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“Voi avrete in me un’occasione di caduta”

“Voi avrete in me un’occasione di caduta” (Matteo 26, 31-32)

Nella Scrittura il problema della prova della fede o della tentazione è affrontata in molti modi e con linguaggi diversi. Nella stessa Bibbia uno stesso episodio di tentazione può essere attribuito a Dio una volta e a Satana un’altra volta (confronta 2 Samuele 24, 1 e I Cronache 21,1), cosa che ovviamente poteva passare inosservata quando non circolavano nello stesso volume le due diverse versioni ma che invece lascia noi lettori della Bibbia un po’ disorientati. Quando leggiamo il prologo del libro di Giobbe viviamo lo stesso disagio quando vediamo che Satana suggerisce a Dio di mettere alla prova, una durissima prova, la fede di Giobbe e Dio acconsente con conseguenze inenarrabili per il pover’uomo. E’ chiaro che quello della nostra fede messa in pericolo da pensieri da noi stessi partoriti o da suggerimenti di terzi è stato sempre sentito come un problema. Nella storia di Genesi 3 c’è una proibizione, quella di Dio di mangiare il frutto dell’albero del bene e del male e poi il suggerimento astuto del serpente di provare a mangiare proprio quel frutto per vedere l’effetto che fa. Nel capitolo successivo due fratelli offrono ciascuno un dono al Signore. Il fatto che un dono sia da Dio più gradito dell’altro dà la stura al primo omicidio, che è un fratricidio. In questo caso c’era stato anche un avvertimento da parte di Dio, una voce che invitava Caino a non trasformare la sua frustrazione in omicidio. Ma l’omicidio si consumò lo stesso.
Le domande su queste questioni che ci riguardano tutti sono profondissime: perché la tentazione? Chi è all’origine della prova cui siamo sottoposti? Dio? Satana? E chi è Satana, un anti-Dio? Una creatura di Dio stesso? Una figura simbolica che rappresenta il male quando assume una sua autonomia e una sua forza? Oppure siamo noi stessi a creare le tentazioni con le nostre debolezze? E’ Giacomo (1, 13-14) che lo afferma in un testo molto moderno: “Nessuno quando è tentato dica: ‘Sono tentato da Dio’; perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno; invece ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce”.

Anche il testo che abbiamo oggi davanti conosce due versioni un po’ diverse, quella di Matteo che suona come abbiamo letto: “Questa notte voi tutti avrete in me un’occasione di caduta” lasciando nel vago l’identità di chi crea tale occasione di caduta. E quella di Luca che scrive invece: “Simone, Simone, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te perché la tua fede non venga meno”.
Un medesimo intreccio è espresso nell’episodio della tentazione di Gesù. E’ vero che chi tenta Gesù nel deserto è Satana ma è lo Spirito a condurre Gesù nel deserto “per essere tentato dal diavolo” (sempre nella versione matteana)!
Da questa ambivalenza non si scappa neanche nella preghiera che Gesù stesso ci insegna che recita: “Non ci indurre in tentazione” o, secondo la versione da noi preferita: “Non ci esporre alla tentazione”, versione quest’ultima che cerca di tenere Dio fuori dalla tentazione vera e propria ma che lascia a Lui la possibilità di non metterci in contesti pericolosi.
Cos’è questo intreccio spurio, perché questa incertezza?

La compresenza di soluzioni diverse all’identico problema ci deve, in primo luogo, rendere umili. Noi dobbiamo riconoscere che a volte le cose sono complesse, “noi vediamo in parte e in parte profetizziamo” come dice Paolo in I Corinzi 13. Noi non possediamo tutta la conoscenza e non possiamo racchiudere la verità di Dio in proposizioni dogmatiche infallibili ed inflessibili. Non ci è dato. La pluralità di voci e di soluzioni già nella Scrittura stessa ci indica la strada dell’umiltà e per questa strada dobbiamo camminare. L’umiltà dei discepoli che non diventano mai maestri. L’umiltà di chi ha da imparare e da cercare per tutta la vita. L’umiltà di chi sa che le proprie risposte faticosamente formulate devono fare spazio a nuove domande. Ogni giorno. Tutti i giorni della nostra vita.

