutti giustificati e tutti salvati: evviva!  Ma il mio compito stamattina è di non lasciare la presa, anche a costo di strangolare, ancor prima che voi, me stesso, visto che la parola predicata giunge alle vostre orecchie, ma, vi garantisco, giunge ancor prima alle mie orecchie.  Anche soltanto per un motivo legato alla distanza tra le mie e le vostre orecchie.  Non lasciare la presa, tuttavia provare ad onorare fino in fondo le parole di Gesù, onorarle a tal punto che si possa dimostrare che tale radicalità a cui siamo chiamati nella nostra vita, non è disgiunta da una radicale gioia e una radicale libertà.  Il mio giogo è leggero, in altre parole!
E sì, è proprio così, perché alla fine Gesù a cosa ci chiede di rinunciare? Sì, alla nostra vita così come oggi la stiamo vivendo.  Alle nostre cose, le nostre abitudini.  Ai nostri interessi.  Sì, Gesù ci chiede di stravolgere tutto questo.  Ma tutto questo non è forse riassumibile in una sola parola: angoscia?  Non siamo forse tutti profondamente angosciati?   Cos’è quello sguardo nel vuoto quando la vita si mostra con le sue tragedie?  Cos’è quella perenne paura, ben radicata nella nostra quotidianità, come una pianta rampicante, eppure senza una chiara radice?  Abbiamo paura, ma di che abbiamo paura?  I cattivi maestri, travestiti da rispettabili figure istituzionali, iniettano dosi insopportabili di paure dentro il nostro sangue ogni giorno, lo fanno anche a nostra insaputa.  E la nostra angoscia si alimenta.  Ingrassa.  Spinge per occupare sempre più spazio.  E ci ritroviamo, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, a parlar male di un altro essere umano, a sospettare di uno sguardo che non ci è familiare, a temere di svoltare l’angolo di una strada poco illuminata. 

Eccola l’angoscia.  Questa quotidiana amica della nostra vita.  Che ne sarà di me?  Del mio lavoro?  Della mia vita?  E guarirò dalla malattia?  Mi amerà ancora?  Mi daranno questo benedetto mutuo?  E il permesso di soggiorno?  E il futuro dei miei figli?  Qualcuno di voi starà pensando: ma queste sono i normali problemi della vita.  Vero!  Ma siamo noi che siamo cambiati, ormai siamo diventati così fragili che di fronte al più piccolo colpo di vento ci sentiamo mancare il terreno sotto ai piedi.  Abbiamo rafforzato le nostre sicurezze materiali, e ci siamo scoperti assaliti da una insopportabile vulnerabilità della nostra anima.  Le domande che ci facciamo sono probabilmente simili a quelle che si facevano anche gli uomini primitivi, il problema è che noi non riusciamo più a mettere insieme un briciolo di senso della vita e questo non fa che accrescere quell’inquietudine che che ci divora dal di dentro e che non riusciamo a governare se non con qualche pillolina prima di andare a dormire o con varie altre forme di distrazioni di massa.

È qui che quella richiesta assoluta e radicale di Gesù non si presenta come una scelta impossibile, ma come l’offerta di un’alternativa all’angoscia.  Non preoccuparti della tua vita, cerca il regno di Dio e la sua giustizia.  Ecco, vedete, è davanti ai nostri occhi la semplice richiesta di una emigrazione dal regno dell’io al regno di Dio.  Un’emigrazione dall’angoscia alla fiducia.  Se Dio ha cura di un fiore o di un uccello, non avrà forse anche cura di te?  Non che questo cambi improvvisamente la nostra umana condizione e diveniamo improvvisamente immortali e invincibili.  Saremo sempre parenti stretti dell’erba dei campi, con la stessa caducità, ma è cambiata la musica di sottofondo, non si intona più un canto funebre, ma un canto di risurrezione.  Abbiamo così poca fede e non riusciamo a dire: sì, mi fido di Dio, nulla mi mancherà, avrò di che mangiare e di che vestire?  Se la risposta è sì, non angosciamoci, aggrappiamoci stretti a questa piccola fede perché potrà spostare montagne.  La radicale scelta a cui Gesù ci chiama non è un atto eroico, è la medicina per la nostra anima.  Non è un sacrificio, è una liberazione.  Non vuole produrre in noi nuove ansie, ma affidarci una gioia che non arrugginisce e che i ladri non possono rubare.

