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Ma mi ami davvero? La Risurrezione delle relazioni

Inutile nasconderselo: la dottrina della resurrezione dei corpi è la più incredibile per ogni essere umano sensiente. Non mi riferisco al risuscitamento di una persona mortale, come può essere stato Lazzaro. Un fatto clamoroso anche quello naturalmente. Ma comunque solo una guarigione che differisce solamente di poco o di molto quello che inevitabilmente poi capiterà.
Sto parlando di quella resurrezione che seminando un corpo corruttibile genera un corpo incorruttibile. Ciò di cui parla l'apostolo Paolo in I Corinzi 15, per intenderci.
Sentiamo allora, come sarà? Uno muore si degrada fino a divenire polvere, o viene cremato e ridotto in cenere, e poi, al suono dell'ultima tromba, che succede? I granelli di polvere vengono raccolti nell'aria, il processo biologico nuovamente riattivato, la medesima persona, con la sua memoria e la sua identità sarà ristabilita in una forma che non sarà più soggetta al degrado?
Questa è la resurrezione dei morti. Una vita, in cui certo non si stabiliranno semplicemente le stesse relazioni come si vivevano in precedenza, ma che sarà pur sempre una vita di relazione. Qui non si tratta semplicemente di uno sciogliersi nella materia cosmica, per ritornare a far parte del tutto, secondo quella formula che dice che nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma. Qui si parla di un ristabilimento, di un richiamare a vita. Gesù risorto mostra segni inequivocabili di questa identità, ad esempio nelle mani e nei piedi.
Come facciamo a crederci?
Lo crediamo perché crediamo nella parola di Gesù. Egli non mente. Ma se semplicemente si fosse sbagliato? Se nel gioco del paradosso di una vita che continua recuperando anche quanto di peggiore c'è stato nel passato, egli avesse esagerato, semplicemente superato la soglia della ragionevolezza?
Quanti cristiani veramente credono nella resurrezione dei corpi?
Eppure, dobbiamo riconoscere alla luce delle Scritture che chi non ci crede, semplicemente non è cristiano. Fa soltanto finta di esserlo.
Se, a questo riguardo non interviene la fede e ci aiuta a fare una salto qualitativo, non ci possiamo arrivare. Inutile cercare vie apologetiche di tipo storiche o scientifiche.  E perciò dobbiamo avere rispetto per quelli che non ci arrivano. Non esiste, fino ad oggi, nessun altra via, che possa portarci anche solo vicino a credere una simile cosa. Solo la fede può aiutarci e questa fede è un dono di Dio. La resurrezione conserva il suo significato scandaloso, non meno che la croce, riferita a Dio stesso.

Il testo che abbiamo letto, non si occupa di questo. Non prova a dimostrare la plausibilità della cosa. E' piuttosto un testo sugli effetti collaterali della resurrezione di Cristo.
Provo a parafrasarlo così: la resurrezione sarà pure quanto di più audace e azzardato i cristiani credano, ma del ristabilimento di relazioni d'amore andate a pezzi ne vogliamo parlare? Risuscitare una relazione distrutta appare non meno impossibile. Si guarisce da un rancore come da una grave malattia. Lo so qualche volta accade. Soprattutto se il danno è riparabile. Ma in altri casi i tradimenti, i rinnegamenti, le complicità con chi uccide e sopprime, restano scolpiti sulla pietra.
Cosa voglio dire? Che riconciliazione e il perdono, sono fatti della stessa sostanza delle resurrezione. Sono assolutamente necessari per vivere, ma semplicemente inimmaginabili. Fuori dalla nostra portata. E infatti molta parte dell'umanità vive senza fiducia nella resurrezione e senza nessuna speranza di riconciliazione.  Perdono e riconciliazione non rispondono semplicemente  alla volontà delle persone.  Non basta volersi riconciliare per farlo davvero. Perdono e riconciliazione non rispondono neppure semplicemente all'intelligenza. Puoi anche ragionare su quanto sia opportuno e perfino vantaggioso per tutti riconciliarsi, nondimeno puoi rimanere assolutamente incapace di farlo, anche se sei una scienziata.
Giovanni è l'evangelista delle relazioni. Il discepolo principale del Vangelo non ha un nome, ma è definito dalla relazione che ha con Gesù: “Il discepolo che Gesù amava”. Per lui si applica una analogia col nome stesso di Dio, egli ha un nome che non è un nome, ma che indica la relazione: Colui che è stato, che è e che sarà in relazione.
Ecco allora, spostiamo la riflessione sullo scandalo che è la resurrezione per noi dal piano fisico al piano spirituale e quindi sul terreno dello scandalo del conflitto, del rancore imperituro.

Gesù era stato rinnegato da Pietro. Lui lo sapeva da prima e glielo aveva anche detto, forse nella remota speranza che quell'avvertimento potesse scongiurare il rinnegamento. Pietro era l'uomo dei farò e dei dirò, ma al momento opportuno veniva meno e non una sola volta. Così nel momento più buio per salvarsi prese pubblicamente distanza dal maestro. Giurò e spergiurò: “Non conosco quell’uomo!”.
Come fu possibile? Quanto profondamente odiò se stesso Pietro per quello che aveva fatto! Le cose erano andate come erano andate. Sarebbero andate così in ogni caso, che potere avrebbe avuto lui e quel gruppetto di persone che gli erano amici? Come avrebbero potuto proteggerlo dai soldati di Pilato? Dalle guardie armate che erano venute ad arrestarlo? Quando aveva visto Giuda a capo di quel drappello infame era trasalito… ma lui era davvero diverso dall’altro? Lui si era ucciso per il senso di colpa, forse avrebbe dovuto anche lui fare la stessa cosa.
Che brutta fine, che fallimento! Gli bruciava a Pietro, gli bruciava dentro quel senso di colpa che – così pensava - si sarebbe portato in cuore per sempre. Le sue parole gli rimbombavano dentro, gli martellavano la coscienza. Senza posa.  Che uomo sono?  Indegno, incapace di tenere fede ai giuramenti, infedele fino alle midolla al solo uomo che lo aveva veramente capito, lo aveva veramente accettato per quello che era, lo aveva veramente e pienamente amato.
Oh Pietro… quanto ci somigli! Pieni di buoni propositi, piene le nostre parole di proclami fantastici e dichiarazione di principi e poi quando è il momento, coda fra le gambe e via, prendiamo le distanze, ci facciamo i fatti nostri.

