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Il lettuccio e la lettera

Di recente, in Giappone è stato pubblicato un libro che sta facendo parlare molto di sé. Si intitola “The vanished: The evaporated people”, cioè “Gli scomparsi. Il popolo degli evaporati”. Esso testimonia di un fenomeno non del tutto nuovo in Giappone, ma che, nella indagine fatta dagli autori del libro,  stupisce per la sua rilevanza numerica. Sarebbero non meno di 100.000 le persone in Giappone che decidono, anche con l’aiuto di una legge sulla privacy che lo facilita, di sparire. Non fisicamente, ma da un punto di vista amministrativo. Mi spiego meglio, se non ci sono ragioni penali che lo impediscono, le persone hanno facoltà di cambiare nome e città, in maniera da poter cominciare una vita nuova senza gli intralci del proprio passato.
Ma perché una persona dovrebbe avere questo desiderio?
La risposta sta nelle interviste fatte dagli autori a molti di questi “evaporati°”. In Giappone esiste una forte pressione sociale sul successo. Se la persona, anche per colpe non sue è andato incontro a delle sconfitte, ad un abbandono, ad una fine rovinosa di un matrimonio, alla perdita di un lavoro, pur di “salvare la faccia” è disposta a resettare il proprio passato. Facendosi aiutare da persone esperte, così chiamate “traslocatori notturni”, essi lasciano un posto, vanno a vivere altrove e assumono una nuova identità, legale, con la quale proteggersi da quanto accaduto che ha prodotto in loro vergogna.
Sarebbe interessante sapere, anche solo a livello di desiderio, quanti, nel nostro paese vorrebbero fare la stessa cosa, soprattutto se ciò fosse facilitato.
Per alcuni il passato diviene un peso insopportabile, specie se in esso ci sono segni di perdite, di sconfitte, di fallimenti, anche quando non si è responsabili di questi.
Questo articolo sul Giappone mi è venuto in mente mentre leggevo il testo di Marco.
Diciamo subito che in una lettura piana del testo, questo passato “pesante” è rappresentato dal lettuccio.
Quel lettuccio doveva rappresentare una condizione di lunga prigionia, per quell’uomo che vi era rimasto relegato dalla sua paralisi.
Probabilmente, quasi istintivamente, l’uomo, una volta guarito, avrebbe volentieri abbandonato quel lettuccio che era stato luogo oggettivo della sua umiliazione. Il testo non ci spiega per quale motivo al mondo quest’uomo aveva bisogno sia di essere guarito che di essere perdonato. E’ per la antica associazione tra peccato e malattia? O era perché era accaduto qualcosa a quell’uomo che lasciava intendere una sua responsabilità nella malattia? 
Se io vi dicessi che ho un tumore ai polmoni, so benissimo che nel corso della conversazione qualcuno finirebbe per chiedermi: “Ma tu sei un fumatore?”.
Voglio dire con questo che cerchiamo quasi istintivamente di cercare un nesso tra la patologia che ha colpito una persona e uno stile di vita sbagliato. Forse col segreto proposito di essere rassicurati che quella terribile malattia non avrebbe potuto colpire noi che non lo siamo.
Non lo sappiamo in questo caso specifico. Il testo, forse volutamente, non ce lo dice.
Gesù comunque guarisce e perdona. Ed è questa sua doppia abilità che fa esclamare gli scribi “Egli bestemmia”. Una accusa che spiega ciò che lo condusse alla morte.
Il lettuccio nella economia di questa predicazione di Marco, è la prova provata che Gesù lo ha guarito.
Nondimeno, riconosciamo che il significato secondario, ma non certo di inferiore valore per l’uomo guarito, è che la sua nuova identità, segnata dalla grazia, non annulla la precedente, ma la assume. La grazia non è un colpo di spugna, ma genera un profondo processo “trasformativo” che non rompe la continuità col presente.
Qui, secondo me, non è in gioco solo l’autorità di Gesù, ma anche il significato della resurrezione dei morti, per i cristiani. La vita nuova è veramente nuova, ma è anche in continuità con la precedente. Il nato di nuovo può ancora dire “io” in riferimento al peccatore, o al paralitico (o a entrambi) che è stato e tutto questo non “fa perdere la faccia”, ma costituisce una identità risanata, ricostruita, guarita, perdonata. Questi elementi costituiranno adesso una bellezza, un valore aggiunto, un motivo di lode per il singolo e di incoraggiamento per chi si trova ancora “bloccato”.
Il desiderio di “resettare” è a motivo di una società colpevolizzante ed efficientista, in cui ogni umana fragilità è considerata una vergogna.
Non è questa la nuova vita che ci propone il Vangelo. La persona perdonata, e sbloccata dalla grazia di Dio, come Paolo, può dire “per la grazia di Dio, io sono quel che sono”, anche quando sono stato un persecutore della chiesa e quindi indegno di essere chiamato apostolo…

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Tratto dal libro di Dacia Maraini “Dolce per sé”:
“Lo zio Edoardo sta su in camera a studiare” ho detto guardandoti saltellare allegramente. “Allora andiamo su”. E mi hai preceduta verso l’ascensore. Volevi essere tu, con le tue dita corte e grassottelle a pigiare il bottone nero, per poi osservare, beata, la spia rossa che si accendeva ad ogni piano.
“Gli facciamo una sorpresa?” hai detto. E sei andata avanti per aprire la porta di botto e urlare “Sono qui!”. Ma la porta della camere numero 38 era chiusa a chiave e tu hai storto la bocca comicamente. La sorpresa non era più possibile. Si sentivano al di là della porta chiusa le note aspre e soavissime del Preludio in mi maggiore di Bach. “Bussa con più energia” ti ho detto.
Hai bussato. Ma tuo zio non ti ha sentita perché il suono del violino copriva il tuo picchiare. Hai bussato ancora, con più forza e si è sentita la sua voce gridare: “Chi è?”.
“Sono la cameriera, c’è una lettera per lei” hai detto soffocando le risate. Si sono sentiti dei passi, una mano che girava la chiave nella toppa. E sulla porta è apparso il tuo bellissimo zio Edoardo, in pigiama, col violino in una mano, l’archetto nell’altra e con un sorriso sorpreso e felice sulla bocca. “Sono io la lettera!”, hai gridato abbracciandolo.

