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Sete di Dio

Testo: Salmo 63

Il salmo comincia con un’immagine in cui tutto è mancanza.
Se il deserto è la rappresentazione dell’anima, il paesaggio interiore appare immoto, senza aperture, senza futuro, senza appigli, senza niente, capace  soltanto di esprimere la propria desolazione.
E’ una preghiera che sgorga dal profondo, forse all’inizio è mormorata come da labbra screpolate,
articolata senza quasi fiato da una gola riarsa impastata di polvere.

O Dio, tu sei il mio Dio,  io ti cerco dall’alba…

La notte non è stata vinta ancora e getta la sua ombra su tutto mentre chi mette insieme queste parole nell’oscurità cerca, cerca Dio a partire da un bisogno bruciante, assoluto.
La mia anima è assetata di te,
il mio corpo anela a te, languente, in terra arida senz’acqua.

Chi ha messo insieme in un libro tutte le preghiere d’Israele ha messo come sovrascritta a questo salmo “Salmo di Davide, quand’era nel deserto di Giuda”. Che questo sia stato il contesto originario di questa preghiera è difficile stabilirlo, ma il redattore ha richiamato per questo salmo lo stato d’animo di un uomo braccato, in fuga da caverna a caverna, dietro ogni roccia in pericolo di vita.

Ma il deserto, il territorio reso desertico per la mancanza d’acqua è parte integrante dell’esperienza biblica.
E’ l’esperienza durata 40 anni vissuta dal popolo dopo la liberazione dell’Egitto. Gli anni della mancanza e della tentazione, ma anche gli anni della provvidenza di Dio e del totale affidamento su di essa per la vita, gli anni che restarono impressi nella memoria collettiva di Israele per sempre perché da accozzaglia di schiavi liberati diventarono un popolo, stretti fra loro e con Dio da un’alleanza eterna, una legge di libertà.
Per questo tempo difficile, difficilissimo in cui la stessa sopravvivenza era un’incognita ma anche allo stesso tempo, luogo mitico dell’assoluta dipendenza da Dio.

Ma l’aridità, i cieli chiusi e la mancanza d’acqua rappresentarono anche la realtà di vita quotidiana presente nella Bibbia anche tante altre volte. Forse ricorderete la grande siccità al tempo del profeta Elia e poi anche al tempo di Geremia (cap. 14).

Immagini drammatiche sono evocate quando nella Bibbia si parla di aridità, terra assolata e desolata, arida senz’acqua.
Nel caso di questo salmo però questa è una descrizione del paesaggio interiore di chi prega.
Dunque più che esprimere la siccità come fenomeno meteorologico, qui si rimanda all’esperienza  del bruciante desiderio che nasce dalla mancanza.
La mancanza di acqua è desiderio di acqua. Desiderio estremo, desiderio vitale. E’ il desiderio cioè che la vita prevalga sulla morte, drammaticamente annunciata dall’aridità.
L’anima è assetata, il corpo langue e soffre di questa aridità.

In che consiste l’esperienza della mancanza, dell’aridità dell’anima?
Ne parla Carlo Maria Martini attingendo alla sua tradizione e ne parla a lungo in un libro che mi è stato donato alcuni mesi fa. Il deserto nell’anima è quando l’anima è avvolta nel buio e perde l’orientamento, si chiede il perché di quello che sta facendo. E’ quando abbiamo un turbamento, o molti turbamenti che ci occupano la mente senza che riusciamo a dominarli. Quando la nostra anima è angosciata o distratta, ondivaga, attratta da una cosa e poi da un’altra, che non riesce a soffermarsi su una riflessione, un pensiero, un testo biblico, che non riesce a mettere le parole in ordine per una preghiera. Il deserto dell’anima è un disordine interiore che poi produce una sfiducia in noi stessi. Mentre tutto sembra andare all’esterno come sempre, noi e noi soli conosciamo il paesaggio lunare che portiamo dentro, un paesaggio  di desolazione, in cui anche i sentimenti più naturali sembrano avvizziti, in cui ci afferra una pigrizia spirituale, una rassegnazione, un’indolenza, mentre le antiche domande che si prendevano gioco di noi prima della nostra vita di cristiani fanno di nuovo capolino e stendono un velo di ombra su tutta la nostra vita interiore. E allora ci sentiamo falsi mentre preghiamo o cerchiamo di pregare e ci sentiamo in colpa per questa supposta falsità e duplicità d’animo.