Cosa pensavi Pietro quella mattina sulla spiaggia quando quell’uomo vi invitò a gettare la rete dal lato destro della barca?  Pensavi Pietro al fatto che le tue reti erano desolatamente vuote? Non avevi concluso niente né quella notte, né nella tua vita. Fallimento totale.
Ma quell’uomo aveva detto di gettare di nuovo le reti e tu e gli altri lo faceste, così per provare l’impossibile. A volta ti capita di provare l’impossibile. In quel momento non ti eri ricordato che la prima, proprio la prima volta che avevi visto Gesù, era stata sulle rive dello stesso lago e anche quella volta lì non avevi preso niente. Così solo quando di nuovo le reti si riempivano quasi da rompersi ricordasti e fu in quel momento che riconoscesti Gesù in quell’uomo misterioso. Mangiaste insieme quella mattina. Tutti zitti, anche tu. Zitto e pieno di vergogna. Sapevi che era lui, perciò ti vergognavi come un ladro. Di più, come un traditore.
Poi Gesù volle parlare proprio con te, a quattr’occhi, faccia a faccia e ti aveva rivolto quella domanda: Simone di Giovanni, mi ami tu? Cosa dovevo risponderti. “Tu lo sai che ti voglio bene”. Non so perché dissi “Tu lo sai”. Gesù non lo sapeva che gli volevo bene. Come può uno che vuole bene rinnegare la persona migliore al mondo? Eppure gli dissi proprio così. “Ti voglio bene! Tu lo sai!”. Me lo chiese ancora. Ecco, non ci credeva! Come spiegarglielo che gli volevo bene davvero? Non sapevo, così dissi di nuovo “Tu sai che ti voglio bene!”. Non avevo neppure il coraggio di guardarlo negli occhi. Lui mi disse di nuovo una frase che mi aveva già detto la prima volta: “Prenditi cura delle mie pecore!”. Però ancora mi chiese se gli volevo davvero bene. Questa volta alzai gli occhi e incrociai il suo sguardo mentre gli dicevo “Signore tu sai tutto. Tu lo sai che ti voglio bene”. Avrei voluto aggiungere, sì ho fatto quello che ho fatto, ti ho rinnegato perché sono stato un vigliacco, sì lo so che non merito neppure di stare qui di fronte a te… ma quando ho visto come mi guardava ho capito che non voleva accusarmi, voleva soltanto sapere se davvero gli volevo bene. Aveva voluto vedermi da solo, aveva voluto farmi sapere che mi perdonava, voleva confermarmi quello che mi aveva detto quel primo giorno:  “Ti faccio pescatore di uomini”. Oggi mi stava dicendo: “Prenditi cura delle mie pecore”.
Lui era il buon pastore capace di amore grande. Amore e perdono grande. Io capii che a quella fonte di amore e perdono grande potevo abbeverarmi di nuovo e di nuovo. Perché mi amava.

Tre volte lo aveva rinnegato, Pietro, e per tre volte Gesù gli offrì perdono. "Mi ami tu?"
Il vaso era caduto, ed era andato in mille pezzi. Non era stato un incidente. Pietro lo aveva lasciato cadere col suo rinnegamento. E chi può restituirlo allo stato iniziale? E se anche provassi ad incollarlo che speranze avresti che non ne risulti qualcosa di goffo, assolutamente incapace di reggere il tempo e il più piccoli degli urti?
Gesù raccoglie ogni singolo frammento, ogni singola molecola di quella materia spirituale che componeva il rapporto tra lui e il discepolo. Egli rigenera il vaso non semplicemente allo stato iniziale ma ad uno più alto. Egli non ripara il vaso, ma lo ricrea e permette all'amore di passare dalla "filia" alla perfezione dell'"agape" che comprende  il completo dono di sé. 

Gesù risorto, risuscita la relazione. Egli è capace di resurrezione perché ha il potere di ristabilire  le relazioni. In questo, oltre che nelle mani e nei piedi, il crocifisso e il risorto si dimostrano la stessa persona, nella "identità" del perdono: Padre perdona loro...

Cosa significa tutto questo? Significa che la più grande analogia che può aiutarci a capire qualcosa della resurrezione di Cristo, è il ristabilimento della pace. Chi fa pace, chi perdona, chi è capace di chiederlo, ma soprattutto chi è capace di riceverlo come un dono di Dio, può comprendere nel profondo qualcosa della resurrezione dai morti. Per gli altri il mistero resta, anzi resta l'assurdo.

Buona Pasqua dunque, nel segno del perdono, dell'agape, dello shalom. Esercitiamoci personalmente, comunitariamente, come nazione a questa pratica di pace e vedremo stabilirsi in noi la fiducia nella vita nuova di cui la resurrezione è cifra.