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AAA Cercasi credenti audaci

Testo: Colossesi 4, 2 -4

Care sorelle e cari fratelli, da uno studio risulta che il 45,8% della popolazione italiana crede senza alcun dubbio. Questa è l’analisi del sociologo Franco Garelli, curatore della ricerca. Nel suo libro: “Religione all’Italiana” afferma che la secolarizzazione svuota le chiese (in Italia, comunque, meno rispetto a quel che accade in altri paesi), ma non sfratta Dio, o meglio non sfratta il bisogno di relazione con Dio.  Dalle sue indagini sulla preghiera è emersa la seguente mappa: il 49% prega quotidianamente, il 28% in maniera discontinua e il 23% non prega affatto. Le motivazioni per cui si prega sono di:
•    tipo spirituale: lodare e ringraziare Dio, esigenza di contatto diretto con Dio;
•    tipo strumentale: preghiera di domanda per ottenere sostegno di fronte alle difficoltà;
•    tipo riflessivo: meditazione sulle cose che contano, chiarezza della sfera interiore;
•    tipo tradizionale: è un dovere quindi lo devo fare;
Questa è la situazione statistica del nostro paese, e la nostra preghiera? Com’è la nostra vita di preghiera? Immagino alcune risposte: “dipende!”, a volte è bella, a volte non lo è. La preghiera può essere facile o difficile a seconda di molti fattori. Ci sono giorni in cui sembra di toccare il cielo con le nostre preghiere, e altri giorni in cui le nostre parole sembrano rimbalzare sul soffitto. Ma indipendentemente da come ci sentiamo, se vogliamo conoscere meglio Dio, niente è più importante delle nostre preghiere. Nella Bibbia ci sono quasi 1400 versetti che parlano della preghiera, un motivo ci sarà! La preghiera è essenziale! La preghiera fa la differenza, non sappiamo come, sappiamo solo che fa. La preghiera porta saggezza, fornisce la resistenza in tempi difficili; la preghiera ci suggerisce e ci convince su aree della nostra vita che hanno bisogno di cambiamento. La preghiera ci porta ad vere la giusta posizione di fronte a Dio. Poi ci sono altri che non pregano affatto e posso anche qui immaginare alcune risposte: sono troppo occupato/a per pregare, sono troppo amareggiato/a per pregare, ho vergogna di pregare ecc. Penso che il più delle volte tutte queste e tante altre siano delle scuse: non riusciamo a pregare perché non vogliamo pregare!. Mi rendo conto che ogni volta che si predica sulla preghiera nelle nostre chiese, si ha la tentazione di dire: “ma le so già queste cose, voglio sentire qualcosa di diverso, che non conosco!”. A mio modesto parere ci sono alcune cose così importanti che vanno ricordate. Infatti la domanda che ci poniamo questa mattina non è: “Io, tu, noi conosciamo che cosa è la preghiera” ma: “cosa sto, stiamo facendo a proposito”.
Come dobbiamo pregare (v.2)
A tal proposito l’apostolo Paolo ci può aiutare, proprio partendo dalla sua esperienza. Nel versetto 2, Paolo risponde alla domanda: “come dobbiamo pregare?” e successivamente, nei versetti 3-4, risponde alla domanda: “che cosa dovremmo dire quando preghiamo?”. Paolo inizia dicendo che dobbiamo pregare con:
“perseveranza”. La parola sta ad indicare: mantenersi fermi e costanti nei propositi, nelle azioni o nello svolgimento di un’attività. E’ come se Paolo ci stesse dicendo: non mollare, non mollare, non rinunciare alla preghiera anche quando sembra inutile; prega quando hai voglia e prega quando non se ne ha la voglia; prega quando si crede in essa e prega quando se ne dubita. Bisogna pregare continuamente. Questo non significa che ogni parola che diciamo deve essere una preghiera; questi versetti ci insegnano che dobbiamo sempre essere pronti a pregare in qualsiasi momento e situazione. Non dobbiamo cercare di interrompere l’unico canale che abbiamo di relazione con Dio.
“vigilanti”. Questo è il secondo consiglio di Paolo: essere vigili, che è l’opposto di sonnolenza o pigrizia o freddezza o indifferenza. Questo è un consiglio per una preghiera sincera. Avete mai notato come sia facile distrarsi quando si prega? Proprio quando abbassiamo il nostro capo, il telefono squilla, o rumori interni o esterni alla nostra casa, distogliendoci dalla preghiera. Quante volte capita che durante questi momenti mille pensieri affollano la nostra mente. Purtroppo nella società in cui viviamo oggi è difficile trovare quella concentrazione per relazionarci con Dio, persino Gesù si ritirava per pregare in luoghi isolati. Oggi per trovare un luogo isolato dovremmo andare sul cucuzzolo di qualche montagna (se pure!) o prendere un aereo in andare in qualche deserto, ma anche lì sicuramente incontreremmo gruppi di turisti di qualche villaggio turistico in gita. Fratelli, sorelle, essere vigilanti vuol dire trovare sempre del tempo per parlare con Dio, preghiere e dialoghi brevi ma sentiti, che provengono da nostro cuore. Se impariamo ad essere vigilanti, non avremo più bisogno di cercare luoghi isolati per contattare il nostro Signore, ma sarà Lui a far fiorire i nostri deserti interiori. 
