Questo sito web utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione.

I due cerchi

Testo: Giovanni 8, 1-11

Una meditazione per la giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne

Della questione relativa alla violenza contro le donne possiamo parlare da molti punti di vista e a partire da vari testi biblici. Potremmo parlare di Dina, la matriarca mancata perché violentata appena fanciulla e mai interpellata nel prosieguo della orribile storia che ne seguì. Potremmo  ricordare la triste sorte della compagna di un levita nella epoca dei giudici uccisa per stupro di massa durato l’intera notte. Potremmo dire – ma è cosa risaputa – che neppure le figlie di re sono esenti dal pericolo di violenza e ricordare Tamar figlia del re David violentata da suo fratello. O potremmo fare memoria della giovane figlia di Iefte sacrificata da suo padre per un voto criminale fatto a casaccio per vincere una battaglia…

 

La Bibbia è vita vissuta, spesso intrisa di violenza, intrecciata con la presenza misteriosa di Dio. E la lettura e la meditazione della Parola è una sfida a comprendere questi intrecci, facendoci carico anche delle violenze descritte, senza forzature, senza tentativi edulcoranti, senza banalizzazioni.

 

 

 

Oggi vorrei proporre un altro racconto che si trova nel Vangelo di Giovanni al capitolo 8, parlare di una violenza sventata.

 

 

 

1 Gesù andò al monte degli Ulivi. 2 All'alba tornò nel tempio, e tutto il popolo andò da lui; ed egli, sedutosi, li istruiva. 3 Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna colta in adulterio; e, fattala stare in mezzo, 4 gli dissero: «Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. 5 Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?» 6 Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. 7 E, siccome continuavano a interrogarlo, egli, alzato il capo, disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». 8 E, chinatosi di nuovo, scriveva in terra. 9 Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. 10 Gesù, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» 11 Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; va' e non peccare più».

 

 

 

E’ un testo che è stato preservato nel Vangelo di Giovanni ma ci sono prove documentarie che sia stato inserito qui nel Vangelo in un secondo momento. Il primo versetto ci fa capire che l’ambientazione  originaria sia quella degli ultimi giorni della vita di Gesù, quando lui stava di giorno ad insegnare nel tempio e la sera si ritirava sul Monte degli Ulivi.

 

 

 

Scena prima. Gesù seduto a terra. La gente è seduta intorno a lui e lo ascolta. Arriva d’improvviso un gruppo di uomini vocianti che trascinano una donna e la gettano a terra vicino a Gesù. Uno di loro fa un’affermazione e pone una domanda a Gesù. L’affermazione è che la donna è stata colta in flagrante adulterio, il quesito è se lapidare la donna applicando alla lettera una antica legge oppure fare altro.

 

Ora a noi farebbe piacere forse conoscere un po’ di più di questa donna. Come si chiamava, se aveva avuto problemi con suo marito, se per esempio il marito la picchiava, la maltrattava, se questo episodio di infedeltà era stato occasionale o se c’era una relazione da tempo fra lei e il suo amante… A proposito vorremmo sapere anche dov’era sparito questo suo amante e vorremmo chiedere ai suoi accusatori, dato che l’adulterio si compie in due, come mai l’accusata era solo lei. Vorremmo inoltre sapere da chi formula una così decisa accusa se per caso si sia trattato non di adulterio consenziente ma di una violenza sessuale subita dalla donna. Insomma noi siamo gente civile abituata a cercare di capire la situazione e lasciare a chiunque sia accusato di qualcosa almeno la possibilità di difendersi, di discolparsi, di dare la sua versione dei fatti.     

 

 

 

Ma tutto questo non accade. La donna è letteralmente nella polvere. Loro tutti in piedi ed infuriati contro di lei e lei invece a terra come Gesù. A terra con Gesù. Al centro di un cerchio di uomini eccitati che hanno

 

già pronte nelle loro mani le grosse pietre per colpirla ed ucciderla. In un attimo un cerchio sostituisce un altro, si è fatto il vuoto intorno a Gesù. Ecco il cerchio di accusatori e al centro una donna gettata nella polvere e un uomo messo alla prova per poterlo accusare.

 

Gesù conosceva la situazione personalmente. Nel capitolo 7 dello stesso Vangelo per ben quattro volte si dice che i capi del popolo lo cercavano per ucciderlo, avevano già cercato di arrestarlo ma non ci erano riusciti.

 

 

 

Scena seconda. Non succede niente. La tensione si taglia con il coltello, Gesù non risponde, scrive qualcosa nella polvere. Non parla, non si esprime. Ma è incalzato, continuano ad interrogarlo. Allora dopo un lungo silenzio, non si alza in piedi, non parla con voce tonante, alza soltanto la testa e dice: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Poi  china la testa di nuovo e continua a scrivere nella polvere. Cosa è accaduto nel lungo silenzio? Cosa c’era in Gesù? Un tumulto di pensieri, sentimenti, emozioni che ha dovuto placare? La sua rabbia che ha dovuto controllare? Paura di essere lì al centro per terra, di finire lapidato con la donna accusata? Indignazione per la loro ipocrisia? Gesù tace e cerca nel profondo del suo cuore la forza per non reagire stendendo a sua volta su di loro il suo dito accusatore. Gesù avrebbe di che giudicare ma non sente questo essere il suo compito. Nella prosecuzione del capitolo dirà esplicitamente: “Io non giudico nessuno”. Nello stesso Vangelo al capitolo 3 aveva già detto: “Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.

