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Condanna del favoritismo

Testo: Giacomo 2: 1-13

1 Fratelli miei, la vostra fede nel nostro Signore Gesù Cristo, il Signore della gloria, sia immune da favoritismi.
2 Infatti, se nella vostra adunanza entra un uomo con un anello d'oro, vestito splendidamente, e vi entra pure un povero vestito malamente, 3 e voi avete riguardo a quello che veste elegantemente e gli dite: «Tu, siedi qui al posto d'onore»; e al povero dite: «Tu, stattene là in piedi», o «siedi in terra accanto al mio sgabello», 4 non state forse usando un trattamento diverso e giudicando in base a ragionamenti malvagi?
5 Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? 6 Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi quelli che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? 7 Non sono essi quelli che bestemmiano il buon nome che è stato invocato su di voi?
8 Certo, se adempite la legge regale, come dice la Scrittura: «Ama il tuo prossimo come te stesso», fate bene; 9 ma se avete riguardi personali, voi commettete un peccato e siete condannati dalla legge quali trasgressori. 10 Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti. 11 Poiché colui che ha detto: «Non commettere adulterio», ha detto anche: «Non uccidere». Quindi, se tu non commetti adulterio ma uccidi, sei trasgressore della legge.
12 Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo la legge di libertà. 13 Perché il giudizio è senza misericordia contro chi non ha usato misericordia. La misericordia invece trionfa sul giudizio.
Il nostro tempo non fa eccezione a una regola universale e iniqua che attraversa i secoli. E' la regola della disparità.
Per illustrarla uso come illustrazione una esperienza mia personale che però so benissimo ha delle analogie per la maggior parte di voi.
Dopo più di dieci anni di onorato servizio e oltre 200.000 chilometri la mia Skoda, passata nel frattempo da me a mio figlio, non ce la faceva più. Farla muovere costava sempre più in manutenzione. Venne dunque il giorno della sua rottamazione. Ma giunti al momento clou, l'ultimo atto fu impedito dal fatto che sull'auto pendeva una ipoteca. Una ipoteca? Esattamente. Scoprimmo che la macchina aveva una ipoteca a motivo di una multa non pagata. E poi scoprimmo che la multa non era stata pagata perché non era dovuta e che a suo tempo la cosa era stata anche documentata e chiarita con le autorità.  Ci è voluta comunque la mediazione di una persona conoscente, impiegata al registro automobilistico, per  venir fuori da un vicolo cieco per il quale la vecchia auto non poteva più vivere per la sua usura e non poteva più morire per erronea decisione burocratica! Tutto questo per una multa erroneamente sollevata per divieto di sosta. Ora vi chiedo:
Cosa succederebbe, secondo voi, se una persona, magari titolare di una grande azienda, avesse proditoriamente frodato il fisco per qualche milione di euro? Pensate che si sarebbe arrivati con altrettanta tempestività a ipotecare i beni del trasgressore?
La cosa più probabile, dopo le lungaggini burocratiche, è che, semmai si arrivasse ad una condanna del fraudolento prima della fatidica prescrizione, l'Agenzia delle Entrate faccia un concordato consentendo al disonesto di avere uno sconto significativo sulla cifra totale o magari pagando in comode rate in un periodo di tempo vergognosamente lungo. 
La legge dei due pesi e due misure, si ritrova nella stessa Bibbia, e ricorda che l'assioma di essere severi coi poveri e indulgenti coi potenti è antico quanto è antico il mondo.
Non che questo renda questo comportamento meno insopportabile in chiunque abbia un qualche senso di giustizia. Ciò che però è veramente indigeribile è che questa legge iniqua venga ricevuta come se fosse una legge naturale e perciò giusta. E ancora più insopportabile è che questa mentalità riceva cittadinanza anche tra i figli di Dio.
E' proprio di questo che ci parla Giacomo.
Egli osserva un comportamento a suo parere generale, per cui anche nelle chiese cristiane vige la legge ingiusta della disparità.
Entra un uomo vestito elegantemente e con un vistoso (oggi diremmo pacchiano) anello d'oro al dito, e tutti, pastore e diaconi compresi, si sbracciano per dargli un posto di riguardo. L'aneddoto è raccontato chiaramente per evidenziare che il comportamento accogliente non è riservato per altra ragione che per il censo della persona.
Ad aggravare ancora di più l'atteggiamento conformista della comunità, sta  la sufficienza e forse il fastidio, con cui viene trattato il povero, anche lui riconoscibile, ma ora dal suo modesto abbigliamento. Anche qui non si dice che questo si comporti maleducatamente, o che sia lì solo per scroccare qualche elemosina. Il povero è trattato con sufficienza, per il solo fatto che è povero, che, come diremmo oggi noi, con un termine dei più brutti che si possano usare, è uno sfigato.
Notiamo dunque che sia il ricco che il povero sono personaggi senza spessore. Non hanno un nome, non hanno qualità. Uno può essere ricco ed essere anche generoso e disponibile, oppure povero di risorse materiali ma ricco invece di cultura, di intelligenza.  Ma la mentalità conformista appiattisce tutto, semplifica, fino a banalizzare anche le persone.
Lo spirito del conformismo trasforma la chiesa, come scriveva King in un suo sermone, in un termometro della società. Si prende acriticamente atto che così fa la società e il mondo in cui viviamo e ci si comporta allo stesso modo, accomodandosi all'ethos comune. Ma, osserva King, la chiesa dovrebbe anche essere un "termostato", capace cioè di regolare la temperatura della cultura, riuscendo ad incidere sul modo in cui si ragiona.
Perché questa vistosa disparità di trattamento?
Il testo non ce lo dice. Ma ci comunica un fatto che conosciamo per esperienza anche nei nostri tempi. Si parla  molto spesso del forte sentimento xenofobo che attraversa la nostra società. Ma a ben vedere è un sentimento che riguarda in primo luogo la povertà. Non è tanto lo straniero che mal si tollera, quanto la persona povera, colui che ha perso il lavoro e non ha più una casa. Qualcuno ha così sintetizzato: "In fondo il fatto che tu non abbia una carta di identità ti può essere anche perdonato, a patto però che tu abbia la carta di credito!".
I poveri generano disagio, forse perché in essi vediamo specchiarsi la possibilità anche di una fine che potrebbe coinvolgerci da un momento all'altro per la precarietà del lavoro e della vita, nel nostro tempo.
Per quanto riguarda i ricchi, invece, Giacomo fa riferimento a coloro che "vi trascinano davanti ai tribunali", probabilmente per cause di servizio e di lavoro. Il conformismo acritico della chiesa, ha dunque messo uno di fianco all'altra un oppressore e un oppresso, senza cercare di operare alcun cambiamento, ma solo prendendo atto dello "spirito del tempo" (Zeitgeist).
Ricapitoliamo: succede sempre più spesso che i cristiani assumano questa mentalità sbagliata della società in cui vivono per cui un ricco, anche se si comporta in maniera severa con persone che gli sono sottoposte, riceve riguardo e onore, e un povero, che magari fuori dalla chiesa è sfruttato da quel ricco, venga trattato con sufficienza se non con disprezzo.
Il termine che descrive questo comportamento è classismo.
Il discorso potrebbe finire qui. Giacomo ha rilevato un atteggiamento accondiscendente con la cultura dominante e avverte i cristiani e i pastori di vigilare su questa cattiva prassi.
Ma, non è così, il fatto etico diventa occasione per una riflessione critica anche sulla propria  teologia.
Giacomo sembra essere particolarmente infastidito da questi comportamenti  perché vengono da quelli che difendono a spada tratta la teologia della grazia e dell'amore per il prossimo come quintessenza, compimento della Legge.
Da dove si deduce quello che sto dicendo?
Proviamo a rileggere i versetti di Romani 13,8-10 confrontandoli con quelli del nostro testo