Martini dice che questa è l’esperienza che prima o poi attraversano tutte le persone di preghiera. Egli la chiama “stato di desolazione spirituale”.  Dice: “In un modo o nell’altro tutti quanti dobbiamo passare per queste prove, attraverso le quali si purificano la nostra fede e la nostra speranza. Senza queste prove la nostra vita di preghiera rimane un gioco, un’avventura spirituale che ha una certa attrattiva, un certo gusto, ma che non ci porta a “sbattere” contro la dura realtà… Soltanto attraverso queste prove noi maturiamo, diventiamo adulti e, quindi, possiamo vivere la dimensione spirituale senza infingimenti nella sua rude concretezza. I primi tempi dell’avventura – la gioia e il gusto dello stare con Dio – sono una preparazione a questi passaggi bui e freddi” (da “Il sole dentro”, PIEMME 2016 pp.56ss).
Si tratta di momenti a rischio perché siamo tentati di cedere, di distaccarci dalla preghiera perché il mondo della preghiera non fa per noi e pian piano rischiamo di rassegnarci alla mediocrità.

Anche Bonhoeffer parla di questo sdoppiamento tra ciò che appare e ciò che sentiamo come realtà spiritualmente mediocre quando si chiede: Chi sono io?
 
Chi sono? Mi dicono anche
che i giorni porto della malasorte
imperturbabile, sorridente e fiero,
come chi è uso alle vittorie.
Davvero sono quello che altri di me dicono?
O son soltanto ciò che io so di me stesso?
Inquieto, nostalgico, malato, come un uccello in gabbia,
boccheggiante per un soffio di vita, come se mi strozzassero,
affamato di fiori, di colori, cinguettii,
assetato di buone parole, di calore umano,
tremante d’ira per l’arbitrio e la minima offesa,
tormentato dall’attesa di grandi cose,
invano trepidante per amici a distanza infinita,
stanco e troppo vuoto per pregare, per pensare, per fare,
fiacco e pronto a dire addio a tutto?
Chi sono? Questo o quello?
Sono forse oggi questo e domani un altro?
Sono entrambi al contempo? Dinanzi agli uomini un ipocrita
e per me stesso un debole piagnucoloso degno di disprezzo?
 

Bonhoeffer esprime la sofferenza di non sentirsi come appare e si sapersi spiritualmente debole, esposto al rischio della commedia.

O Dio, tu sei il mio Dio, io ti cerco dall'alba;
di te è assetata l'anima mia, a te anela il mio corpo
languente in arida terra, senz'acqua.

Il salmo esprime il desiderio struggente che viene dal desolante paesaggio interiore.
Il paesaggio comincia lentamente a schiarirsi quando chi prega volge il suo pensiero verso “il santuario”, il tempio.
Il tempio era un luogo fisico ma soprattutto il luogo dove la preghiera si esprimeva collettivamente, il santuario è la comunità che prega, che insieme cerca Dio. Il luogo dove risuona la Parola. Il salmista dice:

2 Così ti ho contemplato nel santuario,
per veder la tua forza e la tua gloria.

Il pensiero si rivolge alla fede vissuta insieme con gli altri. La fede degli altri sostiene la mia. La mia voce piccola flebile insignificante insieme alle altre fa un coro che canta la forza e la gloria di Dio e mentre canta ne fa esperienza. E’ la prima pioggerella che viene a lambire il cuore avvizzito e inaridito.
Quando non stiamo bene, ci manca tutto, ci manca Dio, quello che fa molto male è rinchiuderci, è dire: non sono venuta al culto perché non mi sentivo. E’ una tentazione, un pensare di farcela da solo o un arrendersi all’indifferenza e volgersi ai propri affari. Il salmista invece “contempla il santuario per vedere la gloria e la forza di Dio. Se contempli, vedi. Se volgi il tuo sguardo nella giusta direzione puoi sperare di vedere. E se cominci a vedere nelle prime luci dell’alba interiore qualcosa della forza e della gloria di Dio, allora puoi andare avanti e ricominciare a intuire che nella vita ci sono delle priorità:
Dice il salmista:
3 Poiché la tua bontà vale più della vita,
le mie labbra ti loderanno.
o secondo un’altra traduzione: il tuo amore è più dolce della vita.
Nel disordine interiore che regnava prima ricominci a ritrovare un ordine e in questa nuova impostazione di vita il primato va a Dio che ci avvolge con il suo amore.
A volte nell’esperienza spirituale questo primato di Dio è stato immaginato come in opposizione al nostro benessere, cioè se amo prima Dio rinnego me stesso, mi sacrifico per Dio. Questo può accadere, ci può essere chiesto, ma generalmente è vero l’esatto contrario: è ristabilendo le giuste priorità che ritroviamo anche la nostra vita nella sua pienezza. Le nostre labbra prima incrostate dall’aridità e incapaci perfino di parlare ritrovano la via della parola. E come Zaccaria che ritrova la parola dopo un lungo mutismo durato 9 mesi, anche noi ritroviamo insieme alla comunità la voglia di cantare, di lodare il nostro Dio insieme agli altri e alle altre.
4 Così ti benedirò finché io viva,
e alzerò le mani invocando il tuo nome.
5 L'anima mia sarà saziata come di midollo e di grasso,
e la mia bocca ti loderà con labbra gioiose.
La aridità era sete, mancanza, desiderio bruciante di Dio.
Il desiderio si volge al tempio, luogo di preghiera comune con altri fratelli e sorelle.
Il canto e la lode, insieme all’ascolto della parola di Dio, ristabilisce le priorità.
L’amore di Dio riprende il primato e questo primato ci restituisce la voce per lodare e la vita da gustare in pienezza insieme agli altri e alle altre.
E così dopo l’aridità e la sterilità facciamo l’esperienza della sazietà, di partecipare alla condivisione delle nostre ricche agapi, dove viviamo in pienezza di comunione, dove nessuno manca di niente, dove gustiamo la vita insieme come dono della bontà di Dio.

E allora anche quando scende la notte di nuovo non ne siamo più spaventati:
6 Di te mi ricordo nel mio letto,
a te penso nelle veglie notturne.
Il ricordo dei momenti di comunione, la memoria della contemplazione della gloria e della forza di Dio mi fanno compagnia, i pensieri non fanno più paura. Il ricordo risveglia la fiducia.
Infatti  richiamo alla memoria come sono stato/a già aiutato/:
7 Poiché tu sei stato il mio aiuto,
io esulto all'ombra delle tue ali.

Se sei stato il mio aiuto, lo sarai di nuovo!
Se nell’ombra ho temuto di essere risucchiato dall’oscurità per sempre, ho visto che questo non è accaduto.
Se Israele pensava di non uscire più dal deserto e non entrare più nella terra promessa, questo non è avvenuto!
Se Gesù stesso ha vissuto la tentazione nei 40 giorni del suo deserto, io ricordo pure che dopo quei terribili giorni egli fu ripieno della potenza di Dio (Luca 4, 1) e cominciò allora il suo ministero che cambiò il mondo.
Dunque c’è un ancora che ci salva e ci salverà sempre:
8 L'anima mia si lega a te per seguirti; la tua destra mi sostiene.
Noi stiamo attaccati a Dio, letteralmente aderiamo, stiamo incollati a Dio, come una bimba abbarbicata alla mamma, e lo seguiamo. Mentre lo facciamo Egli ci sostiene e ci sosterrà sempre.

