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Cristo è la nostra buona sorte!

Testo: Apocalisse 3, 20

Siamo reduci da pochi giorni dai festeggiamenti familiari e collettivi per l'inizio dell'anno nuovo. Con più o meno sfarzo, abbiamo sollevato i calici per brindare ad un anno di salute, di prosperità, di buona sorte, di amore...
Sono certo che ci sarà qualcuno che avrà voluto cominciare il nuovo anno con una preghiera di ringraziamento a Dio, quasi sempre seguito da abbracci ai propri cari.
Per molti è andata così.
Non per tutti però.
Alcuni nel 2018, o negli anni precedenti hanno perso il proprio compagno, qualcuna ha perso la salute, qualcun altro ancora, più drammaticamente, ha perso il proprio paese, a causa della emigrazione, di una catastrofe naturale o procurata dalla guerra.
Nel cuore di tutti c'è il desiderio sincero che l'anno nuovo ci porti qualcosa di buono e soprattutto non si porti via niente di ciò che abbiamo e che è davvero importante per noi.
Celebrare il Capodanno non è male, ma, lo sappiamo tutti è, per lo più, un coltivare pie illusioni. Infatti, a bene vedere,  non c'è nessun nuovo inizio. La vita, la storia dei singoli come della intera umanità è segnata dalla continuità. Tutto scorre esattamente come tra due giorni ordinari dell'anno. Panta rei!
Chi è affetto da una patologia degenerativa, sa che il 2019 non è in grado di portare nulla di veramente nuovo.
Io, il 2 gennaio, sono stato per una visita al reparto di neurochirurgia dell'ospedale Cardarelli di Napoli. Dalle corsie di quell'ospedale, ve lo assicuro, il Capodanno si vede in maniera completamente diversa sia per i malati gravi che per i loro cari.
E allora? Rispetto a questo desiderio di un nuovo inizio, esiste una parola evangelica che può dare corpo ad una speranza universale?
Io credo proprio di "sì". Credo che ci sia un modo specifico di celebrare un nuovo inizio sia personale che collettivo, e che questo implichi sia la capacità di ascoltare una parola e sia la responsabilità di custodirla e metterla in pratica nella nostra vita.
Ecco la Parola che ho scelto per voi.
"Io sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui e lui con me" Apocalisse 3,20
La prima cosa che vorrei chiedervi come un buon inizio del 2019, è imparare a memoria questo versetto e ripeterlo tutte le mattine all'inizio di una nuova giornata.
1. "Io sto alla porta"
Colui che sta alla porta è l'Agnello Immolato, è il risorto, Cristo Gesù.
 
Egli "sta", il verbo greco indica non una posizione accidentale, ma l'azione chi dimora stabilmente.
"Dov'è Dio? Chiedeva il catechismo, e a questa domanda seguiva la risposta: "In cielo, in terra e in ogni luogo". Vero.
Ma questo testo risponde in maniera diversa "Dio sta alla porta di casa tua". E se la porta è anche quella del tempo, potremmo dire che Dio sta alla porta del 2019.
 
La porta è una linea di confine. E' la soglia oltre la quale ci sono io, le mie cose, le mie aspirazioni, e naturalmente anche il mio dolore  e le mie miserie.
Dio rispetta il confine. Egli in qualità di Risorto sarebbe in grado di abbattere le porte, o semplicemente di attraversarle. Le porte non sono un ostacolo per lui.
Eppure il testo dice che Egli, resta sull'uscio e bussa.
Dio si propone alla nostra vita, ma non si impone. Dio non è prepotente. Egli vuole che diventiamo liberi. E che la nostra relazione con lui sia segnata dalla libertà non dalla sudditanza.
 
La metafora della porta è molto presente nella Bibbia, fin dalle prime pagine.
Notate che nostro testo non dice che "il peccato sta spiandoti alla porta", come fa la Genesi.
Non parla del pericolo, pur vero, che ospitando la malvagità nel nostro cuore,  possiamo divenire capaci di azioni orrende come quella di Caino verso suo fratello Abele. Al nostro testo sta a cuore la buona notizia. Davanti alla nostra porta Dio aspetta che prendiamo la decisione giusta. Il 2019 potrà essere l'inizio di qualcosa di veramente nuovo, se sapremo riconoscere questa presenza.
 