“essere grati nella preghiera”. Grati di cosa? Perché abbiamo ricevuto la vita, perché non siamo soli, perché non siamo soli nella tribolazione (Gesù stesso è morto in croce), Dio è amore. Questi sono tutti aspetti che conosciamo benissimo e che ci insegna la Scrittura. Ma essere grati al Signore non vuol dire solo questo; anche saper chiedere “aiuto” nei momenti difficili al proprio fratello o sorella, è segno di gratitudine nei confronti del Signore, vuol dire che si comprende il senso e l’importanza della vita. Ricordiamoci che i nostri fratelli e sorelle sono le mani di Dio, quindi quando riusciamo a chiedere aiuto è come se lo stessimo chiedendo a Dio, e quindi siamo grati di poter ricevere il Suo ascolto e il Suo aiuto. Ma la più importante di tutte, che è il motore della nostra gratitudine e sulla quale si fonda la nostra fede è la fantastica speranza per il futuro, che un giorno incontreremo il nostro caro Gesù. Essere grati al Signore vuol dire anche saper dire “grazie” al fratello o sorella, scorgere dietro il loro aiuto, il loro conforto, la loro generosità, il loro ascolto, la mano di Dio. Quando diciamo “grazie” al nostro fratello e la nostra sorella stiamo dicendo “grazie” anche a Dio. Come possiamo notare abbiamo tanto da essere grati a Dio, non solo a parole ma anche nelle azioni di tutti i giorni.
Che cosa dovremmo dire quando preghiamo? (vv. 3-4)
La preghiera è riconoscenza ma subito dopo è anche intercessione, cioè preghiera per altri. Paolo si raccomanda: “Pregate nello stesso tempo anche per noi, affinché Dio ci apra una porta per la Parola e che sia annunciato il mistero di Cristo a motivo del quale mi trovo prigioniero”. Paolo è prigioniero perché ha predicato il mistero di Cristo, l’Evangelo. Allora egli chiede aiuto ai credenti di Colosse e li invita a pregare per lui e per i suoi compagni. E non chiede che sia liberato, ma affinché Dio apra una porta per la Parola. Paolo non chiede la sua liberazione, chiede che sia la Parola a poter trovare una via di fuga; chiede che la Parola sia liberata. Paolo è in prigione e non può annunciare il Vangelo; per lui l’importante è che la Parola di Dio, il mistero di Cristo, non vadano persi con la sua prigionia. Per la paura che l’annuncio della Parola si spenga con lui in carcere, Paolo esorta i colossesi a pregare per la Parola affinché Dio non li lasci cadere nel nulla. Le parole di Paolo costituiscono un incoraggiamento per i colossesi a perseverare nella predicazione, nonostante la sua assenza. Ciò che deve crescere non è la fama dell’apostolo ma il mistero di Cristo. Ciò che conta non è la sorte dell’apostolo ma la buona novella. Certo Paolo spera con tutte le sue forze di proseguire la sua missione ma nel frattempo, durante la sua prigionia, la Parola non si deve fermare per nessun motivo.
Paolo vuole che sia la Parola ad essere liberata. Cosa vuol dire per noi oggi? Il concetto di “porte aperte” nel Nuovo Testamento ha quasi sempre a che fare con nuove opportunità per diffondere il Vangelo. Proprio in virtù del sacerdozio universale come credenti siamo chiamati a trovare opportunità per annunciare la buona novella, in qualsiasi situazione, favorevole e sfavorevole. Siamo chiamati a raggiungere quanti ancora non conoscono il mistero di Cristo; siamo chiamati a portare la buona novella anche a tutti coloro, che stanno attraversando momenti di prigionia interiore, perché la Parola non è solo rivelazione di una persona, ma è anche Parola di consolazione e di guarigione.
Paolo conclude dicendo di pregare per lui affinché possa annunciare con chiarezza come avrebbe dovuto. La richiesta finale è per la chiarezza nella sua presentazione del Vangelo. Egli vuole che quello che dice sia facilmente comprensibile per gli altri. Dobbiamo lavorare quindi e pregare in modo che i nostri discorsi siano chiari e semplici. La buona novella non è una buona notizia se coloro che ci ascoltano non capiscono nulla di quello che stiamo dicendo.
Amen.