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Mescolanze

Testo: Luca 14, 1-24

Ci è molto caro il racconto di Genesi 1, il racconto in cui Dio si fa inventore, in cui tutto è creato con la parola. Dio disse “Sia luce e la luce fu. Dio vide che la luce era buona. Dio separò la luce dalla tenebre. Dio chiamò la luce giorno e le tenebre notte. Fu sera, poi fu mattina. Primo giorno” (Gen 1, 3). Parole di poesia. Parole di pensiero. Parole di fede. Parole che allargano la mente e fanno immaginare infiniti spazi… L’opera di Dio è cominciata…
E l’opera di Dio continua giorno  dopo giorno, parola dopo parola. Dio crea separando la luce dalle tenebre, le acque dalle acque, i mari dall’asciutto. Separando crea lo spazio per le piante, quelle acquatiche e quelle terrestri, poi gli animali, i pesci, gli uccelli, gli anfibi e poi man mano tutte le creature fino all’umano. Maschio e femmina li creò. Un affresco brulicante di vita. Il sabato poi Dio si ferma e considera la sua opera immensa ed ecco era tutto molto buono!

In questo fare con la parola, in questa operazione cosmica Dio crea in primo luogo separando. Ed è giusto. Possiamo capirlo bene soprattutto come mamme e nonne, ma anche come papà di bambini o giovani adolescenti. Spesso quando entriamo nelle loro stanze comprendiamo bene l’immagine del caos primordiale e il principio ordinatore è anche per noi la separazione: il calzino dal maglione, il cappello dai resti di pizza, il quaderno dal carica batterie e così via. Si separa per capirci qualcosa. Ecco che sperimentiamo anche noi la separazione come principio ordinatore. E quando la difficile operazione finisce, dopo una bella spazzata, possiamo guardare l’opera compiuta, riconoscere la stanza, sederci, riposare ed esclamare: Ora sì che è tutto molto buono!

Soltanto un parallelo scherzoso ma utile a farci capire che la separazione è davvero un principio ordinatore in alcune circostanze. E quest’idea si fa spazio e attraversa anche una parte consistente della Bibbia. E una parte della legislazione mosaica è forgiata dalle leggi di purità che sono leggi basate sulla separazione. Separazione del puro dall’impuro, separazione del sacro dal profano. Dunque leggi alimentari che consentono di mangiare carne di animali puri e proibiscono quelli impuri. Il maiale per esempio ma anche quei pesci che non hanno pinne né squame, come cozze, anguille e polpi. Stesso principio di separazione anche fra i tipi di tessuti che non vanno mescolati. Cotone e lana per esempio. Ma poi altre leggi dividono anche le persone sane da quelle malate, quelle affette da alcune malattie sono rese impure e inadatte a qualsiasi atto che abbia che fare col sacro. Domenica scorsa abbiamo richiamato un esempio di questo, la donna che aveva frequenti emorragie  e in uno studio biblico abbiamo parlato dell’allontanamento dal popolo di Dio degli eunuchi, per non parlare dei lebbrosi. Il principio di separazione diviene un principio chiave per interpretare tutto: “Siate separati per me perché io, il Signore, sono separato (santo) e vi ho separati dagli altri popoli perché foste miei” (Lev 20, 26). Separazione è identità. E distinguersi dagli altri popoli non era facile specie durante l’esilio e poteva essere anche molto pericoloso marcare questa differenza. Così quando Israele tornò dall’esilio in Babilonia  il bisogno di identità e di separatezza dagli altri popoli divenne una vera ossessione (vedi Nehemia 13, 3). Così le leggi di separazione diventarono la principale preoccupazione delle persone molto religiose.
Si divideva la società fra credenti rigidamente osservanti  delle leggi e tutti gli altri, fra mestieri considerati ok e altri guardati con sospetto. Fra gente per bene, rispettata e stimata e gente disprezzata e messa ai margini. Ai tempi di Gesù c’era un gruppo i “Perushim” (cioè i separati), i farisei, un gruppo formato da laici che obbedivano a tutte le più piccole prescrizioni, anche quelle riservate solo i sacerdoti. Loro non volevano mescolarsi con nessun altro.
Siccome, come detto domenica scorsa, ci stiamo preparando alla domenica dell’accoglienza, domenica nella quale chi di noi vorrà o potrà aderire inviterà qualcuno a casa sua a pranzo o a cena, qualcuno che non invita di solito, ci soffermiamo sulla questione della condivisione dei pasti.
Noi certo siamo cristiani e non ebrei e per noi le leggi di purità non sono più in vigore, allora il rischio è pensare che non abbiamo nulla di imparare. Ma è proprio così?