2. Il Signore Gesù Cristo bussa dunque alla porta della nostra vita personale e collettiva,
ma come lo fa?
Egli lo fa, bussando... con la sua voce.
All'inizio di tutto c'è l'ascolto della sua parola. Da questa parola nasce la possibilità della fede.
Ascoltare non è semplice udire un rumore.
Avete mai provato a parlare con qualcuno in metropolitana mentre questa è affollata e magari la persona con cui parlate e anche un po' distante da voi? Dovete fare lo sforzo di mettere la sordina alle altre voci e distinguere, anche con l'aiuto del labiale, quello che dice il vostro amico. Ascoltare la Parola di Dio è possibile solo se mettiamo la sordina al chiacchiericcio, alle parole vane e a quelli ingannevoli, e riusciamo a distinguere la voce di chi ci parla. Ascoltare richiede attenzione, spirito meditativo, selezione delle onde sonore. E' la risonanza del diapason che vibra della stessa vibrazione di chi ci parla. Per udire ci voglio buone orecchie, ma per ascoltare bene, ci vuole udito, vista, intelligenza e cuore.
 
Ascoltare, quindi, non una qualsiasi parola, e neppure quella della più grande autorità terrena, ma ascoltare, e distinguere la Parola del Signore da tutte le altre.
Nel Vangelo di Giovanni, (al capitolo 10) si parla di un gregge che conosce la voce del proprio pastore. Il riconoscimento viene dalla familiarità, dal fatto che noi sappiamo che quella è la voce di chi ha sempre voluto il nostro bene. Egli/Ella non è un seduttore, ma  Padre e Madre.
 
3. Ascoltare la sua voce e non quella di qualcun altro, appare un compito fondamentale, ma non esaustivo.
Non basta riconoscere la voce. Esiste un'altra faccia delle medaglia: "aprire la porta".  La parola deve farsi azione conseguente. Azione coraggiosa e anche rischiosa.
King aveva la sua versione di questo versetto: "La paura ha bussato alla porta, il coraggio (o la fede) è andata ad aprire. Non c'era nessuno".
Dietro la porta blindata ci siamo noi con le nostre paure. Alcune non sono neppure paure di qualcosa di oggettivamente rischioso. Alcune sono fobie. Le fobie sono paure ancestrali, intrise di pregiudizio, di cattiva educazione, di  forte pregiudizio. Si possono avere fobie di intere categorie di persone: il nero, il rom, l'omosessuale, ma si può anche avere la fobia del sesso o dell'amore, e magari scambiarle per virtù.
Le fobie ci imbalsamano dentro la nostra casa e le nostre false sicurezze.
Non c'è alcun modo di liberarsene che aprire la porta.
La fede comincia con un atto di coraggio. La fede non è per i pavidi.
  Non si tratta dunque di aver solo ascoltato e riconosciuto la voce di Cristo, ma si tratta anche di avere il coraggio di compiere, con audacia, un' azione.
Pensiamoci: noi potremmo essere tra quelli che hanno ascoltato, hanno anche riconosciuto la sua autorità. Vale a dire che sappiamo abbastanza della giusta dottrina cristiana anche nella sua versione protestante. Potremmo perfino essere degli insegnanti di questa dottrina. Ma poi essere dei pavidi, che non hanno mai avuto il coraggio di aprire la porta. Potremmo essere  cristiani ma paurosi. Potremmo essere credenti, ma non essere ancora diventati "discepoli".
"Aprire la porta a Cristo" che si presenta sulla soglia della nostra vita.
Cristo si presenta anche alle porte, sul confine di un intero paese e continente. Egli bussa, con parola soave, o dando voce a un grido di aiuto, e aspetta che la compassione apra la porta.
Mi chiedo: può essere veramente cristiani aggiungendo un altro lucchetto alla nostra porta? Possiamo, dopo aver ascoltato e riconosciuto la sua voce, decidere di tenere la porta sprangata?
 