Eccolo  qui l’altro simbolo che la Scrittura ci offre per parlare della nuova vita che ci viene donata in Cristo Gesù. Prima il lettuccio che ci portiamo dietro come memo della nostra vita precedente, del nostro assoluto bisogno della Grazia e del perdono di Dio, ora la lettera.
“Sono io la lettera!”, urla felice la bambina abbracciando lo zio sorpreso e felice. Sono io la lettera!
E’ l’apostolo Paolo che usa questa metafora con la comunità di Corinto.
Era d’uso che i predicatori e i missionari accompagnassero la loro visita in una comunità cristiana con una lettera degli anziani e gli apostoli più conosciuti, che li presentava e li raccomandava. Paolo parlando alla comunità che lui stesso aveva fondato dice: “La nostra lettera, scritta nei nostri cuori siete voi, lettera conosciuta e letta da tutti. E’ noto che voi siete una lettera di Cristo, scritta mediante il nostro servizio, scritta non con inchiostro, ma con lo spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne”. Un capolavoro questa metafora!
Come anche la prima parte del sermone anche questa è dedicata espressamente a coloro che la prossima settimana daranno a noi e al mondo la loro testimonianza di fede mediante il battesimo.
Ecco, Paolo dice tre cose:
1.    Voi siete la lettera scritta nei nostri cuori.
2.    Voi siete la lettera di Cristo che noi consegniamo al mondo perché la conosca e la legga.
3.    Non siete una lettera scritta su tavole di pietra ma su cuori di carne, non con inchiostro ma con lo Spirito di Dio.

1.    Voi siete la lettera scritta nei nostri cuori.
Paolo amava ogni singolo credente della comunità di Corinto e lo dice: voi siete stati scritti nei nostri cuori. Ogni persona che viene alla fede, prima che questo avvenga è scritta nei cuori di   qualcuno, cioè è amata, curata da qualcuno. Se vieni da una madre o da un padre cristiano, stai certa che tu sei una lettera scritta nel loro cuore prima che tu ne avessi coscienza. Se sei cresciuta in questa comunità sei scritta nel cuore delle monitrici che ti hanno trasmesso la conoscenza delle Scritture e delle tante altre persone che ti hanno accompagnato costantemente con la loro presenza e  la loro preghiera. Se ti sei avvicinata alla fede da grande e hai conosciuto il Signore per la testimonianza di qualcuno o per la predicazione e l’insegnamento di qualcun altro è perché sei stata scritta o scritto nel cuore di qualcuno, prima di tutto, che con parole e con la vita ti ha testimoniato del Vangelo. Qualcuno qualche volta pensando a te o pregando per te non  ha dormito forse. L’amore scrive con inchiostro indelebile e la fede è trasmissione d’amore.
2.    Ma voi siete anche la lettera di Cristo che noi consegniamo al mondo perché la conosca e la legga.
Voi dal momento in cui avete preso coscienza della vostra fede e la confessate pubblicamente col battesimo siete voi stessi una lettera che noi tutti come comunità consegniamo al mondo perché attraverso di voi si legga di Cristo, del suo perdono, del suo amore, della nuova vita che in Lui abbiamo ricevuto. La vostra vita nelle piccole azioni quotidiane e nelle grandi scelte parlerà di Cristo, non alla chiesa o non solo alla chiesa ma al mondo intero. E’ una grande responsabilità, sì, immensa, alla quale non vi siete, non ci siamo sottratti. Ma non è opera nostra, no.
E arriviamo al terzo punto:
3.    Non siete, non siamo una lettera scritta su tavole di pietra ma su cuori di carne, non con inchiostro ma con lo Spirito di Dio.
Ciò che noi che siamo la lettera di Cristo diciamo al mondo non lo diciamo parlando di una legge esterna a noi stessi, non recitiamo un codice di comportamento, non riportiamo a memoria una dottrina. Noi parliamo il linguaggio dello Spirito che è presente, agisce e trasforma noi dall’interno. Non siamo noi a parlare, ma lo Spirito che parla per noi e in noi. Lo Spirito ci ricorda le parole della Scrittura ma ci dà anche parole nuove per parlare al cuore, lo Spirito parla con la lingua ma anche con gli sguardi, i gesti, le azioni. Lo Spirito parla dal cuore al cuore adattando parole spirituali a realtà spirituali.

Come quella bambina del libro della Maraini “siamo noi le lettere!”, le lettere viventi che Dio in Cristo, che lo Spirito di Cristo invia al mondo. Noi le lettere che qualcuno ha scritto e tenuto nel cuore prima che noi ne avessimo coscienza, noi le lettere che la chiesa consegna al mondo, noi, lettere di Cristo scritte con lo Spirito che ogni giorno ci rinnova, ci offre i suoi doni, e crea un linguaggio nuovo.
Domenica prossima,  7 di queste lettere saranno lette e consegnate dallo Spirito perché il mondo creda! Che Dio sia lodato e ringraziato per quello che ha fatto e farà in mezzo a noi!