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Sulla barca con Pietro

Testo:Matteo 14, 22-33 Gesù cammina sul mare.

Il racconto bellissimo di “Gesù che cammina sul mare”, così come ci viene riportato dall’evangelista Matteo (diversamente da Marco 6, 45-52 e Giovanni 6, 15-21), ha due protagonisti principali che conosciamo molto bene: da una parte Pietro; dall’altra parte Gesù.

Chi è Pietro? La Bibbia ci presenta Pietro come un discepolo avventato, impulsivo, intraprendente e istintivo. Pietro è un discepolo che in diverse occasioni dimostra di non avere pazienza.
È infatti Pietro che durante la trasfigurazione di Gesù (Matteo 17, 1-13; Marco 9, 2-13; Luca 9, 28-36) suggerisce di fermarsi sul monte e di costruire delle tende per Gesù, Mosè ed Elia. Si stava troppo bene su quel monte, circondati dalla gloria di Dio, per scendere. Eppure non sapeva cosa stesse dicendo. Aveva parlato di getto senza pensare.
È sempre Pietro che dice a Gesù che non lo avrebbe mai rinnegato (Matteo 26, 30-35; Marco 14, 26-31; Luca 22, 31-39; Giovanni 13, 36-38). Per la precisione Pietro dice: «Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di caduta, non lo sarai mai per me»; «Quand’anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Eppure i vangeli ci raccontano un esito diverso. Poco dopo sarà proprio Pietro a rinnegare per ben tre volte Gesù prima del canto del gallo per evitare di essere scoperto e catturato (Matteo 26, 69-75; Marco 14, 66-72; Luca 22, 55-62; Giovanni 18, 15-18 e 25-27), proprio come aveva predetto Gesù.
E ancora è sempre Pietro che verrà definito da Gesù stesso “Satana” (Matteo 16, 21-23; Marco 8, 31-9,1) perché non voleva che andasse a Gerusalemme a morire: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini».
Potremmo andare avanti con gli esempi, ma già appare chiaro che la Bibbia ci presenta Pietro come un discepolo avventato, impulsivo, intraprendente e istintivo; un discepolo che dimostra a più riprese di non avere pazienza; un discepolo che ama Gesù e che vorrebbe seguirlo ovunque, ma che si tira indietro nei momenti più difficili.

E anche nel nostro racconto compare lo stesso Pietro. Però stavolta non è da solo. Si trova infatti insieme agli altri discepoli su una barca in mezzo a un lago di notte. Gesù ha congedato la folla, è andato a pregare in solitudine su un monte e ha lasciato andare avanti i discepoli. E mentre si trovano a molti stadi lontani da terra (quindi completamente in mezzo al lago), i discepoli sono colti da una tempesta con il vento che alza grandi onde contro la loro barca nel buio della notte. Stavolta Pietro si trova in questa prova, prima fisica e poi spirituale: sarà davvero Gesù colui che mi incoraggia e mi chiama? Pietro non lo sa: «Signore, se sei tu, comandami di venire da te sull’acqua». Se…! Pietro è dubbioso ancora prima di provare a camminare sull’acqua. Eppure lui è Pietro, il discepolo avventato, impulsivo, intraprendente, istintivo e quindi ci prova lo stesso. Ci prova lo stesso e fallisce perché, al posto di concentrarsi su Gesù, rivolge il suo sguardo verso il vento e si spaventa.
Un po’ come quando ci troviamo a salire su un sentiero di montagna scosceso oppure a scalare una roccia (vi sarà successo di sicuro almeno una volta nella vita) che, al posto di pensare alla meta da raggiungere, guardiamo in basso e le vertigini ci fanno tremare le gambe e perdere l’orientamento.
Così ancora una volta Pietro, il discepolo impavido, dubita, ha paura della minaccia, dell’insicurezza, della morte e inizia ad affondare e ad affogare.

Come è possibile leggere e ascoltare questa storia senza immedesimarci almeno per un secondo in Pietro? La situazione che attraversa l’apostolo è qualcosa che conosciamo molto bene. Su quella barca, insieme a Pietro, ci siamo trovati o ci troviamo anche noi.
A partire da questo testo sorgono spontanee alcune domande: chi sono io? Sono come Pietro? Quali prove ho attraversato o sto attraversando? Quali difficoltà sto patendo? Forse anche noi, come Pietro, siamo stati intraprendenti, ma poi, quando è arrivata la difficoltà, abbiamo dubitato o dubitiamo e ci sentiamo sprofondare nel buio. Forse anche noi, come Pietro, sentiamo che la nostra fede vacilla.
Mi ricordo che mi è stato raccontato che il pastore Scrajber, che svolse il suo servizio presso le chiese battiste della Val di Susa e di Milano nella prima metà del ‘900, era solito domandare dopo il culto domenicale “come sta la tua fede?”, al posto del classico “come stai?”. Già, come sta la nostra fede?