Non è forse vero che stiamo sottovalutando troppo il nostro Dio?  Perché gira e rigira, la questione è pur sempre la stessa: ti fidi di Dio fino al punto di mettere la tua vita nelle sue mani?  O sei ormai diventato un pagano che ogni giorno combatte per assicurarsi la sua propria sopravvivenza?  Ci credi veramente che Dio ti darà tutto quello di cui hai bisogno?  Gesù non dice: ti darà il 10 per cento o il 50 per cento.  Dice che ti darà il 100 per cento, tutto quello di cui hai bisogno.  La risposta di Dio prende forma intorno al nostro bisogno, ma lo ridefinisce, lo libera da tutte le scorie dei nostri materialismi e dei nostri consumismi.  Riporta alla luce il nostro vero e profondo bisogno di creatura vivente: avere fiducia che qualcuno si prenderà cura di noi e quel qualcuno è Dio!
Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte le altre cose vi saranno date in sovrappiù.  I pagani combattono ogni giorno per conquistarsi da vivere, voi, invece, cercate.  Che ne dite, non è forse questo un verbo troppo importante per essere trascurato: cercate?  C’è un antico codice della Bibbia, il Codex B, che ha scelto di invertire l’ordine e invece di dire: cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, ha scritto: cercate prima la sua giustizia e il regno di Dio.  Non c’è alcun altro modo per cercare il regno di Dio che cercare la sua giustizia, qui e ora, dentro la storia, nelle nostre concrete relazioni, nella vita così com’è.  Altrimenti il rischio è pensare che si possa cercare un regno di Dio in qualche fuga religiosa dalla realtà, in una forma privata di fede, in un individualismo dello spirito, in una fede egoista che lancia lo sguardo nel futuro e chiude gli occhi sul presente.  Non c’è altro modo per cercare il regno di Dio oggi che cercare prima la giustizia di Dio.  Ecco lo stravolgimento di ogni cosa.  Ecco come la nostra vita è messa sottosopra.  Ecco che finalmente possiamo essere liberati per sempre dal potere dell’angoscia: dobbiamo prima cercare la giustizia.

Siamo finalmente giunti al punto di incontro.  Stravolgere la nostra agenda, riformulare le nostre priorità, liberarci dell’angoscia significa praticamente cercare prima la sua giustizia.  Nelle beatitudini si legge: beati coloro che sono affamati e assetati di giustizia, e più avanti si dirà: beati coloro che saranno perseguitati per la giustizia.  Ecco cos’è la giustizia, qualcosa di cui bisogna sempre aver fame e sete e per la quale bisogna essere disposti a pagare un prezzo.  Se ci sono persone che devono preoccuparsi di cosa mangiare e di cosa vestire perché non hanno di che mangiare e di che vestire, la giustizia è cercare una soluzione al problema.  La giustizia è un modo di vivere in cui la priorità è sempre la ricerca di una vita buona, di una società giusta.  È il costante impegno, la costante denuncia, la testarda convinzione che dietro la ricerca della giustizia ci sia Dio stesso.  È come se Dio avesse dato un verso al mondo e prendere la strada della giustizia sia il verso giusto. 

Qualcuno a questo punto sarà rimasto deluso.  È mai possibile che tutto sia ridotto alla lotta per la giustizia?  Sì, ogni volta che spezziamo il pane e beviamo il vino, stiamo lottando perché tutti abbiano da mangiare e da bere.  Quando ci raccogliamo in preghiera, stiamo lottando perché le forze del male sentano sulle spalle il respiro di Dio.  Quando ricerchiamo una nuova spiritualità, stiamo offrendo i nostri corpi in dono perché siano costruite relazioni buone e giuste.  Quando preghiamo il Padre nostro e stiamo chiedendo il pane quotidiano, ci stiamo assumendo l’impegno di seminare grano e di infornare pagnotte.  Quando cantiamo i nostri inni, quando restiamo in silenzio di fronte alla Parola della vita, quando ci emozioniamo per la grandezza dell’amore di Dio.  Quando facciamo ogni nostra piccola azione di fede, stiamo lottando per la giustizia, perché il mondo fatto da Dio vuole essere un regno di pace, di libertà e di giustizia e non quello che è ora diventato.

E allora via, diamoci una mossa.  Che la nostra vita sia stravolta.  Che l’angoscia sia abbattuta.  Che il regno di Dio e la sua giustizia siano fatti.  Amen