4. "Io entrerò da lui".
Se apriamo la porta a Cristo, il 2019 porta una promessa: "Egli entrerà".
Quindi si tranquillizzino i calvinisti: non c'è alcuna "sinergia". Non c'è nessun volontarismo nella nostra salvezza. La buona notizia sta nel fatto che sia Lui ad entrare. Senza la realtà della Grazia, il nostro gesto sarebbe inutile e, in ultima analisi dannoso, perché ci esporrebbe inutimente al pericolo senza alcuna speranza.
Ma Cristo c'è! C'è nelle feste dei giovani che brindano al tempo nuovo augurandosi un anno ricco di soddisfazioni e traguardi, come c'è nella corsia di un ospedale o nelle viuzze sudice di in una favelas di Rio.
 
5. "E cenerò con lui"
Chi porta la cena? Chi la offre?
Siamo noi che apriamo la porta e in un atto di ospitalità, offriamo il tanto o il poco che abbiamo a Lui?
 Normalmente è così.  Ma qualcosa del testo ci invita ad una ulteriore riflessione: la parola "Cena". La parola è la stessa per la Santa Cena, per la Cena del Signore. Dunque potrebbe darsi che la cena la porti proprio lui. In tal caso, l'allusione sarebbe al fatto che Gesù non solo porta la Cena, ma Egli stesso è la Cena. Egli stesso porta il nutrimento, la vita, la salute.
E' interessante notare come il versetto conservi la stessa ambivalenza del termine "ospite" che Anna ci aveva fatto notare in un precedente sermone.
Chi ospita chi? Con Gesù sulla porta siamo contemporaneamente chiamati ad offrire ospitalità, per scoprirci noi stessi accolti, ospitati da lui.
 
6. "E lui con me"
Qui ci viene rivelata la modalità con cui Dio irrompe nella nostra vita. Egli non entra come un invasore. Non entra come un conquistatore militare. Egli entra nel segno della comunione e della reciprocità. Egli entra, anche nel nostro cuore sulla calvacatura di un asinello.  Il Signore ci offre salvezza, ma viene a stare presso di noi come uno che offre e riceve compagnia. Tutto questo nel greco biblico si chiama koinonia, comunione fraterna. E' una relazione non di sudditanza ma di reciprocità.
 
Vedete quanto futuro c'è in questo versetto? Riconosciamo la qualità di questo augurio?
Però, come sapete, l'ho estrapolato da un contesto che vorrei adesso richiamare alla vostra attenzione per una ultima considerazione. Leggiamo Apocalisse 3, 14-22
 
14 «All'angelo della chiesa di Laodicea scrivi:
Queste cose dice l'Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio della creazione di Dio:
15 "Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! 16 Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca. 17 Tu dici: 'Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!' Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo. 18 Perciò io ti consiglio di comperare da me dell'oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi e vedere. 19 Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. 20 Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me.
21 Chi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch'io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono.
22 Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese"».
 
Se leggiamo l'intera lettera alla chiesa di Laodicea, ci rendiamo conto che il testo è sì, di evangelizzazione ma è rivolto ad una chiesa particolare. Si tratta della evangelizzazione di una chiesa che si stima autosufficiente. Una chiesa accomodata nelle proprie tradizioni, nella certezza delle proprie buone ragioni, nel bunker delle proprie ricchezze. Una chiesa che crede di non aver bisogno di nulla.
E invece Cristo le rivela che è cieca e nuda, povera e bisognosa di ogni conforto.
 
Non è la nostra Cena che consumiamo, quella dei sacramenti veicoli di salvezza che offriamo al mondo, ma è la Cena di Cristo, di cui noi stessi siamo bisognosi, perché siamo ipovedenti, perché siamo imborghesiti, perché pensiamo di potercela fare da soli.
Questo contesto è invito a cominciare il 2019 senza continuare a raccontarci bugie.  
Abbiamo bisogno di ricevere un collirio per vederci e per riconoscere nuovamente la presenza di Cristo. Abbiamo bisogno di trovare il coraggio della fede, per aprire la porta. Abbiamo bisogno di tornare a sperare in una vita e un mondo migliore insieme a Cristo "con noi".
 
Buon Anno, cara comunità!