Vediamo. Nei Vangeli – ma in tutta la Bibbia veramente -  la condivisione  dei pasti, la commensalità,  è molto molto importante. Mangiare insieme aveva importanza sociale e anche aspetti di sacralità. Dobbiamo limitarci ai soli Vangeli e qui sono narrate ben 15 occasioni in cui Gesù è a tavola e non è davvero poco in scritti in fondo così brevi. E poi ci sono le parabole che spesso raccontano di occasioni di pasti comuni o pasti negati. Quando Gesù pensa di lasciare un memoriale di se sesso sceglie un contesto conviviale, quella della cena della pasqua ebraica. Non può essere un caso! Questo ci fa capire come questo tema sia molto centrale.

Gesù amava la tavola tanto da essere apostrofato con un mangione e un beone (Luca 7, 34), spesso parlava con la gente a tavola, proponeva riflessioni, annunciava il perdono di Dio, insegnava e guariva anche. A tavola veniva criticato e giudicato, a tavola accolse perfino le carezze di una pubblica peccatrice e a tavola svelava spesso i cuori e le intenzioni. Non sceglieva i suoi commensali Gesù. Accettava inviti da pubblicani (es. Levi e Zaccheo, capo dei pubblicani di Gerico) ma anche da stimatissimi farisei. 

Dunque l’occasione della condivisione dei pasti non va mai sottovalutata.
E’ proprio e soprattutto nella scelta di parole e gesti, nella decisione di non escludere nessuno dalla sua mensa che Gesù ci dice che la separazione è sì un principio ordinatore ma quando questo principio ordinatore arriva ad offuscare la sovranità di Dio e la sua misericordia diventa un principio disumanizzante.

Ecco, venerdì scorso alla giornata mondiale di preghiera che abbiamo condiviso con sorelle e fratelli di chiese diverse   abbiamo ricordato che  durante un pasto a casa di un fariseo molto in vista Gesù abbia svelato alcuni fondamenti del suo messaggio. E’ il testo che abbiamo letto. Gesù fu in quella occasione un ospite sotto sorveglianza attenta da parte dei convitati. Egli guarì un uomo di sabato sfidando le critiche implicite e offrendo un’altra versione della sacralità del sabato dicendo che tutti i giorni Dio è pronto a salvare e guarire. Poi osservando come gli invitati cercavano di mettersi in mostra accaparrandosi i posti più in vista offrì il suo punto di vista capovolto dicendo che gli ultimi sarebbero stati primi e chi si innalza sarebbe stato umiliato e chi si abbassa innalzato.   Poi parlò al suo ospite consigliandogli di non invitare i suo pari, solo i sui amici, ma di aprire la sua mensa a chi non sarebbe stato in grado di ricambiare. E abbiamo considerato che questo consiglio sovvertiva completamente la logica della convivialità che ha le sue regole non scritte. I pasti erano e sono lo specchio della società e gli inviti seguono il principio dei pari rango e dello scambio. Inviti chiusi, esclusivi per rafforzare il legame del gruppo di appartenenza, per nutrire la propria identità, la propria purezza, per evitare contaminazioni. Nessuna mescolanza. Ecco perché Gesù era in quella occasione un sorvegliato speciale, sotto la lente della critica e del giudizio. Gesù era stato invitato ma non era dei loro e pur essendo un rabbino molto famoso era un provinciale. Soprattutto aveva amicizie riprovevoli e impure. Inoltre c’era un forte pregiudizio nei suoi confronti che poi uno di loro avrebbe esplicitato in un'altra occasione: “Investiga e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!” (Giov 7, 52).
Essi avevano una certezza: dovevano separarsi dagli altri. Essere santi perché Dio era santo. Per loro corrispondere alla separatezza di Dio, alla sua santità era tutta nella ritualità, nell’osservanza delle prescrizioni esteriori. E separandosi si sentivano superiori.
Ha scritto l’esegeta Tom Wright in un commento a questo brano:
“L’orgoglio, il vanto è la grande nube che oscura il sole della generosità di Dio. Se io ritengo di meritare il favore di Dio, non soltanto dichiaro che non ho bisogno della sua grazia, della sua misericordia e il suo amore ma sostengo anche implicitamente che chi non la merita non dovrebbe riceverla. Gesù ha trascorso tutta la sua vita per squarciare  quella nube e portare il nuovo sole della guarigione a coloro che vivevano in quell’ombra.”
Da: “Luke for everyone” SPCK  2001 pp. 175-176.