 
8 Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. 9 Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso». 10 L'amore non fa nessun male al prossimo; l'amore quindi è l'adempimento della legge.

                            
 8  Certo, se adempite la legge regale, come dice la Scrittura: «Ama il tuo prossimo come te stesso», fate bene; 9 ma se avete riguardi personali, voi commettete un peccato e siete condannati dalla legge quali trasgressori. 10 Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti. 11 Poiché colui che ha detto: «Non commettere adulterio», ha detto anche: «Non uccidere». Quindi, se tu non commetti adulterio ma uccidi, sei trasgressore della legge.

 
 Mettendo i due testi uno dinanzi all'altro si ha l'impressione che Giacomo scriva, avendo lo scritto di Paolo davanti a sé e con l'intento proprio di confutare punto per punto quanto riportato nella lettera ai Romani.
Forse è questo che ha fatto esclamare a Lutero che l'epistola di Giacomo è una epistola di paglia, perché sembra che la salvezza venga nuovamente riproposta mediante le opere della Legge piuttosto che per la Sola Grazia di Dio.
Se vogliamo cogliere la provocazione di Giacomo, dobbiamo capire che egli non sta reagendo contro Paolo, ma contro una erronea interpretazione del paolinismo. Una interpretazione, per la quale, l'affermazione della salvezza per grazia mediante la fede si accompagna ad una generica idea che l'amore è adempimento di tutta la legge e si illude che possa poi conciliarsi con comportamenti classisti, razzisti, sessuofobi ecc.
Se l'appello all'amore per il prossimo si accompagna con atteggiamenti ingiusti verso il prossimo quando questo è povero e indifeso, o se il marito dice alla moglie di amarla, ma poi la sfrutta e l'opprime, il suo amore è una finzione, oppure, se preferite è un amore malato.
Il teologo che ha con maggiore lucidità riconosciuto le buone ragioni di Giacomo, non è stato evidentemente Lutero, ma è stato Dietrich Bonhoeffer. Egli lo ha fatto evidenziando la differenza che esiste tra la Grazia a buon mercato e la Grazia a caro prezzo. Lui, teologo luterano, professore di teologia  prende atto che la chiesa evangelica tedesca e tanti cristiani del suo tempo avevano messo insieme il vangelo della grazia con la discriminazione nei confronti degli ebrei, introducendo un articolo nel regolamento della Chiesa (nel 1938) che impediva ai pastori che non fossero di razza ariana di esercitare il ministero nella chiesa.
Ma anche King si è dovuto confrontare con una chiesa, anch'essa "salvata per grazia" che pensava che il Vangelo si potesse accompagnare alla discriminazione verso la comunità nera.
Cari "giustificati per fede" della comunità di Pinamonte, prendiamo dunque atto che la nostra convinzione che la nostra salvezza è fondata sull'amore di Dio, non può conciliarsi con ideologie del nostro tempo che assumono la disparità di trattamento come un dato acritico.
Oggi molti di noi andranno alla manifestazione "Tolleranza zero", e cercheremo di parlare coi nostri corpi e cercheremo di gridare con il nostro silenzio, per affermare il diritto del povero e dello straniero, contro la tendenza odierna a farne capri espiatori di tutte le ingiustizie. Questo non è attivismo politico. Questo atto non è cedimento ad una teologia delle opere, ma convinzione profonda che diventare discepoli di Gesù sia la sola risposta in grado di chiarire che abbiamo veramente ricevuto e accolto la Grazia di Dio.
Soprattutto chi non potrà essere con noi, per favore,  ci sostenga con la preghiera.