Ma facciamo un passo indietro, come dicevo all’inizio del mio discorso, Pietro non è l’unico grande protagonista di questo racconto. L’altro personaggio che entra in scena nel pieno della notte (alla quarta vigilia, ovvero circa le 3.00 del mattino) è Gesù. E anche in questo caso, come abbiamo fatto con Pietro (chi è Pietro?) e con noi stessi (chi sono io?), potremmo chiederci: Chi è Gesù? Questa sembra essere l’altra questione che si cela sotto il testo. Infatti Gesù prende diversi nomi.
In primo luogo, Egli viene scambiato per un fantasma. I discepoli vedono qualcosa avvicinarsi nel buio camminando sull’acqua e si spaventano, gridano dalla paura e pensano di aver visto un fantasma.
Subito Gesù li incoraggia a non avere paura e lui stesso si definisce “sono io”. Stavolta Gesù ricorda un po’ le parole che Dio rivolge al profeta Mosè: «io sono colui che sono» (Esodo 3, 14). Un Gesù che da fantasma diviene Qualcuno che rimanda a Dio.
Poi viene ipotizzato essere il Signore, colui nel quale riporre la propria fiducia.
Infine, Gesù viene riconosciuto essere il Figlio di Dio (titolo cristologico per eccellenza).
Insomma, Gesù ha tante identità in questo racconto e la percezione che Pietro e i discepoli hanno di Lui si evolve nel corso della narrazione. Un Gesù che nella tempesta, nella prova, nelle grida di paura, nel rischio di affogamento, prende diverse forme e solo alla fine viene riconosciuto come il Figlio di Dio, come Colui che salva Pietro dall’abisso stendendo subito la mano al suono del suo grido: «Signore, salvami!».

La percezione dell’identità di Gesù va di pari passo con la fede di Pietro e del resto dei discepoli. È la stessa questione che il testo rivolge a noi oggi: chi è Gesù per noi? Un fantasma? Forse il Signore di cui fidarci? Il Figlio di Dio? Nelle difficoltà non è facile confidare in Dio. È normale avere poca fede e dubitare. È normale pensare che non ci sarà nessuno a salvarci dall’abisso che sentiamo sotto di noi, nessuno che verrà a soccorrerci. È normale non vedere in Dio il nostro punto di riferimento e scambiarlo per un fantasma.

Eppure non deve essere questa sensazione di incredulità a sopraffarci. Anche alla fine della nostra storia, Gesù dimostra di conoscere bene la condizione umana e si rivolge a Pietro dicendo: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Gesù non chiede a Pietro di essere un paladino della fede; sa bene che Pietro dubiterà ancora e ancora. La fede è sempre “poca fede”, un misto di coraggio e di paura, di ascolto del Signore e di sguardo rivolto al vento, di fiducia e di dubbio. Il dubbio è parte della fede. Lo dimostra il fatto stesso che Gesù dica a Pietro di non dubitare sotto forma di domanda e non di affermazione. Gesù invita piuttosto Pietro a credere che quando starà per affondare ancora, il Signore lo salverà ancora. La presenza salvifica di Dio non cancella le tempeste, ma si sperimenta nelle tempeste. Il credente sa che il Signore comprende il suo dubbio, lo supera e può salvarlo subito.

Quindi se abbiamo attraversato o se stiamo attraversando un momento difficile (magari per una malattia nostra o di nostro caro; magari per un lutto; magari per il senso di colpa che proviamo per un errore commesso; magari per la sofferenza dovuta alla fine di una relazione importante), se ci siamo trovati o se ci troviamo su quella barca, è normale dubitare. È normale non avere più forze, non vedere la luce, perdere la speranza. Eppure il Signore è con noi nella tempesta! Nell’ora più buia, proprio quella prima dell’alba, c’è il Dio che ci soccorre. L’ora più buia è anche l’ora della risurrezione!

Cari fratelli e care sorelle, possa questa consapevolezza rischiarare le nostre vite e la nostra fede. Possa farci vedere in Colui che è vicino a noi non un fantasma, ma il Signore, “Colui che è”, che ha mandato Gesù, il Figlio di Dio, a salvarci, tendendoci la mano nel buio della notte.
Amen!