Ed è così. Gesù aveva un altro approccio alle cose e alle persone. Lui riteneva che Dio guarda al cuore e soprattutto che Egli è alla ricerca di quelli che la società dei santi e dei puri consideravano perduti e per questo non davano loro alcuna importanza. Lui, Gesù, era quel servo della parabola che abbiamo letto che andava a cercare gente che si nascondeva e viveva lontano da templi e sinagoghe, nelle periferie, consapevoli della loro indegnità.
Gesù era il servo del generoso signore che aveva preparato un grande e ricco banchetto e invitato tutti. Proprio tutti: una grande colorata mescolanza. Qualche versetto prima Gesù aveva detto: “E ne verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno, e staranno a tavola nel regno di Dio”( Luca 13:29).
Noi avremo il 31 marzo la grande  domenica dell’accoglienza. Ognuno di noi che potrà inviterà qualcuno a pranzo o a cena, qualcuno che non frequentiamo di solito. Romperemo gli schemi. Sarà un pasto diverso in cui ci sarà un’inedita mescolanza. E sarà una grande occasione per raccontare e raccontarsi. Per allargare la nostra cerchia di amicizie, per superare le separatezze, per aprire brecce nella solitudine di qualcuno. Per farci più prossimi a chi magari abita a qualche metro da noi ma che non conosciamo. Fare come Gesù…
Ma pensandoci bene, Gesù che è stato invitato a pranzo tante volte non ha mai invitato nessuno. Non ha potuto, ci pensate? Non aveva una casa! Avere una casa da abitare è un grande privilegio. I pasti che Gesù ha presieduto e che ha benedetto sono stati pochi. Due volte  era su un grande prato e ha spezzato, benedetto e condiviso pochi pani e pochi pesci – neanche suoi -  per moltissime persone. L’altra volta fu anche l’ultima. Quando in un locale preso a prestito ha celebrato la festa della libertà e ha condiviso se stesso spezzando il pane e passando a tutti il calice di vino. Aveva detto che da tempo aveva desiderato ardentemente di mangiare quella pasqua con i suoi discepoli prima di soffrire (Luca 22,15) e aveva offerto se stesso nel pane e nel vino a tutti quelli che erano lì con lui. C’erano tutti, traditore compreso. Quella volta aveva detto: “Tutto è pronto” e sarebbe stata l’ultima volta prima dell’avvento del Regno.
Cosa abbiamo fatto di questo memoriale? Per secoli siamo caduti in un tranello: abbiamo trasformato il pasto della comunione in pasto dei pari rango. Pasto dell’identità e quindi della separazione. I cattolici con i cattolici, i protestanti coi protestanti, i battisti con i battisti, gli ortodossi con gli ortodossi. Non più divisioni sociali ma confessionali. Con ogni migliore intenzione ma dobbiamo riconoscere che questo è molto triste. Qualche settimana fa qualcuno ha preso l’iniziativa e ha voluto rompere questo schema di divisione e una comunità cattolica ci ha invitati espressamente a celebrare l’eucaristia con loro. Un gruppo di noi ci è andato e l’abbiamo fatto. La prima volta qui a Milano Siamo stati trasgressori? Forse. Ma siamo stati bene! Con le nostre rispettive esperienze umane e confessionali abbiamo goduto di una forte e vera comunione. Gesù, quello senza casa, ci ha detto: “E’ tutto pronto!” Era pronto da secoli! E noi abbiamo accettato il suo invito. E’ stato bello!!!! Noi tutti siamo la sua casa. Indegnamente. Bello però!