A questo punto, come accade spesso nei salmi, c’è una parte in cui il linguaggio cambia e diventa imprecatorio.
9 Ma quanti cercano la rovina dell'anima mia,
sprofonderanno nelle parti più basse della terra.
10 Saranno dati in balìa della spada,
saranno preda di sciacalli.
Nell’armonia con Dio ritrovata e rivissuta nella comunità che loda Dio nel tempio, c’è tuttavia la coscienza continua che la vita del credente e della credente è segnata da un’inesorabile lotta contro il male che a volte si annida anche dentro di noi.
In questo senso comprendiamo queste parole così forti. C’è chi trama nell’oscurità per far trionfare la menzogna e oscurare la verità, c’è chi opera per mandare in rovina gli indifesi e i piccoli.
A questo Dio non è indifferente. Dio conserva ogni lacrima dei sofferenti in un suo otre e non dimentica il sangue versato.
In questa lotta difficile contro il male siamo quindi chiamati a prendere posizione. Nel momento dell’aridità spirituale possiamo  soccombere e farci risucchiare dall’indifferenza: A che vale resister? Vincono loro!
Ma Dio  prende posizione e anche noi possiamo e dobbiamo farlo dentro e fuori di noi.
Il salmo si conclude con un accenno al re che è per noi  il re messianico, il Cristo.
11 Ma il re si rallegrerà in Dio;
chiunque giura per lui si glorierà,
perché ai bugiardi verrà chiusa la bocca.

Questo salmo, come abbiamo visto, propone a tutti noi un itinerario spirituale.
Se ci troviamo  in una fase di stanchezza e di aridità spirituale, questo è normale, accade,  ma c’è una via per uscirne.
Volgiamo a Dio la nostra sete di vita, il nostro bruciante desiderio di genuinità, di verità, di integrità. Se siamo delusi da noi stessi, questo può anche farci del bene perché allora la nostra speranza non sarà posta in noi stessi, nella nostra onestà intellettuale, nella nostra spiritualità, ma nel solo amore di Dio, nella sua bontà che vale più della vita.
Ma non ci isoliamo, non facciamoci scoraggiare perché siamo delusi da noi stessi. Pensiamo a questo salmo, impariamolo a memoria. Dall’aridità spirituale di questo antico salmista è venuto fuori uno dei salmi più belli che la Bibbia conosce che ha spronato, incoraggiato, aiutato milioni di credenti.
Questo salmo ci fa anche ricordare una verità che con Gibran sintetizzerei così:
“Dio non ascolta le nostre parole se Egli stesso non le pronuncia con le nostre labbra!”.
Qui si esprime il misterioso intreccio che nella Bibbia, e non soltanto, esiste fra le parole umane e la parola di Dio: le parole umane diventano parola di Dio se Dio le pronuncia attraverso di noi. I salmi sono questo miracoloso intreccio di cui ognuno di noi che legge e prega diviene parte.


 

1 Salmo di Davide, quand'era nel deserto di Giuda.
O Dio, tu sei il mio Dio, io ti cerco dall'alba;
di te è assetata l'anima mia, a te anela il mio corpo
languente in arida terra, senz'acqua.
2 Così ti ho contemplato nel santuario,
per veder la tua forza e la tua gloria.
3 Poiché la tua bontà vale più della vita,
le mie labbra ti loderanno.
4 Così ti benedirò finché io viva,
e alzerò le mani invocando il tuo nome.
5 L'anima mia sarà saziata come di midollo e di grasso,
e la mia bocca ti loderà con labbra gioiose.
6 Di te mi ricordo nel mio letto,
a te penso nelle veglie notturne.
7 Poiché tu sei stato il mio aiuto,
io esulto all'ombra delle tue ali.
8 L'anima mia si lega a te per seguirti;
la tua destra mi sostiene.
9 Ma quanti cercano la rovina dell'anima mia,
sprofonderanno nelle parti più basse della terra.
10 Saranno dati in balìa della spada,
saranno preda di sciacalli.
11 Ma il re si rallegrerà in Dio;
chiunque giura per lui si glorierà,
perché ai bugiardi verrà chiusa la bocca