La seconda indicazione che viene a considerare con onestà questo difficile enigma è che la domanda su chi mette alla prova la nostra fede, la nostra fedeltà a Dio, sembra non sia la cosa più   importante.
Se è Dio che mette alla prova la nostra fede (come fece chiedendo ad Abramo di sacrificare Isacco, per esempio), chi siamo noi che pretendiamo di contestare Dio? Ne parla Isaia in questi termini: “Il vasaio sarà forse considerato al pari dell’argilla al punto che l’opera dica all’operaio: ‘Egli non mi ha fatto’ ? Al punto che il vaso dica al vasaio: ‘Non ci capisce nulla’?”. Dunque se Dio ci chiede fedeltà pur nell’apparente contraddizione, siamo fedeli!
Se invece fosse Satana a metterci alla prova con i suoi suggerimenti interessati, noi possiamo pregare di discernere la volontà di Dio in quella situazione e comunque di resistere a quei suggerimenti che ci allontanerebbero da Dio e dalla sua volontà.
Se è la “nostra concupiscenza” a tentarci, come dice Giacomo, bene, allora la proposta è a non farci dominare da quei nostri desideri egoistici, centrati sul nostro bisogno, sui nostri desideri di prestigio e di potere, di sopraffazione, di auto glorificazione.
Quello che voglio dire è che biasimare Dio non è alla nostra portata e accusare Satana come il responsabile delle nostre cadute è un tentativo spesso maldestro di scrollarci di dosso responsabilità che sono invece proprio nostre.

Ognuna di queste ipotesi ha i suoi punti forti e i suoi punti deboli. Se è Dio a metterci alla prova, anche attraverso sofferenze e dolori, perché lo farebbe? Se lo è, la sua sovranità è salvaguardata nel bene e nel male, ma questo non metterebbe in crisi l’idea stessa della bontà di Dio? Se si attribuisce a Satana l’iniziativa della tentazione e del male, si lascia fuori Dio e questo è un bene, ma solo in parte perché ci chiediamo perché Dio gli lascia questa libertà? Se è soltanto la nostra natura di peccato a condurci in tentazione, questo lo capiamo, è lampante nella nostra esperienza ma allora perché Dio ci ha creato così? E poi ci sono cose che accadono e ci mettono in crisi che proprio non dipendono da noi. Non ne usciamo…

Questo stesso inestricabile groviglio è presente anche qua, proprio nel cuore dell’Evangelo. E’ un groviglio che possiamo esplorare e dobbiamo farlo con umiltà, occhi bassi e piedi nudi, consapevoli che siamo alla presenza di un mistero che mentre si svela a noi, rimane anche in parte nascosto. Gesù dice: “Voi avrete in me un’occasione di caduta; perché è scritto: ‘Io percoterò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse’”. L’uso di questa antica profezia di Zaccaria in questo contesto darebbe a Dio la responsabilità della sofferenza di Gesù: Dio, Colui che percuote il pastore, Gesù, Colui che è percosso. Ma noi sappiamo bene che la responsabilità storica di quella morte – qui i Vangeli sono molto chiari -  fu di chi aveva complottato e  operato perché Gesù fosse messo fuori gioco, i capi dell’esercito di occupazione e i potentati locali, con la complicità di tutto il popolo. Complicità in principio ancora più ampia: “Tutti hanno peccato, avrebbe poi detto Paolo, e sono privi della gloria di Dio”. Dunque la volontà di Dio non c’entra, c’entra il nostro peccato. Eppure misteriosamente c’entra. Oh quanto c’entra! C’entra come volontà di salvezza. Ma in che modo la volontà di salvezza di Dio c’entra con le conseguenze del nostro peccato non ci è dato conoscere.
Nel nostro testo Gesù dice ai suoi discepoli che la tempesta che sta per investirlo farà vacillare e cadere tutte le loro certezze, tutte le loro speranze. Rischierà di far crollare la loro fede in Lui, farà confondere nella loro mente e nel loro cuore tutto quello che pensavano di aver capito vivendo accanto a Gesù. La croce sarà il punto più basso della loro fede in Lui. Uno di loro lo tradirà, Pietro lo rinnegherà e gli altri l’abbandoneranno.“Sarete dispersi”, vagherete come pecore senza guida, indifesi, preda di lupi e sciacalli. Dispersi e quindi persi.

Fermiamoci un attimo qui, fratelli e sorelle.
Questo testo ci dice che è una realtà che la nostra fiducia in Dio, la nostra integrità di figli di Dio, la nostra fedeltà e la nostra ubbidienza siano messe alla prova molte volte nella nostra vita.
Noi non sappiamo perché è così, ma è così. Possiamo certo rifletterci e balbettare qualche ipotesi, sapendo che ogni risposta non può che aprire altre domande. Le risposte provvisorie che vi propongo sono essenzialmente due.