 

Eccola la tentazione da vincere, rispondere al giudizio con giudizio, dito accusatore contro dito accusatore. Ma quel lungo silenzio serve a Gesù  per ritrovare il profondo contatto con lo Spirito Santo che lo aveva dichiarato figlio. E con la sua frase lui fa  lo stesso verso i suoi accusatori.

 

 

 

Scena terza. Tutti “udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi”. Questa volta l’invito di Gesù ai presenti di guardarsi dentro e sentire attraverso la propria coscienza il contatto con lo Spirito che comunica Dio che giudica ma anche ama e accoglie riesce. Ognuno nel silenzio del suo cuore vede la propria mano aprirsi e il cerchio accusatore si dissolve.

 

 

 

Scena quarta. Gesù resta solo con la donna accusata. Lui non ha accuse contro di lei, non fa indagini, non chiede approfondimenti. Il cerchio si è dissolto, gli accusatori sono andati. E Gesù le rivolge la parola, l’ascolta. Non guarda al suo passato, le indica soltanto un futuro libero da colpe vere o presunte. La donna si rincuora, va in pace.

 

 

 

Uno splendido lieto fine? Forse. Per quello che sappiamo sì, ma non sappiamo se altri cerchi, simili a quello che abbiamo visto, non si siano formati ancora intorno a lei, se la donna abbia poi davvero avuto la pace e la serenità per ricominciare a vivere senza marchi di infamia o fango incollati su di lei.

 

 

 

Noi viviamo oggi e siamo – come detto prima – gente civile che prendiamo posizione sulla base di inchieste e notizie certe! Ma è proprio così? Non ci sono cerchi di giustizieri sommari anche oggi? Non c’è ancora oggi la tendenza a chiudere in cerchi accusatori le donne o anche gli uomini che non rispondono ai canoni stabiliti dalla società delle persone per bene?

 

 

 

Oggi è una giornata che abbiamo dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne. Vi leggo un testo ormai datato. Era il 1978 e il contesto è quello di un processo per stupro. La vittima aveva soltanto 18 anni e si chiamava Fiorella. Il movimento delle donne si era costituito parte civile e questo è un piccolo stralcio dell’arringa dell’avvocata Tina Lagostena Bassi. Il processo si svolgeva a Latina:

 

 

 

“Presidente, giudici, credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi siamo presenti in questo processo come donne. Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una sentenza severa, pesante, esemplare, non ci interessa la condanna . Noi vogliamo che in quest’aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. (…) Questo è l’ennesimo processo che io faccio ed è la solita difesa che io sento: gli imputati svolgeranno la difesa che a grandi linee abbiamo già capito. Io mi auguro di avere la forza di sentirli – e non sempre ce l’ho, lo confesso -  e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme  portiamo. Perché la difesa è sacra e inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati si sognerebbe di impostare una difesa per rapina come si imposta  un processo per violenza carnale (…) Nessuno si sognerebbe di fare una difesa infangando  la parte lesa soltanto. (…) E allora mi chiedo perché, se invece di quattro oggetti d’oro l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza. E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in imputata si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare la donna venire qui a dire “Non è una donna di strada” (…) Io non sono difensore  della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza”.

 

 

 

Eccolo di nuovo questo cerchio accusatore. 1978. E dopo 40 anni le cose non sono cambiate molto. Non è forse ancora così che si tende a fare? Che la vittima diventa così facilmente la vera accusata? Si dice: non siamo più nel Medio Evo quando si mettevano a morte a migliaia donne innocenti con l’accusa di essere streghe solo perché dimostravano autonomia e intelligenza. Non siamo più nel Medioevo ma oggi,  sempre molto di più le donne che gli uomini, sono messe al centro e giudicate anche quando sono vittime di violenza. E non parlo tanto dei processi veri e propri ma soprattutto dei processi mediatici che sono processi sommari, superficiali, organizzati non per cercare la verità ma per fare audience, pubblicità, soldi. Per non parlare dei processi sui social dove grandi bugie scatenano grandi lapidazioni sommarie e manovrano il consenso. E persone senza sapere nemmeno come, sono scaraventate nella polvere dalla quale fanno una gran fatica a rialzarsi e a volte rimangono marchiati per sempre.

 

 

 

Il testo che abbiamo letto e meditato oggi ci porta in un’altra direzione. Il giudizio non è mestiere nostro. Se Gesù non fu mandato per giudicare ma per salvare, non lo siamo ancora di più noi. Gesù alla fine di questo capitolo 8 subì egli stesso un tentativo di lapidazione e i suoi detrattori ebbero poi la meglio e Colui che mai giudicò, fu giudicato e condannato. Giustizia sommaria, processo farsa, sobillazione della gente, trionfo della menzogna. Intanto di quello morì.

 

Stiamo attenti a quale delle due cerchie apparteniamo, a quella dei giudicanti e condannanti molto di moda oggi,  o a quella dei discepoli e delle discepole di un Gesù morto per la nostra incapacità di giudicare e risorto per aprirci gli occhi alla verità.

 

 

 

Quando ci prende la tentazione di giudicare abbiamo bisogno di restare in silenzio. Nel silenzio Dio ci parla, ci calma, ci perdona e riconciliandoci con noi stessi ci dà le parole per dialogare, orecchie per ascoltare,  e la libertà dei figli e delle figlie di Dio di vivere in pace.