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Il Signore vivente e operante

Testi: Giovanni 21, 1-14 e Giovanni 20,19-31

Abbiamo letto i due brani dell’evangelo di Giovanni che ruotano intorno all’essersi manifestato di Gesù dopo la risurrezione ed in questo secondo testo, che sarà la traccia per la nostra meditazione, il verbo “manifestare” lo troviamo all’inizio e alla fine .
 Manifestare: farsi vedere.

Secondo la maggioranza degli studiosi questo vangelo si conclude e termina proprio con quel versetto 31 del capitolo 20  “Queste cose sono scritte affinché crediate che Gesù Cristo è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo , abbiate vita nel suo nome”.
Il capitolo successivo, il nostro capitolo 21, è quindi un’aggiunta di un redattore, proveniente anche lui dall’ambiente giovanneo  e che avrebbe lavorato alla redazione finale di tutto il vangelo.
Una cosa è certa: questo capitolo finale è stato scritto per riscoprire/riaffermare il fondamento della propria fede e lo scopo della propria missione.

Torniamo dunque al verbo manifestare.
 
Tra il manifestarsi di Gesù all’inizio e alla fine del brano, notiamo molti altri particolari che oggi non ci interessano in modo specifico ma che sarebbero stimolanti da analizzare: a partire dalla pesa mancata dopo una notte intera di lavoro (la notte con il suo lato oscuro),  l’indicazione del  lato da cui pescare, e poi la pesca miracolosa, o i numeri ricordati (7 discepoli, 200 cubiti di distanza, 153 pesci); e poi ancora il ruolo specifico di Giovanni (il più pronto a capire) e di Pietro (pronto a fare- correre) e degli altri discepoli (più lenti) ed anche la  colazione con pane abbrustolito e pesce arrostito in riva al mare.
Che bella questa immagine di Gesù che ancora una volta prende il pane appena abbrustolito, lo rompe e lo mangia con i suoi discepoli!
Sono tutti particolari che rivelano un gusto narrativo, una capacità evocativa, un amore per l’allusione ed anche un’arte nel creare suspense ma una concretezza negli atti che si contrappone all’atmosfera piuttosto surreale … una mattina ancora buia, nel passaggio dalla notte al giorno …sulla sponda del lago in cui si rispecchiano i riflessi della prima luce del giorno. In mezzo a quel gioco di luci i discepoli incontrano Gesù.
 
Un obiettivo, però, lo scrittore intendeva realizzare e lo dice con estrema chiarezza: egli ci parla della manifestazione del Signore Risorto; ci vuole dire che il Signore crocifisso si è manifestato vivente e operante.  Ed infatti questo brano viene utilizzato per le predicazioni post pasquali perché pare che dopo la risurrezione di Gesù nulla sia cambiato per gli apostoli. C’è il rischio che, dopo l’evento di Pasqua, nulla cambi anche per noi, noi tutti rimaniamo esattamente come eravamo prima. 
Gesù incontra i suoi discepoli intenti a fare ciò che avevano sempre fatto; erano tornati a fare ciò che facevano prima; prima di averlo udito e visto agire, prima di averlo visto crocifisso ed averlo incontrato risorto dai morti.
Non è incredibile?  Ce li immagineremmo entusiasti, adesso; pronti a mettere sottosopra il mondo intero per dire a tutti e tutte che la risurrezione non è solo il segreto di Dio, ma anche il segreto della loro vita.
Invece niente, sono tornati alla loro vecchia occupazione. L’inutilità della Pasqua che non ha cambiato nulla.



La questione ci tocca da vicino, perché dietro quei sette discepoli è evidente che ci siamo anche noi, ci sei tu, ci sono anche io; la loro storia è ancora una volta la nostra storia.
Dopo il riposo, dopo i sogni, dopo le illusioni bisogna tornare alla dura realtà del quotidiano.  I discepoli che ritornano tranquillamente al lavoro di sempre ci dicono che si può vivere senza risurrezione; anzi che questa è la cosa più facile da fare.

Ma la speranza di questo testo sta nel fatto che Gesù risorto è pronto a manifestarsi, a raggiungerci di nuovo, nel grigiore della nostra vita quotidiana, anche nei nostri fallimenti. Torna senza una parola di rimprovero; c’è solo una parola di speranza, di incoraggiamento. Tenta ancora, torna a pescare, anche dopo una notte di lavoro inutile.
All’inizio i discepoli non riconoscono Gesù ma lo hanno ascoltato e ubbidito senza riconoscerlo.  Chi ascolta la voce del Signore è in grado di riconoscerlo ed è in grado di annunciarlo.
Gesù torna a chiamarci ancora se non lo abbiamo riconosciuto subito, nonostante i nostri tradimenti, le fughe, l’incredulità che alcune volte ci disorientano. Non viene a punirci ma a riproporci la fiducia di ricominciare. Ci chiama ancora e ancora finché lo riconosciamo come è avvenuto con gli apostoli che pescavano.
Abbiamo visto che gli apostoli hanno ubbidito alla sua voce. E noi?
La fede, quella vera, nasce dopo l’ubbidienza, dopo aver sentito la sua parola. Dopo le notti di rassegnazione, in cui ci sembra di non concludere niente, la parola del Signore si fa strada in noi se l’ascoltiamo, come è stato per i  suoi discepoli. Chi ha compreso quella parola aiuta l’altro ad ascoltarla e a comprenderla, ad andare a colui che l’ha pronunciata per primo.
Qui abbiamo un vademecum per incontrare il Signore risorto: ascoltare la sua parola, anche in mezzo all’oscurità e alla stanchezza di una notte di delusione e di fatica. Egli non ci ha dimenticati, egli vuole che noi non lo dimentichiamo. E noi dobbiamo ubbidire.

Diceva Bonhoeffer “Chi crede ubbidisce e chi ubbidisce crede”. Ubbidire -ascoltare è un verbo che ci parla di Dio, del nostro stare davanti a Dio, del nostro essere discepoli del Signore. Ubbidire alla voce di Gesù avendo fiducia.

L’immagine della pesca allude, in modo abbastanza trasparente, all’attività della chiesa. Anch’essa è sterile e votata all’insuccesso finché Gesù stesso non dirige le operazioni.

Vogliamo credere che il Signore si manifesterà ancora, parlerà ancora a noi nel nostro travaglio e si lascerà scoprire nella nostra ubbidienza perché è lì che il Signore si manifesta e ci aiuterà, nella nostra incapacità, a riempire le nostre reti.

Questo è il mio augurio per tutti noi, per la nostra comunità
AMEN