1.  Dio consentendo che la nostra fede sia messa alla prova non gioca con noi, non si diverte alle nostra spalle ma vuole che noi siamo liberi di essergli fedeli lasciandoci quindi anche la possibilità di tradirlo. Non ci impone la sua presenza nella nostra vita ma sta alla porta e bussa. Essere messi alla prova è poter fare delle scelte, essere posti davanti a dei bivi. La nostra vita è così: affrontare dei bivi. Dio non è neutro, anzi fa il tifo per noi perché scegliamo di seguirlo, di amarlo, di essergli fedeli. “Un bambino può essere costretto a baciare una persona – dice Eduard Schweizer – ma c’è amore in quel bacio soltanto se il bimbo è libero di rifiutarsi. Per questo il padre della parabola del figliuol prodigo non chiama la polizia per riportare il figlio a casa e non manda i suoi servi per costringere il figlio maggiore  a partecipare al banchetto, ma alla fine della parabola, inerme,  rimane fuori con lui cercando con parole d’amore di convincerlo ad entrare”. L’amore non è un’imposizione indiscutibile, deve essere soggetto a dubbio, richiede decisione. Dice ancora Schweizer: “Un Dio che invariabilmente appaga i desideri degli umani sarebbe una macchina. Pertanto non soltanto il bene ma anche il male, anche Satana, è un agente di Dio ma soltanto nel senso che Satana rimane soggetto a Colui il  quale, nel senso più profondo della parola, è buono per l’umano”.

2. La seconda risposta del perché la vita nostra è percorsa da difficoltà che mettono alla prova la nostra fede è che Dio ha bisogno di persone dalla fede temprata, da una fede che non vacilla al primo colpo di vento, da una fede che nel tempo fa anche tesoro dei propri fallimenti per affidarsi alla misericordia di Dio. A volte infatti per fiaccare la nostra presunzione e il nostro orgoglio spirituale abbiamo bisogno di provare il morso acuto del fallimento per affidarci di nuovo totalmente alla Grazia di Dio e al suo perdono. Questo riconoscimento, questa memoria ci rende a nostra volta più misericordiosi e meno spietati rispetto agli errori degli altri.

Dunque non serve a granché chiederci chi sia all’origine di ciò che ci fa vacillare. A volte possiamo risalire a qualcuno che ci sembra sia all’origine della tempesta che ci raggiunge. A volte essa ci travolge senza che possiamo individuare un colpevole da additare. Altre volte siamo noi stessi la fonte dei nostri guai.
Quello che ci viene chiesto in quel momento è rimanere fedeli, rimanere integri, rimanere in piedi, rimanere noi stessi, come figli e figlie di Dio.

3. E aggiungo  ancora una terza cosa, una cosa di cui sono profondamente convinta e cioè che rimanere fedeli a Dio nella prova, confrontati con il bivio scegliere di continuare la nostra strada accanto al nostro Signore è quello che per prima cosa fa bene a noi, perché Dio è amore e vuole il nostro bene, sempre e solo il nostro bene, anche se in quel momento non ci appare così chiaro.

Ultima tappa: nel nostro testo Gesù non soltanto avverte i discepoli della tempesta che li travolgerà, ma dà loro una prospettiva di superamento: “Ma dopo che sarò risuscitato vi precederò in Galilea”. C’è un dopo la tempesta e in questo dopo Gesù ci precede e ci aspetta. Il dopo in quel caso era la realtà della risurrezione, il nuovo giorno quando la tempesta (con tutti i fallimenti, gli abbandoni e le infedeltà) è passata e il sole brilla nel cielo incontrastato. In ogni tempesta c’è sempre un dopo che appartiene a Dio e appartiene anche a noi se rimaniamo aggrappati a Lui. 
Dio promette e mantiene. Dio è fedele anche quando noi vacilliamo. Dio ci aspetta sempre perché non si è mai allontanato da noi, anzi quando pensavamo che fosse più lontano, non era mai stato tanto vicino. Questo ci dice la storia di Gesù morto sulla croce per i nostri peccati, risuscitato per donarci un giorno nuovo, una speranza che illumini il nostro cammino. Oggi e anche domani.