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La lavanda dei piedi

Il racconto ci si presenta con le vesti e la forma di una parabola gestuale, secondo la migliore tradizione profetica dell'AT, dei profeti che parlano attraverso dei semeia o “segni simbolici” (Geremia, Ezechiele, Osea). Gesù si atteggia da servitore quando “si levò da tavola, depose le sue vesti, e preso un asciugatoio, se ne cinse... mise dell'acqua nel bacino e cominciò a lavare i piedi ai discepoli”. Questa è un'azione simbolica, come quella di rompere il pane. Poi verranno le parole attraverso le quali Gesù spiegherà ai discepoli la sua azione. Altrimenti il segno non svelerà tutto il suo contenuto. Al segno seguono le parole che permettono un approfondimento sul suo significato e valore.
Giovanni enfatizza la consapevolezza di Gesù nell’affrontare il suo destino con umiltà “sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre”, che era ormai giunto il tempo del sacrificio, della morte, dell'attacco di Satana che prende possesso di uno dei suoi discepoli “il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariote di tradirlo”,  Gesù compie un gesto supremo e libero di auto umiliazione, fino a rendersi uno schiavo occupato nelle faccende più umili (cfr. Flp 2). L'agape divino che si rivela in Cristo è qui nella sua manifestazione più grandiosa. Il linguaggio raffigura la poesia, la dossologia e non la dogmatica, contiene una nota pura di intuizione non razionale. Il gesto è superfluo apparentemente, eccesivo, un dispendio come l'unzione con il profumo, ma che in realtà è stata la preparazione alla morte. La lavanda dei piedi dev'essere considerata da questo punto di vista poetico, simbolico, irrazionale, non si tratta di un esempio di umiltà da ripetere meccanicamente, ritualmente. E' il simbolo di tutta la vita di Gesù, il sacrificio perenne della sua divinità che si è incarnata e preso le sembianze e le sostanze della debolezza umana, in tutto tranne nel peccato.
Pietro si rifiuta “Tu, Signore, lavare i piedi a me, non sia mai”, egli rappresenta la logica umana che si ribella di fronte a questo atto di umiltà ultima. Questo rifiuto equivale a negare la fede, risponde Gesù “Tu non sai ora quello che io vi fo, ma lo capirai dopo”; Pietro insiste nel suo rifiuto “Tu non mi laverai mai i piedi!”, e Gesù ancora “se non ti lavo i piedi non hai meco parte alcuna”. L'azione di Gesù non è soltanto un esempio pio di umiltà, ma è anche una “lavanda”. Il significato di questo passo non può essere capito senza la croce. La morte in croce sarà l'atto di suprema umiliazione, di spoglio completo, ma anche l'atto supremo di amore che ci salverà e purificherà dai nostri peccati. Il sacrificio della croce sarà il dono massimo dell'amore. Se non si accetta questo dono che ci offre il maestro, nelle sembianze dell'umiliazione più completa, la morte impotente in croce, non si ha con lui parte alcuna. Il sangue di Cristo ci purifica dai nostri peccati (1 Gv 1,7). La lavanda dei piedi ha questo sfondo di significato, il sacrificio sulla croce, il dono supremo del suo amore che la Cena rappresenta per noi. Si tratta di una rappresentazione simbolica della sua morte, attestata dall'uso della parola títhesi (data per). Egli si è svestito (è morto) ma poi riprenderà le sue vesti (risusciterà) [cfr. 1 Cor 15,53ss; 2 Cor 5,1 4]. Il sangue di Cristo significa la “sua vita” data per noi. Quello che Pietro rifiuta è questo amore che si inginocchia di fronte a lui e lo lava, lo purifica “voi siete stati lavati, ma non tutti siete netti”. L'acqua è in Giovanni uno dei veicoli dello Spirito (19,34). Questo amore che è sacrificio esistenziale, donazione totale e completa di sé agisce in favore dei suoi, non rimane inattivo, questo amore deve lavare i piedi, guarire gli ammalati, alimentare le folle affamate e assetate, cacciare i demoni del male e della sofferenze, aprire i carceri e gli occhi ciechi, liberare i prigionieri, annunciare il vangelo ai poveri, deve rimuovere ogni ostacolo egoistico posto alla vita, ogni sfruttamento e orgoglio, e deve manifestarsi attraverso gesti e azioni concreti di servizio per amore, e manifestare i suoi frutti nei modi di essere e nei comportamenti giornalieri. In questo racconto troviamo simboleggiati il battesimo e l'eucaristia, le due ordinanze che sulla croce sono identificate nell'acqua e nel sangue che sgorgano dal costato ferito di Gesù morente, i due segni della chiesa per il perdono dei peccati, il pentimento, il nutrimento della fede, della speranza e dell'agape, cioè della carità, della comunione, dell'accoglienza e del servizio. Il Signore è presente come dono, come colui che compie i gesti e pronuncia le parole in mezzo a noi, egli ci chiama a manifestare lo stesso atteggiamento di amore, compassione, sacrificio e servizio che perdona e lava i peccati, le offese e restaura per il Regno eterno di Dio. La lavanda dei piedi simboleggia il perdono dei peccati ottenuto attraverso la sua morte, e la possibilità di accedere ai benefici di quella morte, si tratta di un sacramento escatologico, come la moltiplicazione di pani che alimentò una grande folla.
Viene adesso la spiegazione del gesto simbolico: “riprese le sue vesti”, non era più il servitore umile ma “il Signore e il maestro” che parla con autorità divina perché è il rivelatore del Padre, si mise di nuovo a tavola e insegna loro il significato profondo dell'azione simbolica. Egli è il Signore dopo la sua umiliazione, dopo che è stato innalzato sulla croce. Insegna ai suoi discepoli ciò che deve contraddistinguerli: il servizio per amore e il sacrificio personale. L'imitazione di Cristo non si limita alla ripetizione dei suoi gesti e parole, ma deve essere la sostanza della vita dei suoi discepoli. Loro sono “inviati, e chi riceve colui che avrò mandato, riceve me; e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato”. Nel contesto dell'ultima cena queste parole possono significare che Cristo è presente e sarà sempre presente fra e nei suoi in due modi: attraverso i più piccoli e umili dei suoi fratelli e sorelle, in un certo senso Gesù si identifica, si spoglia con i più umili degli uomini, i poveri sono i messaggeri di Cristo che ci dicono egli è in mezzo a noi, nei nostri incontri quotidiani con gli umili e con i poveri incontriamo il Cristo; ma Cristo è presente anche nelle azioni, gesti e parole compiute “in memoria di me”. Così, l'amore per il prossimo non è semplicemente il corollario morale o un'implicazione etica della Cena. L'amore è la forma e la sostanza della celebrazione di Cristo crocifisso, il quale “ci ha amati e ha dato se stesso per noi”, “fino alla fine” (Gal 2,20). Fin dai tempi di Ignazio d'Antiochia, II secolo, la Cena era chiamata àgape. La Cena è essenzialmente una festa d'amore, amore per il nostro prossimo, che ci è stato accordato per mezzo dello Spirito Santo di Dio e di Cristo. In questo testo di Giovanni si insegna che l'amore opera sempre in due modi, attraverso il servizio umile vicendevole, e attraverso il sacrificio personale. La conclusione del passo, che non ha bisogno di ulteriori commenti è questa: “fate voi la stessa cosa”.